Un tempo, quello che accadeva dopo disastri apocalittici
come il fallimento del Mose di Venezia, seguiva un copione consueto: un uomo (o
più uomini) chiudeva la porta del suo studio, apriva un cassetto, osservava per
un attimo la pistola, controllava il tamburo poi, senza aspettare troppo, la
portava alla tempia e premeva il grilletto.
Prima, s’era concesso le lacrime scrivendo l’ultima lettera
alla moglie: “Cara, perdonami se ti ho fatto del male: ti ho sempre amata, dal
primo giorno che ti vidi…” non andiamo avanti, lasciamo almeno il riserbo, per
decenza, ad un uomo che prende una simile decisione, senza giudicare.
Abitudine che si è persa, da quando gli uomini non sono più
uomini ma pagliacci, che si coprono di gloriuzza di fronte alle Tv ed alle
truccatissime giornaliste, che rilasciano interviste in studi ovattati, in
ville faraoniche per le quali sono stati, quasi sempre, condannati. E
prescritti.
Mi chiedo con quale faccia il sindaco di Venezia – Brugnaro
– chieda lo stato di “calamità naturale” per la sua città, quando la calamità
naturale è che esistano persone del genere, come Brugnaro e, soprattutto, Galan
e Zaia, che del Mose furono e sono i santi patroni, mentre san Marco, dai
cieli, li fulminava con le acque per tanta insipienza.
Sappiamo tutti la ragione del disastro: acciaio di cacca,
nessuna competenza, fiducia in persone perverse, sorrisi furbetti mentre si
accettava una busta. Tutte abitudine apprese nella corrosione, giorno per
giorno, anno dopo anno, dell’inutilità di fare le cose per bene e per tutti,
meglio farle andar bene per sé, parandosi il sederino dietro a tutte le
bandiere e gli stendardi. All’occorrenza, cambiarli se uno stendardo era
corroso da troppi sospetti e sentenze.
Cosa si può fare, ora?
Buttare altri miliardi nei Mose – che sono due, quello del
Lido e quello di Malamocco – e continuare come prima, a far mazzi e mazzette di
critiche e dubbi, ma tirare avanti.
In cambio dello stato di calamità, per favore, chiamate
l’ing. Johan Peter Killan che, nel 1984, progettò e costruì la grande diga sull’estuario della Schelda,
che tuttora funziona benissimo e non ha mai dato problemi. Un’opera che, per
essere costruita, necessitò d’affondare piloni alti come case di dieci piani ad
una distanza di 25 cm
l’uno dall’altro, che furono calati nei termini del progetto senza nessun
errore.
La Diga sull'estuario della Schelda progettata da Killan nel 1984 |
Nel frattempo, sotterrate nei fondali quel contorto sistema fatto di
ruggine e plastica che chiamano Mose, affinché san Marco non debba più vederlo:
ha aspettato mezzo secolo, dal 1969, prima di mettervi alla prova. E avete
fallito: ci avete presi in giro per mezzo secolo.
Io non desidero istigare nessuno al suicidio, ma una piccola
cosa dovrete farla in cambio: lasciate tutto – non come Veltroni! – e recatevi
a Sciacca o da quelle parti, salite su un barcone ed andate in Africa. Scendete
ed andate alla malora per sempre, voi e le vostre truffe camuffate da trovate
geniali, voi ed i vostri ingegneri-servetti senza palle di fronte al maestoso
potere politico.
Un po’ di sabbia o di savana non potrà che farvi bene.
Saluti.
Pubblicazione non regolare e senza scopi di lucro. Per gli
eventuali diritti sulle immagini rivolgersi all'autore.
RispondiEliminaHo pensato le stesse cose, cioè a Galan e Zaia, ed alle loro refurtive nascoste in paradisi fiscali.
Comunque Venezia è una città fragile, l'Adriatico si alzerà ancora di nove-dieci centimetri, afferma un climatologo eccessivamente prudente. In realtà si alzerà di almeno un metro, un metro e mezzo, e col tempo si chiuderà del tutto, com'era un tempo.
Intanto la ruggine fiorisce sulle paratie del Mose, e proliferano le cozze.
Faremo un'insalata di mare!
Ciao.
E.
Io, che ho una barca d'acciaio, so bene quante precauzioni si devono prendere per la corrosione dell'acqua salmastra e le correnti galvaniche. Dicono che l'acciaio inox ne è esente. Forse per le attrezzature di coperta, per le attrezzature immerse ho dei dubbi, soprattutto se si dice che "dureranno cento anni".
RispondiEliminaSecondo me, era meglio rivolgersi agli olandesi, che la sanno lunga. Invece ci siamo rivolti a Galan e Zaia. Adesso, buon prosecco a tutti i veneziani!
Ciao
Carlo
A proposito, Carlo,
RispondiEliminama i veneti non si battevano per l'autonomia? Ed ora stanno tutti a piangere soldi dal governo.
La coerenza non è virtù umana!
Ciao.
E.
Sì, ma quando erano "autonomi" ci pensava l'imperial-regio governo del maresciallo Radetsky. A meno d'andare al prima, quando erano una repubblica che arrivava fino a Brescia...ma non c'erano i Galan e gli Zaia...
RispondiEliminaCiao
Carlo
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiElimina