Oggi, che il dado è tratto, sappiamo cos’è stato il
referendum per l’indipendenza della Catalogna: una colossale commedia, giocata
su più tavoli per una posta che non c’era, e che continua a non esserci. Il
comportamento di Madrid è stato consono al copione franchista, edulcorato con i
modi del terzo millennio: pallottole di gomma al posto delle mitragliatrici,
gogne mediatiche al posto del garrote,
e chiusura dello spazio aereo al posto dei Messerschmitt di Hitler.
Anche i catalani hanno partecipato con dovizia alla
rappresentazione, urlando che Madrid è la solita prevaricatrice, che il
franchismo non è mai morto, che loro hanno gli occhi azzurri e i capelli biondi
come i vicini francesi, che non amano la corrida e che hanno una loro lingua.
Se non fosse stata una commedia, tutto si sarebbe fermato
quando la Corte Costituzionale
spagnola ha dichiarato nullo il referendum: Rajoy poteva lasciarli
tranquillamente votare, ma avrebbe perso la faccia nei confronti dei vecchi
hidalgo e dei nuovi sostenitori, più attenti alla torcida notturna che alla
corrida. E così, qualche pallottola di gomma, qualche idiota che si è messo a
sparare con una carabina ad aria compressa, ma nulla d’irreparabile, business as usual.
Inutile ricordare che la tragedia fu ben altra cosa,
ottant’anni or sono: forse, l’unico particolare da indagare, rimane la
possibilità di capire quali sono le vie, o meglio, le scarse possibilità
d’andarsene da uno Stato sovrano, ma restiamo ancora un poco in Spagna. Pardon,
Catalogna.
Ero in Spagna, anzi, Catalogna, ovverosia fra Gerona e
Barcellona sul finire degli anni ’70, ospite di una delle menti più attive per
l’indipendenza. Che, all’epoca, pochi consideravano: già l’essersi scrollati di
dosso Francisco Franco ed il suo sodale, Carrero Blanco, tolto di mezzo dalla
CIA che prese le sembianze di terrorismo basco, comunista…o quant’altro…bastava
ed avanzava. Già nel 1969, il KGB faceva circolare informazioni (di fonte
americana) dove si narrava di un piano per sgombrare dalla storia i vetero
dittatori iberici e, finalmente, far nascere la democrazia in quei Paesi. My
God, consumano troppo poco!
Il cadavere di Franco era oramai gelido, nel suo mausoleo di
Los Caìdos ma il franchismo era ancora vivo e vegeto, e nessuno fiatava. Era
ancora vivido il ricordo dell’ultimo morto dell’ETA, Puig Antich, che non fu
garrotato perché l’Europa si oppose alla barbarie: così lo fucilarono messo “al
vento” fra due alberi, legato per i polsi e le caviglie, in modo che si vedesse
da lontano la sua fine. Poi, gli spararono.
Anche la mia amica, che era una fervente indipendentista,
rimaneva coinvolta dal mio scetticismo: e cosa cambierebbe? Allora, riconosceva
che non si può sostenere che la
Catalogna fosse la più ricca terra di Spagna, che le sue
industrie mantenessero il resto del Paese, poiché dietro a molte industrie
catalane c’erano investimenti andalusi, degli ex hidalgo dei latifondi, che si
riciclavano nella nuova Spagna repubblicana. E il Banco di Santander? Oggi è
una multinazionale, ma per due secoli raccolse la ricchezza ispanica
dell’America Latina. E, oggi, è al 15° posto fra le banche mondiali, quando la
prima delle italiane (Intesa San Paolo) è al 26° posto.
La Spagna,
e questo è il punto importante da considerare, non è come l’Italia che ricorda
appena i suoi fasti Latini…no, la
Spagna continua a ricevere l’eredità di un intero continente,
che parla spagnolo e pensa a Madrid come al faro della sua cultura. E non solo:
quanti capitali tornarono in Spagna negli ultimi due secoli!
Per questa ragione l’indipendenza della Catalogna mi sembra
una melodia stonata: nata da un matrimonio fra due regnanti, da 500 anni la Spagna ha vissuto ai
margini dell’Europa, con il cuore più a Caracas o Buenos Aires che a Parigi o
Berlino, almeno fino alla guerra civile.
In quei lontani anni non nascondevo il mio scetticismo: vi
siete appena liberati di un peso, oltre Badajoz regna ancora Marcelo Caetano, e
volete già buttare altra carne al fuoco?
Ma, in fondo al suo cuore, so quel quel sogno non poteva essere
sradicato, anche se non aveva molto senso. Perché il vissuto dei catalani è
indissolubilmente legato alla sconfitta, e relativa durissima reazione, nella
guerra civile.
Così si discuteva, fra una sonata al piano ed un piatto di
riso, di fronte al mare che occupava le grandi vetrate della casa di San
Antoni, ma mi rendevo conto d’essere in una situazione radicalmente diversa da
quella italiana, sia per il lunghissimo passato coloniale, sia per i legami
culturali ed economici che aveva lasciato: solo più di dieci dopo sarebbero
apparsi in Italia i primi manifesti della Lega, quelli con la gallina dalle
uova d’oro che manteneva l’Italia e un nome, quello di un solingo senatore,
tale Bossi.
Ogni regione d’Europa ha i suoi vissuti, ma proprio perché
svaniti nelle nebbie della Storia sono inutili, inutile ricordare Pontida, il
cardinale Ruffo, i Lanzichenecchi, Garibaldi…è storia passata, che oggi non ci
può dare più niente. Se volessimo fare una sfilza di nomi di chi se ne vuole
andare (o si ritiene una nazione a sé stante) sarebbe lunga: baschi, catalani,
bretoni, provenzali, corsi, sardi, siciliani, lombardi, veneti, altoatesini,
valloni, fiamminghi, bavaresi…e le mille dispute per capire se un alsaziano è
francese o tedesco? E un abitante del Saarland?
E dopo?
Un’Europa che passasse da una ventina di Stati nazionali ad
una quarantina di Stati regionali, farebbe andare in brodo di giuggiole le
oligarchie che ci governano: ad un fiorire di piccoli stati sovrani, dovrebbe
fare da contrappeso un maggior potere centrale. Non vi basta quello che hanno?
E come lo usano?
A meno d’immaginare una sorta di vestito d’arlecchino con
mille confini e dazi doganali che diventerebbero delle vere e proprie gabbie
per le classi subalterne, mentre per i grandi capitalisti sarebbero facilmente
valicabili.
Insomma, non vi rendete conto che la questione dei
“localismi”, anziché risolvere dei problemi – il famoso “ognuno padrone a casa
propria” – farebbe precipitare in un “ancora più schiavo nel proprio
orticello”?.
Sono soltanto delle parole d’ordine create ad hoc dalle
oligarchie per spennare meglio la gente!
La Lega,
tanto per essere chiari, fu creata dal sen. Miglio il quale era uno dei
pochissimi italiani ad essere abbonato al Deutsche Fernsehen, la
televisione tedesca. In quegli anni, la Germania non immaginava ancora che sarebbe
riuscita ad assumere quella posizione centrale, e di dominio, che ha oggi
nell’Unione.
Per la prima volta, dopo la 2GM, soldati tedeschi varcarono
(sotto l’egida dell’ONU, ovvio) i confini nazionali per andare dove? In
Jugoslavia.
La
Jugoslavia fece proprio quel percorso, dallo Stato nazionale
ai piccoli Stati: molti, ancora oggi, rimpiangono Tito, ma non per Tito o il
socialismo titino, bensì per l’appartenenza, senza troppe discussioni, ad
un’unica entità.
Così, l’idea di staccare il Lombardo Veneto balenò dalle
parti di Berlino, il sen. Miglio era disponibile…perché rinunciare a provarci?
Salvo, poi, fargli fare la vita che fecero gli altoatesini i quali, poco prima
e durante la guerra, vendettero i loro masi per andare a vivere in Baviera, dove
finirono a fare gli schiavi dei tedeschi, Ma…non eravamo tutti tedeschi? Eh
no…c’è chi è più tedesco e chi meno…
Dovremmo, allora, chiederci perché appartenere a queste
entità, stabilite secoli or sono da regnanti sepolti nel dirupo della Storia,
cambiati da avventurieri della politica o da rivoluzionari, perché dovrei
sentirmi italiano o finnico?
Non c’è nessuna ragione per avvertire un senso
d’appartenenza ad una nazionalità, se non fosse per la lingua, che c’accomuna
(ecco, la dimensione multinazionale della Spagna!) e che consente di non
sentirci circondati da persone che parlano strani idiomi. Di là di questo,
nulla.
Forse sarebbe più opportuno che rivolgessimo le nostre
attenzioni ad altri fenomeni, che ci circondano, come la presenza, direi quasi
opprimente, di lavoro “a tempo”: oggi lavoro alla Coop, ma domani avrò un posto
nella scuola, dopodomani sarò alle Poste, poi farò la stagione turistica
estiva, mentre in Inverno andrò a lavorare in una fabbrica di panettoni.
Vi sembra questo il “rispetto” per il lavoratore sancito
dalla Costituzione italiana?
Oppure per gli anziani: non sono riuscito ad andare in
pensione prima del “ciclone” Fornero, poi ho tentato di raggiungere i 40 anni
di contributi, ma non bastavano più, e allora mi sono travestito da APE, ma mi
hanno detto che i miei contributi erano troppo bassi.
Un tempo, per fare la maestra, bastavano quattro anni
d’Istituto Magistrale ma – forse che finendo così presto il percorso formativo
si mettevano insieme, troppo presto, gli anni per la pensione? – adesso ci
vogliono 5 anni di scuola superiore e 5 anni di formazione universitaria. Per
fare la maestra.
Insomma, vogliamo capire che siamo governati da
un’oligarchia finanziaria internazionale, che usa le consuetudini della
democrazia borghese per i suoi sporchi fini? Siccome dovremmo averlo compreso,
perché perdiamo il nostro tempo per dissertare se è meglio fare i lavoratori
trimestrali in Padania od in Italia? In Catalogna od in Spagna?
Molti anni fa, primordi della Lega Nord che impazzava, bar
del trevigiano con due sale: in una gli operai che giocavano a boccette ed
infioravano la recente vittoria elettorale di Bossi, adesso sì che vedremo, che
saremo, che faremo…
Nell’altra sala padroni, padroncini, commercianti…gente che
giocava a scala un tanto a punto, ma con punti “pesanti”, tanto che ogni mano
biglietti da diecimila e da cinquantamila passavano di mano. Cosa dicono? Ma
lasciali dire…tanto io li rimpiazzo quando voglio con due “baluba” che vengono
dall’Africa o dalla Romania…lasciali dire…chiudo!
E, adesso, guardatevi allo specchio e ditemi: ci tenete
proprio tanto alla vostra indipendenza e ad una nuova identità? Se ci tenete
proprio, andate avanti così. A Bruxelles sorridono, contenti come delle pasque.
Sai, Augusto, io ho scritto seguendo "quello che è", non "quello che mi piacerebbe". Certo, se l'UE fosse diversa, se avessimo diversi governanti, se il popolo fosse un po' meno bue...concorderei con te. Ma, visto che la situazione è questa, non saprei quali vantaggi avrei, perché quel "ma lassali dir" di quei trevigiani, ancora mi rimbomba nelle orecchie.
RispondiEliminaCiao
Carlo