Quest’anno, la leggenda di Natale è una storia vera, di
quelle che mai e poi mai uno come Poletti comprenderebbe per la sua importanza,
che va oltre le solite menate sui ragazzi che vanno all’estero, sugli immigrati
pericolosi e quant’altro. Perché è una storia vera, che ha dell’incredibile,
soprattutto per gente come Poletti & Co.
Tutto iniziò una decina d’anni fa, quando un gruppetto di
persone – mi piace di più immaginarli elfi con sembianze umane – uscì dal
bosco, uno di quei boschi infiniti che si perdono nell’immenso Appennino,
laddove esistono, probabilmente, posti non calpestati da essere umano da secoli
e dove nessuno va mai, anche se ci nascono i migliori funghi della stagione.
Calpestarono l’asfalto per la prima volta: proprio lì,
accanto alla deserta strada provinciale, sorgeva una casa. Gli elfi decisero
che non poteva esistere una casa così isolata senza un forno, poiché – senza
forno – come fai a fare il pane?
Così, lo costruirono e diedero un nome un po’ strano a tutta
la costruzione: Forno 4P...beh, non importa...tanto, quella denominazione
rimane tuttora un mistero alchemico.
Se hai un forno, cosa ne fai? Il pane, ovvio. Ma mica pane
come gli altri, eh no...siamo elfi...facciamo un pane un po’ magico, poi stiamo
a vedere.
Ed iniziarono con un conciliabolo, proprio come i nanetti di
Biancaneve, che erano anch’essi creature del bosco.
“Lo facciamo col granturco. Sì va bene, ma poi la gente si
confonde con la polenta...facciamolo anche col grano duro. Accettato. E la
segala? Mica è sempre cornuta...dai, facciamo il pane di segala, E vai. Io
mescolo tutto: lo chiamiamo ai cinque cereali? Venduto!”
Non vi so dire quanti tipi di pane riescano a fare: hanno
dovuto, per forza, creare dei biglietti da visita nei quali indicano i giorni
delle infornate, se proprio ritieni di non trovare quello che ti soddisfa.
“E quando l’abbiamo fatto, dove lo mettiamo?” rimbeccò il
solito brontolone.
“In una cesta. Eh già: e le mosche? Come si fa? Facciamo
scendere dai soffitti dei veli da sposa, così è più bello!” Una gnometta disse
subito: “Sì, il velo da sposa mi piace!”
Quando giunsero altre gnomette, fu obbligatorio...eh
sì...non si poteva fare altrimenti...i dolci, sì, i dolci.
Paste dure, con la crema, biscotti, torte...una gnometta
ligure si lamentò: “E le focacce”? Dovettero impastare e cuocere focacce d’ogni
tipo, tutte contraddistinte dal profumo di bosco e di grano...d’altro canto, se
sono elfi...
Un giorno venne dal bosco uno gnomo che giungeva da lontano,
da un mare che nessuno conosceva, perché era un Mare Nero. Oh buon Dio: ma può
esistere un Mar Nero? Gli chiesero il CV, perché anche gli gnomi chiedono il
CV, ma poi se ne fregano.
Il CV raccontava che era un elfo-pittore, diplomato
all’accademia di una città lontana...Bucu qualcosa, Bucu che resta, sembrava
così. Lo misero davanti al forno e lo osservarono, perché ci stava bene, era
adatto: ma cosa se ne fanno, gli umani, di questi CV? Mah...
Lo gnomo-pittore, però, non rinunciò a dipingere le icone
della sua tradizione: belli quei dipinti – meditarono gli altri gnomi – perché
non ne appendiamo qualcuno insieme al pane? E così fu, pane ed icone, che fanno
risaltare – con quell’oro che sa di luce – il colore del pane. Poi arrivò una
gnometta che sapeva leggere e scrivere, ma proprio scrivere bene, e...volle una
biblioteca.
Niente da fare, negarono gli gnomi, è un nome troppo
importante...”biblioteca”...mah...e se fosse “bibliograno”? Certo! Così ci
piace di più! Una vecchia credenza, accanto alle icone, iniziò a riempirsi di
libri sulla natura, le tradizioni del cibo, dei forni, le piante
medicinali...insomma...roba per gnometti istruiti...ma ci sta, ci sta...
Sono stati obbligati ad ingrandire il parcheggio, poiché
sempre più auto si fermavano, deviavano dalla importante strada statale per
fare un salto al forno...dai, andiamo a comprare quel pane così buono...ma sì,
va, deviamo di qualche chilometro, ne vale la pena...
Questa non è una leggenda, è una realtà, fatta da persone
che ci credevano e ci credono tuttora. Quello di cui hanno bisogno i nostri
ragazzi è solo di credere in qualcosa – non importa la cosa – serve una mente
che crea e persegue un sogno, poiché un vecchio adagio americano recita:
Ci sono uomini che lavorano da mane a sera e non pensano
mai: finiranno come hanno iniziato, a lavorare come bestie senza sapere il
perché.
Altri invece, vivono tutta la vita rapiti dai sogni: ogni
sogno s’accavalla a quello seguente, e non combineranno mai niente.
Tu, figlio mio, sogna, sogna pure, ma passa il resto del tuo
tempo a realizzare quello che hai sognato. Vedrai, non te ne pentirai.
Buon Natale a tutti
RispondiEliminaAuguri, Carlo, e grazie!
E.
Anche se un po' in ritardo tanti auguri a te a tutti i partecipanti del blog, sperando che il prossimo anno sia meglio di questo che sta finendo e che è stato una vera ciofeca.
RispondiEliminaCiao
Massi