Non so se George Orwell, quando scrisse “1984”, si rese conto di cosa
e, soprattutto, di “quanto” scrisse in quelle pagine che dovettero transitare
nella sua mente come un grande sogno, od incubo, prima di finire impresse sulla
carta. Mistero della scrittura onirica: viene da chiedersi se grandi e libere
menti, da oltre la “siepe”, ci aiutino nel comunicare, perché si comunichi ad
altri, in una catena senza fine.
Stamani, quando mi sono accorto che mancava la corrente, lì
per lì mi sono girato dall’altra ed ho continuato il dormiveglia tranquillo ma,
sentendo mia moglie armeggiare con i pulsanti di contatore, ho capito che era
meglio scendere dal letto.
Tutto nero, senza il minimo rumore: manca il ronzio del
frigorifero, il bagliore della stufa a pellet, silenzio assoluto. Fuori, alle
prime luci di un’alba scura, piove lentamente e tutto indica tranquillità e
sopore ma mia moglie insiste: chiamo l’ENEL.
Dall’altra parte, la solita voce di un call centre che sarà
a Bari o a Tirana, risponde d’inserire il codice vattelappesca “che troverà
sulla bolletta”: oh certo…al buio, mi metto a scartabellare le vecchie
bollette…per fortuna mi salva la domanda di riserva, ossia il numero del
vecchio telefono fisso (che, per sola pigrizia, non abbiamo ancora eliminato) e
la voce, rassicurante, comunica “che nella zona sono segnalati
malfunzionamenti, ma che per le 10 del mattino tornerà la corrente”. Sono le
10.35, ma dell’agognata corrente nemmeno un misero Ampère.
Inutile cercare d’attendere di poter parlare con
“l’operatore”: dopo una decina di minuti (dei tre comunicati come tempo
d’attesa) preferisco risparmiare la batteria del cellulare. Uno sguardo al web,
dal telefonino, non racconta niente: un black out nel savonese di una decina
d’ore non merita menzione, così come la
Val di Susa bruciata fino alle cime dei monti non doveva
esistere come notizia…e qui mi è comparso il vecchio George che diceva
“Ricorda…le notizie, la realtà, deve per prima cosa scomparire…noi non sappiamo
se l’Alleanza Occidentale combatte con noi o contro di noi, non sappiamo se il
bombardamento dei porti del Pacifico sia veramente avvenuto…non sappiamo niente
di niente, e rischiamo la vita per sapere qualcosa…”
In compenso, veniamo costantemente informati delle vicende
di un tal Briatore, di un certo Sgarbi, o dei ricordi a luci rosse di Sandra
Milo: rumore, un fiume di notizie inutili che dovrebbero servire a rallegrare
un Paese triste, ma anche ad oscurare – in mezzo a tanto bailamme – ciò che
sarebbe meglio che non sapessero.
Come i poveri morti del rifugio appenninico crollato per il
terremoto, che – prima d’esser morti – chiamarono fiduciosi il 118, e non
vennero creduti.
Richiamo, per sapere novità e la solita vocina aggraziata mi
comunica che la riparazione del guasto è posticipata alle 12.30: allora, siamo
in presenza di un black out abbastanza importante, non di una misera cabina
dove sono bruciati i fusibili.
Il riscaldamento non può partire (pompa di circolazione
elettrica), la stufa a pellet per la stessa ragione: si sta al freddo. Ma non è
questo il guaio.
Mia moglie, stamani, si è recata in visita presso conoscenti
che hanno una persona molto, molto malata e che rimane perennemente a letto.
Per alzarla (è molto grassa) si sono attrezzati con un sollevatore meccanico,
che funziona a corrente elettrica. Starà nella merda.
Ci sono migliaia o centinaia di migliaia di persone (non so
quanto è esteso il black out!) che si trovano a dover risolvere problemi gravi
e meno gravi, ma la notizia non s’ha da dare: intorno a me, garriscono i
generatori a petrolio dei vicini.
Immagino un consiglio d’amministrazione dell’ENEL, dove
presentano le scelte da fare nel prossimo futuro:
1) Incrementare le forniture e gli approvvigionamenti,
mediante i quali il fatturato salirà da Tot1 a Tot2. Approvazione piena da
parte dei grandi azionisti.
2) Incrementare la manutenzione dei sistemi esistenti, ma –
in questo caso – ci saranno dei costi…diciamo che l’incremento da Tot1 a Tot2
sarà esiguo, probabilmente nullo. Coro di disapprovazione.
Ciò di cui non si rende conto questa gente, mentre immagina
la grande macchina che produce denaro – svelta ed impeccabile nei risultati – è
che non è per niente così: l’imprevisto è sempre in agguato, e questi sono
imprevisti da niente. Allarme arancione – anche il lessico fa la sua parte –
“Allarme”, ossia “state in guardia”, quando a non stare in guardia sono proprio
loro, che a fronte di una Domenica appena un po’ piovosa d’Autunno – senza
allagamenti, “bombe d’acqua” (ancora il lessico…), trombe d’aria, venti ad
oltre 50 nodi, neve, ghiaccio, ecc – s’arrendono come studentelli alla prima
gita scolastica e proclamano il timore d’immani tragedie.
Se non mancasse la corrente, sarebbe solo un’uggiosa ed un
po’ noiosa Domenica d’Autunno: perché deve diventare un “allarme arancione”?
I veri allarmi sono altri: li sapranno?
Nel 1883 esplose il vulcano di Krakatoa e si generò lo
stretto della Sonda: immane catastrofe, navi catapultate sui monti, enormi
massi erratici scagliati a 100
km di distanza, ferrovie contorte come fuscelli, 40.000
morti. L’esplosione fu udita dall’Australia al Madagascar, ossia a 3000 miglia di
distanza: viene considerato il più forte boato mai udito in epoca storica. Le
polveri lanciate in aria dal vulcano oscurarono parzialmente la radiazione
solare per un intero anno: si può affermare che l’agricoltura si “fermò”
ovunque, per un’intera stagione agricola.
Siccome in quell’area le zolle tettoniche girano come sulle
montagne russe, da quell’esplosione nacque un altro sistema vulcanico, Anak Krakatau
(figlio di Krakatoa), che le autorità indonesiane hanno dichiarato zona off
limits per la navigazione, vista la brutta abitudine del “giovane” vulcano
d’alzare improvvisamente il livello delle acque marine: stavi pescando, e ti
ritrovi su una montagnola di cenere. Probabilmente, lì si generò la grande onda
anomala che distrusse Sumatra alcuni anni or sono. Ma c’è di peggio.
Nel 1859 ci fu una tempesta magnetica che interessò tutto il
Pianeta. Siccome le tempeste magnetiche – in un mondo privo di macchine
elettriche, al massimo facevano impazzire le bussole delle navi – non ci furono
danni, salvo l’interruzione delle prime comunicazioni telegrafiche.
Non si hanno abbastanza notizie storiche sulla frequenza di
questi eventi: oggi, cosa accadrebbe?
I sovraccarichi sulle grandi linee di trasporto elettrico si
scaricherebbero sui grandi trasformatori di rete in una frazione di secondo e
li brucerebbero all’istante: per ovviare a tali danni, bisognerebbe conoscere
in anticipo l’arrivo di una tempesta magnetica e la sua entità per,
immediatamente, staccare la rete mondiale dalle fonti di produzione. Una
prospettiva che prevedrebbe una struttura mondiale in grado di prendere
decisioni di tale portata in pochissimo tempo e senza intralci.
Beh – direte voi – si cambiano i trasformatori…
I trasformatori sono macchine statiche, ovverosia soltanto
un anello (o quadrato) di comune Ferro ed avvolgimenti di cavo di Rame: niente
di tecnologicamente difficile da produrre.
Il guaio è che queste macchine – proprio perché statiche –
sono molto longeve, e dunque la produzione di questi grandi trasformatori è
scarsa, praticamente si produce soltanto per nuove linee e centrali di
distribuzione dell’energia e per (rare) sostituzioni.
Siccome le aziende produttrici sono poche, e i grandi
trasformatori pesano tonnellate, per sostituire tali macchine sulla rete mondiale
ci vorrebbero parecchi anni. Altro che black out di 12 ore per una centralina
in avaria!
Inutile dire che non esiste nessun piano, concordato
anzitempo a livello internazionale, per trovare rimedi a queste calamità che si
presentano abbastanza frequentemente nella Storia: in sostanza, sono soltanto
aurore boreali d’intensità di gran lunga superiore, dipendenti dai “capricci”
del Sole.
Peccato che la
Storia delle calamità naturali sia ancora scarsa di dati e
poco conosciuta: non andiamo fino al disastro di Toba di 75.000 anni or sono,
laddove la popolazione mondiale fu quasi azzerata. Difatti, i biologi
s’attendevano una maggior varianza genetica nel genere umano ma, probabilmente,
Toba fu una “seconda nascita”: per poco (si stima una sopravvivenza all’evento
di poche migliaia o decine di migliaia d’individui) non ci estinguemmo 75.000
anni or sono.
Morale.
Il capitalismo, in realtà, ha smesso da tempo di soddisfare le
necessità umane, e di cercare di cautelarsi prevedendo i possibili rischi: si è
avvitato in una spirale d’investimenti e profitti che trascende dalla realtà
esistente. Si scommette sulla clemenza degli eventi naturali per fare profitti,
e si tenta in ogni modo di nascondere ciò che potrebbe suscitare dei dubbi. Una
roulette, sulla quale cala un panno quando esce lo zero. Di questa serie fanno
parte gli OGM, il riscaldamento globale e tanti argomenti sui quali ci vogliono
schierati a chiacchierare e magari ad azzannarci. Senza, ovviamente, prevedere
dei rischi che sono reali, comprovati da veri eventi storici: farebbero perdere
tempo, troppi pensieri, meno investimenti.
Allo stesso tempo, però, c’è la necessità di far vivere le
popolazioni in uno stato d’ansia e d’eccitazione affinché non si ribelli,
mediante una comunicazione mirata a debellare ogni speranza d’autosufficienza:
un attentato ogni tanto serve, la cronaca nera deve essere assillante, ecc,
mentre – sull’altro versante – un mare di notizie ed intrattenimenti che,
scatenando la libido, favoriscano la favola dell’eterna cornucopia per molti,
ma non per tutti perché gli altri non sono ancora abbastanza “bravi” per godere
di quei frutti: corri, ragazzo, corri!
Per questa ragione i giornalisti televisivi sono le figure
più pagate dal sistema: ancora una volta, Orwell…
In realtà, solo il 3% della popolazione mondiale gode
pienamente i frutti del capitalismo, in Italia circa il 10% (che possiede la
metà della ricchezza) e alle masse di diseredati (come ben ricorda Serge
Latouche) si presenta il simulacro della scommessa vinta dal mondo Occidentale
contro la Natura
e contro tutte le avversità. Noi siamo i vincenti: imitateci!
Cosa rispondono?
Beh, se ci sono dei danni, anche gravi…assicuriamoci!
Oh certo, così mangeremo il denaro delle
assicurazioni…sempre che, in un Pianeta privo d’energia elettrica per anni, si
trovi ancora un assicuratore…vivo!
Bell'articolo, pieno di spunti riflessivi da non sottovalutare. Anche per il sottoscritto la domenica appena trascorsa ha comportato qualche disagio e non tanto per il temporaneo "smanettamento" attorno ai contatori, ma per la gestione (ben più complessa) dell'isteria familiare. Ebbene sì:
RispondiEliminala moglie che sproloquiava sull'angoscioso quesito inerente all'impossibilità della cottura delle lasagne (il forno si sa è cosa sacra la domenica);
I figli che non si capacitavano dell'impossibilità di poter attingere alla loro dose quotidiana di realtà virtuale (tablet e consol portatili esaurite dalla sera prima).
Ed io a rammentare come in fondo, non certo un secolo fa, questi problemi erano più frequenti e che non rappresentavano certo un dramma esistenziale... tutto inutile, occhi inespressivi e privi della benché minima scintilla, espressioni indifferenti se non addirittura di compatimento.
Nella concitazione del momento pure io ho pensato a Orwell, alla ineluttabilità di un poter pervasivo ed invincibile che ci sovrasta, soprattutto culturalmente, ma poi anche a Bradbury e Zamjatin e a qualche tentativo di riscossa e ... infine la luce è tornata. Mi sono quindi reso conto che forse, il vero ebete sono proprio io.
Mattia
Piu' che Orwell penserei a Huxley. Sono dell'idea che stiamo implodendo, l'invasione africana una conseguenza, poi quando avranno ridotto l'Europa al livello di... nominare qualsiasi nazione africana, dove andranno ? In Russia non credo, forse in Alaska
RispondiElimina