E’ passata la Finanziaria, migranti
ne arrivano pochissimi, le elezioni europee sono ancora lontane…non sarebbe ora
di metter mano ai tanti problemi che una pletora d’incompetenti corrotti ha
seminato, per decenni, nel Paese? Ci riferiamo alle varie “riforme” che furono
emanate dagli stessi parlamentari che si riunirono, in seduta ufficiale, per
decidere se Ruby Rubacuori fosse la nipote del Faraone.
L’attuale governo
ha promesso una revisione dell’impianto della giustizia penale…certo, va bene…ma
non vi pare che tutto il “pianeta” Giustizia richieda urgenti misure? Possiamo
permetterci il lusso di tre stadi decisionali, quando lo scotto da pagare è la
vita umana? Ossia, a volte la giustizia civile supera la vita umana? Proporrò
tre casi, uno civile e due penali, poi decidete voi, esprimendo quel che
pensate.
Calende greche
Nel 2000 ci fu una
riforma della scuola, la riforma Berlinguer. Nella riforma, erano previsti
accorpamenti di personale: c’era ancora personale scolastico delle Province e
dei Comuni, che passarono nei ruoli statali. La riforma, come qualsiasi riforma
scritta dai politici, non va a spiluccare su particolari che sembrano ovvi e,
soprattutto, dopo se ne dimentica. Nel caso, ritennero ovvio che quel personale
conservasse l’anzianità di servizio e fosse inquadrato nei ruoli statali. E’
una questione secondaria, se vogliamo, ma utile per comprendere cosa può essere
la Giustizia
se lasciata libera di pascolare.
Qualcuno interpretò
i vari commi in modo diverso… un capoverso non chiaro una virgola che sembra
affermare o negare…ibis, redibis non
morietur in bello…(ricordate?) e quelle persone si videro sparire, ai fini
della retribuzione, decine d’anni d’anzianità. C’erano anche altre questioni
normative aperte (per il personale docente) ma non voglio complicare troppo le
cose.
Dopo un paio
d’anni, nei quali lasciarono la cosa nella mani dei sindacati, quei disgraziati
capirono cos’era il sindacato ed iniziarono i ricorsi per via giudiziaria.
Credendo che fosse facile.
Pur essendo tutto
personale scolastico, furono costretti ad altrettanti procedimenti individuali,
perché le norme chiarivano che il “lavoratore” si rivolgeva Giudice del Lavoro,
magari in associazione con altri, ma sempre al giudice naturale, ossia per
competenza territoriale. Le cose stavano e stanno così: fidatevi (la class
action è un’altra cosa).
Migliaia di cause,
decine d’avvocati, altrettanti magistrati, l’Avvocatura dello Stato…un costo
per la collettività che non so nemmeno quantificare…i risultati? Semplice:
secondo l’interpretazione del singolo giudice, il segretario di Milano vinceva, mentre il bidello di
Bergamo perdeva…e quindi ricostruzioni di carriere, altre tonnellate di carta,
migliaia di ore di discussioni…poi i ricorsi in Appello, anche qui chi vince e
chi perde, infine la
Cassazione, che sembra dare ragione ai dipendenti, ma in modo
non tanto chiaro, un cerchiobottismo sbiadito? Sì, qualcosa del genere. Rimandano
le sentenze in Corte d’Appello, che devono correggere le precedenti sentenze,
ma qualcuna di esse s’oppone, e dunque la Cassazione dovrà nuovamente pronunciarsi. Nel 2019. A quasi vent’anni
dall’inizio del procedimento.
Ora, vi chiedo di
sgombrare per un attimo la mente da quello che avete letto e di porvi la
domanda: si tratta di una questione di giustizia o di uno psicodramma andato a
male? La gran maggioranza parte di quelle persone è andata in pensione, tanti
sono già deceduti, eppure la giustizia continua, imperterrita, a sfornare
sentenze che saranno appellate…rimandi in sede europea – dove si sono
pronunciati in modo chiaro, dando ragione ai lavoratori, ed in modo più sfumato
verso la Magistratura
italiana con un: ma siete matti?!? – eppure i vari governi hanno continuato a
biascicare di capitoli di bilancio, di ricorsi, sentenze passate in giudicato…
E chissà quante di
queste situazioni sono tuttora in discussione nelle sedi giudiziarie! Per un
incidente stradale, un muro crollato, un licenziamento, un’invalidità, un
mancato pagamento, eccetera, eccetera…
Il delitto Calabresi
Il giorno dopo quel
delitto – e lo ricordo bene – lessi il Corriere della Sera che chiariva “…l’omicida era presumibilmente un
professionista, giacché aveva sparato nel momento nel quale il commissario
infilava le chiavi nel cruscotto per avviare l’autovettura: circostanza ben
conosciuta dai killer professionisti, perché in quell’attimo la concentrazione
è “attratta” completamente dal gesto”.
Non sono un
criminologo né un killer, perciò lascio la responsabilità di quell’articolo al
giornalista.
Sapete come andò a
finire: 4 a
3, ossia 7 pronunciamenti con 4 verdetti di colpevolezza e 3 assoluzioni,
l’ultimo di colpevolezza: possiamo essere certi che i fatti si sono svolti
proprio come la corte ha poi deciso? 4 a 3, come Italia-Germania? Non è una partita
di calcio, ci sono delle vite, delle persone che si vedono la vita
distrutta…possiamo tirare un sospiro di sollievo e dire: sì, è stata fatta
giustizia?
Vigeva già il nuovo
codice di procedura penale, nel quale non era più prevista l’assoluzione per
insufficienza di prove.
Un procedimento che
vide “risvegli” di “gole profonde”, addirittura sentenze generate su piani
viari non più in vigore (le piantine stradali, i sensi unici, ecc)…ma così fu.
Senza farsi
fuorviare da sentimenti di parte, la domanda che pongo è: l’uomo (ossia il
giudice) è sempre in grado di fornire una risposta a queste vicende, “oltre
ogni ragionevole dubbio” (come nel diritto anglosassone)? Senza girarci tanto
attorno: siamo sempre in grado d’interpretare nel modo esattamente coerente
alla realtà dei fatti, tramite le procedure processuali, un sequenza di atti?
Oh, certo: la
pubblicistica ci ha mostrato che è possibile. Il commissario Maigret, Sherlock
Holmes, Hercules Poirot e miss Marple ci riescono sempre…però la pena di morte,
lo sappiamo per certo dalle confessioni in punto di morte dei veri assassini, è
stato eseguita almeno una decina di volte su persone innocenti negli USA. Così
è stato anche in Italia, con scarcerazioni molto tardive d’ergastolani
innocenti.
Carlo Lucarelli, in
una trasmissione televisiva di molti anni fa, presentò – in compagnia di un suo
(presumo) amico commissario di Polizia – una serie di casi insoluti e, il
commissario, ripercorse le indagini evidenziando gli errori commessi nelle
procedure d’indagine: leggerezze, convinzioni affrettate, semplici
dimenticanze.
Anche in questo
caso, c’è un parallelismo con la pubblicistica: un conto è svolgere indagini “a
caldo” – magari con un questore alle spalle che ha fretta e ti accende la
miccia sul sederino – un altro con tutta la calma necessaria. Simenon costruiva
in parallelo la vicenda, e Maigret – si può dire – era già “presente” al
momento dello sparo.
Poi, se volete uno
spassionato parere personale, ritengo che nei corpi di polizia italiana regni
un’assoluta dabbenaggine, leggerezza, panciafichismo e menefreghismo
all’ennesima potenza: di più, riflettiamo che siamo la sola nazione europea ad
avere dei militari con compito di polizia giudiziaria sul territorio.
Per questa ragione,
le procedure investigative andrebbero meglio studiate e precisate, ed anche la
procedura penale andrebbe rivista e, soprattutto, velocizzata nei tempi, che
non possono essere più accettati come quelli di Matusalemme: a dirla tutta,
anche i magistrati dovrebbero essere messi di fronte a tempistiche precise, da
rispettare.
E’ inutile che
blaterino tanto sui femminicidi, se fra gli atti di violenza e la data d’inizio
del processo passano tre anni (capitato ad una mia conoscente)!
Marco Vannini
L’omicidio di
questo ragazzo, anche se è profondamente diverso, m’ha ricordato il caso
Cucchi. Perché?
Poiché negli atti
c’è la medesima volontà di non voler guardare una realtà distorta,
incongruente, e tuttavia lapalissiana.
Nessuno – ancora
oggi, dopo il pronunciamento della Corte d’Appello – ha mai affrontato il vero
problema di questo caso: chi sparò? Perché
furono trovate dalla Polizia Scientifica più tracce di polvere da sparo
combusta sul figlio di Antonio
Ciontoli, Federico? Il quale ha negato persino (nella ridda di dichiarazioni
“ad momentum” della famiglia Ciontoli) d’essere stato in bagno al momento dello
sparo. Sparo? Ci fu uno sparo? Lo sentirono tutti, nel palazzo, ma per la
famiglia Ciontoli era caduto solo qualcosa, forse un pettine…perché non
chiamare il 118 subito e salvare il ragazzo? Se si vuole ammazzare una persona
nella vasca da bagno, si spara alla spalla? Quei giudici hanno sentenziato sul
nulla, inutile girarci attorno.
Lasciamo le mille
contraddizioni di questo caso, per concentrarci sulla sentenza d’Appello: i
giudici non hanno sbagliato, hanno semplicemente accertato che non c’era dolo eventuale, di nessun tipo, perché
non hanno trovato un movente serio per il quale si uccide una persona. Non
avendolo trovato, hanno concluso che s’è trattato di una fatalità, uno scherzo
finito male…chissà che cosa…ma che Ciontoli (quale?) non aveva assolutamente voluto uccidere Vannini.
Omicidio colposo
commesso da un incensurato: fatevi i conti, e la condanna è quella, compresa
l’omissione di soccorso.
Ripeto: se andiamo
a cercare le contraddizioni, in questo caso, non ne troviamo solo una, il caso
Vannini è la fiera delle contraddizioni, dei falsi, delle confessioni fasulle e
quant’altro. Al punto che – ci scommetto mezza corona inglese – la Cassazione farà rifare
il processo da capo, se non altro perché, così, prendono tempo. E sperano che
la gente dimentichi.
C’è poi la
(presunta) appartenenza di Ciontoli ai servizi segreti: qualcuno dice che lo
era, altri raccontano che faceva solo le pulizie. In un modo o nell’altro, se
viene loro comodo dirti che faceva le pulizie, ti faranno vedere anche lo
straccio e lo scopettone.
La questione, però
è un’altra: abbiamo assistito ad un’iperbole di casi nei quali, a sparare, è
sempre un “tutore” dell’ordine. Poi, ci sono coloro che sparano perché hanno un
permesso per detenere un’arma (quasi) da guerra con la scusa del tiro sportivo.
E ci sono, poi, quelli che hanno un’arma non dichiarata e la tengono nascosta.
Questi ultimi,
quando sparano, si prendono pure il possesso d’arma abusivo, che se è da guerra
giunge a 9 anni di reclusione. E quelli che l’hanno regolarmente denunciata?
Qui, Houston,
abbiamo un problema.
Chi possiede
un’arma con regolare licenza, deve dimostrare d’avere dimestichezza con le armi
ed una situazione psichica equilibrata. Cosa, che, nel tempo, può cambiare:
Houston, abbiamo un secondo problema. Non avessi visto con i miei occhi un
istruttore di tiro a segno del poligono, portato via in fretta e furia dai
Carabinieri mentre tentava di “interloquire” con la ex moglie di fronte alla scuola
del figlio: subito dopo un bel ricovero in psichiatria ed una perquisizione con
un camioncino di armi sequestrate. Meno male che era un istruttore, chissà gli
“allievi”!
In qualche modo,
chi usa in modo dissennato un’arma che gli è stata concessa “sulla fiducia” in uso,
tradisce un impegno preso con la collettività. Chi, invece, veste una divisa ne
tradisce due: il primo per il dissennato uso dell’arma – che può essere anche
la semplice leggerezza o sbadataggine – e il secondo verso la collettività che
l’ha istruito, addestrato ed ha avuto fiducia in lui.
Perciò – caro
ministro Bonafede – in sede di riforma della legge penale, non vedrei male se
fossero aggiunti un paio di commi nei reati di sangue commessi con armi da
fuoco.
Xy) Nel caso che il
soggetto abbia usato un’arma regolarmente denunciata per delinquere, la pena è
aumentata di 1/3.
Xybis) Nel caso che
il soggetto, il quale abbia usato l’arma per delinquere sia un militare, un
appartenente ai corpi di Polizia (tutti) o una guardia giurata, la pena è
aumentata di 2/3.
Vediamo quanti
giocano ancora a fare il G-man nel bagno di casa farfugliando fra una pistola e
un’altra?
Piccola o Grande Giustizia?
Forse sono vecchio,
e non capisco più la logica di certe riforme.
La Giustizia è “intasata” da
milioni di procedimenti minori, per i quali si procede fino alla Cassazione
come se fossero tutti delitti come la strage di Piazza Fontana.
La figura del
pretore è stata abolita per far posto al Giudice di Pace, che – nonostante il
titolo aggraziato – non sembra che riesca a pacificare molto.
Osservate di cosa
si occupava il vecchio pretore, giudice (parzialmente) monocratico fino al
1989:
-Cause
civili (diritto civile) di valore limitato (via via aumentato nel tempo sino a
50.000.000 di lire, che oggi corrisponderebbero a poco più di 25.000 euro)
-Processo
del lavoro (diritto civile) per qualsiasi importo;
-Procedimenti
per convalida di licenza o sfratto (diritto civile);
-Azioni
possessorie (diritto civile);
-Provvedimenti
d'urgenza (diritto civile);
-Tutela
ambientale (diritto penale);
-Tutela
della salute (diritto penale);
-Reati
puniti con la pena della reclusione sino a tre anni, oppure con le pene della
multa, dell'arresto o della contravvenzione
-Infortuni
sul lavoro;
-Infortuni
stradali.
Il giudice
monocratico dava origine a dei problemi: se sbagliava?
Sull’altro
versante, toglieva alla Magistratura la miriade di piccoli procedimenti (gli
incidenti stradali, ad esempio) che, purtroppo, sono ancora tanti, più le mille
liti di condominio che finiscono con una denuncia. Gli italiani sono veramente
perversi in questo frangente: anni fa, un giudice fu “eversore” quando –
trovandosi a giudicare un furto di tre trappole per topi – s’offerse di
chiudere la faccenda pagando, di tasca propria, il danno: tremila lire, 1,5
euro.
Una revisione del
concetto del Pretore – magari togliendogli la possibilità di comminare pene
corporali – ed ammodernando il concetto, con un giudice monocratico di grado
superiore per dirimere i ricorsi, potrebbe funzionare.
La Magistratura potrebbe così
funzionare più celermente, e non si può – come oggi avviene – archiviare
tantissimi eventi non considerandoli “degni” d’avere giustizia, perché così
avviene. Il primo filtro lo fanno i Carabinieri, sconsigliando la denuncia –
andrà per le lunghe, non otterrà niente, il magistrato archivierà, è solo una
perdita di tempo, ecc – ed il secondo lo opera il magistrato stesso,
archiviando in serie migliaia di ricorsi.
Magari erano cose
di poco conto, ma da una cosa di poco conto trascurata nascono altre questioni,
di ben altra gravità: se il tizio che si vede rubare serialmente le trappole
per topi, non avendo riscontro, s’incazza e prende a bastonate il ladro? E se
questo, per vendetta, tira fuori la doppietta? Si va fino in Cassazione.
Sorprende il numero
di reati, molti di sangue, contro le donne nei casi di divorzio et similia:
moltissimi vengono archiviate per la pochezza degli indizi. Le forze di polizia
non hanno quasi peso, e soprattutto è la Magistratura a non
consentirlo, pena l’imputazione di “lesa maestà”. Così le situazioni
degenerano, senza che nessuno se ne interessi.
Forse, la figura
del giudice-califfo del diritto islamico non è così campata in aria, basta –
ovviamente – cambiare il corpus giuridico di riferimento. Eppure, a mio avviso,
una figura intermedia fra la “grande” Magistratura ed i piccoli reati andrebbe
riconsiderata, altrimenti si crea una palude di non-giustizia dalla quale, per
forza di cose, nascono poi i reati gravi.
Ci sono molte forme
di questo diritto “minore”, in Europa – in Svizzera, ad esempio – ed in Gran
Bretagna, dove sono addirittura dei giudici onorari (semplici avvocati) a
dirimere gli incidenti stradali senza vittime. Rivedere la figura del Giudice
di Pace? Può essere, ma qualcosa bisogna pur fare.
Armi? E quali?
Vuoi sparare? Oh,
bene. Vuoi un’arma da guerra? Ok: basta rimuovere il funzionamento automatico
(cioè la raffica) e ti diamo tutto quello che desideri, anche un Kalashnikov,
anche il fucile che usarono quelli della Uno Bianca. Tutto in vendita: basta
garantire “sanità mentale”, ovvia competenza sulle armi, e sono tuoi!
Forse, bisognerebbe
darsi una calmata, ma gli “sparatori” sono voti, e dunque…
Bisogna altresì
riconoscere – e, questo, Michael Moore mi pare che l’abbia abbondantemente
dimostrato nel suo “Bowling to Columbine”
– che l’uso improprio delle armi per uccidere non dipende tanto dalla facilità
del premere il grilletto, quanto sulle condizioni sociali, psichiche ed
ambientali della persona che ha l’arma in mano. Nel film, si dimostrava che a
Chicago c’erano non so quanti morti sparati il giorno, mentre sull’altra sponda
del lago Michigan (canadese) avveniva un fatto di sangue ogni tot anni. Una
voragine di differenza. Ma erano le condizioni sociali ad essere una seconda
voragine di differenza.
Detto questo, qualche
provvedimento bisogna pur prenderlo. Anche qui, mi rivolgo al tempo che fu.
Nelle case di un
secolo fa, era quasi normale avere, appesa al muro, una doppietta da caccia:
era un fatto normale, e nessuno se ne meravigliava. Quando l’UE decise
d’uniformare le leggi comunitarie in fatto di armi, trovò molte resistenze
nell’area francofona – Francia e Belgio, soprattutto – perché l’abitudine ad
avere l’arma da caccia in casa era quasi una tradizione. Oggi, hanno anch’essi
una bella legge europea che gli ha lasciato solo il fucile ad elastici.
Si accoppia,
spesso, il concetto di “arma” con quello di “difesa”, mentre nella realtà le
armi che vengono concesse in uso con l’apposita licenza, sono armi da “offesa”.
Ossia, si concede qualcosa che renda possibile uccidere qualsiasi aggressore si
faccia avanti: la sfida deve finire con un morto, comunque vada. Sfida all’OK
Corral oppure niente.
E così, le armi
corte sono tutte in calibro 7,65 oppure 9 (non Parabellum): armi fatte per
uccidere. Insomma, nel confronto fra il ladro e la vittima uno dei due deve
morire, non ci sono alternative.
Con l’aggravante
che, se la vittima spara ed uccide colpendo il ladro alla schiena, la Magistratura può
incolparlo di eccesso di legittima difesa: a pensarci bene, non è poi tanto campato
in aria. Mi sta sull’anima il mio vicino, lo invito in casa mia per discutere,
poi…
Il problema è
allora quello di fermare l’aggressore possibilmente senza ucciderlo: ferirlo?
Meglio due feriti che un morto, recita il proverbio. Già, ma le armi uccidono.
Non tutte.
Senza andare a
cercare armi futuristiche, nel nostro passato troviamo un’arma che è perfetta
per la difesa, con scarsissime possibilità (vedremo dopo) di uccidere. Un’arma
che era comune fino a qualche decennio or sono, e che oggi è praticamente
sparita.
Si tratta del
fucile Flobert, dal nome del suo inventore, Nicolas Flobert. Si tratta di un
fucile da caccia “in miniatura”, ossia con canna da 9 mm liscia (invece di 12) ed
un munizionamento poco potente, in grado di fornire una scarica di pallini (o
una palla) nel raggio di 15-20
metri. Veniva usato per il tiro “delle signore” o per
sparare al tiro a segno in ambienti chiusi.
Era il fucile da
caccia per i ragazzi – da non confondere con l’aria compressa – e veniva usato
per sparare ai tordi, ai passeri…anche perché più in là non arrivava: poca
distanza, pochi pallini, bersagli piccoli…
Usando il solo
munizionamento a pallini, uccidere una persona è praticamente impossibile: solo
per gli occhi è veramente pericoloso, ma negli occhi anche un proiettile delle
carabine ad aria compressa (quelle consentite) è fatale, anche un sasso
lanciato con una fionda, una freccia…e poi…se proprio qualcuno entra di notte
in casa vostra, mi pare che qualche rischio se lo deva prendere.
Sotto l’aspetto
della difesa, invece, quest’arma fornisce quello che serve: una rosa di pallini
che penetrano la pelle, ma non vanno oltre. E’ poco di più di una scarica a
sale, ma di quelle che fanno un male cane e fanno subito passare la voglia di
giocare al Far West.
Limitando le
cartucce ai soli pallini da caccia, magari con funzionamento semiautomatico ed
un caricatore a 5 colpi, com’era per i “sovrapposti” da caccia, quest’arma
sarebbe utilissima per la difesa personale e potrebbe essere concessa in libera
vendita. Con quell’arma e quel munizionamento, si creerebbe un deterrente per i
“ladri della grondaia”, gli scassinatori di villette, ecc, che saprebbero di
dover affrontare sicuramente una persona armata. Dite voi: così vanno
sicuramente con una 357 Magnum. Perché, non ci vanno lo stesso? Tenete presente
che il vecchio Flobert, con la sua scarica di pallini da caccia, nei 10-15 metri è micidiale.
L’unico a bestemmiare, dopo, sarebbe il chirurgo, con tutti quei pallini da
togliere…
Vi potrà sembrare
una filippica sterile: però, l’alternativa?
- Lasciare le
persone completamente indifese;
- Dotarle di armi
potenti e pericolose, soprattutto per se stessi e per i loro familiari.
Insomma, ci sono
molti capitoli da rivedere nel sistema giudiziario italiano, ed il più
importante non sono forse le armi, ma la rapidità della giustizia: ne uccide
più il tempo che la spada! Vero Bonafede?
Si tratta, per la Magistratura, di un delicato equilibrio. Se è vero che sul fronte del giudizio la politica non deve aver parola, sulla formazione delle leggi è la Magistratura a non averla. Perciò, avanti con proposte che non limitino, ma velocizzino l'operato dei giudici. Non vedo altra soluzione.
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Carlo