29 novembre 2015

Che ne facciamo di questo Bucintoro?



Abbiamo nuovamente il Bucintoro. Splendida nave, davvero: ma non ha più le dorature a guazzo, i fregi e le sculture. Ha, invece, cannoni a tiro rapido, missili e (dovrebbe avere) aerei: stiamo parlando dell’orgoglio nazionale, dell’ammiraglia della flotta italiana: la portaerei Cavour.
La quale, poveraccia, rischia d’essere declassata – a pochi anni dalla nascita – a semplice portaelicotteri: come uno studente al quale dicono: “no, tu, più che qualche corso d’avviamento al lavoro...”. Poveraccio, come ci rimane male, e come ci rimarrà la Cavour se continuerà la vulgata imperante, quella che recita che diventerà una splendida portaerei con gli F-35.

Vediamo perché “osiamo” fare questa affermazione, ma non per la nota polemica sugli F-35: per altre ragioni, forse meno conosciute, ma più decisive. La nave non potrà mai operare come portaerei, perché non è adatta al velivolo scelto, né è stata costruita con i requisiti di una portaerei.

Prendiamo in esame i pesi, a vuoto e massimi al decollo, degli unici tre (in realtà solo due, lo Yak-141 non entrò mai in servizio, e non consideriamo il vecchio Yak-38) velivoli V/STOL:

F-35B: 13.300 – 31.800 Kg
Harrier II: 5340 – 14.100 Kg
Yakovlev 141: 11.650 – 19.500 Kg

I pesi degli Yakovlev sono quelli dei pochi prototipi costruiti: l’aereo, in ogni modo, conquistò 12 record mondiali per la categoria VTOL, riconosciuti dalla FAI.

Soprattutto il confronto dell’F-35 con l’Harrier rivela un “passo” molto diverso, ossia da un aereo specificatamente progettato per l’impiego V/STOL da piccole portaerei, si è passati ad aereo terrestre adattato: la Spagna, ad esempio, non ha preso in considerazione l’F-35B per la sua piccola portaerei “Principe de Asturias”.
Noi, invece, abbiamo costruito una portaerei un po’ più grande, ma sempre più modesta delle “Tarawa” (e classi successive) dei Marines statunitensi – che hanno un ponte di volo di circa 30 metri più lungo: 30 metri, non sono pochi in decollo/atterraggio – e poi abbiamo deciso che sì, poteva imbarcare anche un po’ di battaglione San Marco, con mezzi blindati e tutto il resto. Così, una nave di nemmeno 30mila tonnellate di dislocamento, dovrebbe fare la portaerei e la nave da sbarco: in più, dovrebbe gestire un aereo pesantissimo: ma vi sembra possibile?!?

E questo è uno dei problemi dell’F-35B: in primis, l’aereo è stato valutato sulla Tarawa e ancora non si sa se verrà costruito, per problemi tecnici (riscontrati in prova proprio sulla nave) e perché sono pochi aerei, rispetto agli ordinativi delle altre versioni. Di conseguenza, c’è il rischio che la Cavour, terminata la vita utile degli Harrier, rimanga una semplice portaelicotteri, incapace di proteggere i convogli mediante la componente aerea, mancando clamorosamente l’obiettivo previsto per un Paese che intende “difendersi”.
A parere di chi scrive, durante la lunga e contrastata crociera di un paio d’anni fa per fare da “salone itinerante” dei prodotti militari italiani, l’obiettivo migliore sarebbe stato uno solo: venderla.
In definitiva, l’aereo è pesante, troppo pesante per appontare sulla Cavour: ci spieghiamo meglio.

Una volta decollati grazie allo sky jump, gli F-35 devono pure tornare; qui entra in gioco l’eccessivo peso che abbiamo sopra riscontrato: oltre 30 tonnellate! Quasi un TIR a pieno carico!
In condizioni di bassa pressione e caldo umido, i motori non ce la fanno a fornire la spinta necessaria all’atterraggio verticale (1) e, dunque, l’aereo deve scaricare il carico bellico in mare e parte del carburante: la cosa, già fa rizzare i capelli.
Il problema (che si presenta sempre quando gli aerei sono in ricognizione armata) è quello di scaricare non solo le bombe (costano poco) ma i missili, i quali hanno dei prezzi che vanno da 1 a 2 milioni di euro l’uno: mettiamoci solo 4 missili e un po’ di carburante...voilà: 6-7 milioni ai pesci. Per aereo. E per appontaggio.
Ovviamente, è impossibile: c’è un’alternativa B? Sì, c’è, ma si chiama “fabbrica di vedove”.

L’aereo, invece d’appontare verticalmente, s’avvicina a bassa velocità alla nave ed apponta “normalmente” (come sulle grandi portaerei) “manovrando” sulla rotazione degli eiettori – in questo modo affida ancora una parte della portanza alle ali – poi, appena toccato il ponte, subito una spasmodica frenata per fermare 30 tonnellate d’aereo in 120 metri. Auguri. Forse può funzionare con un Harrier, ma non con un bestione da 30 tonnellate.
Per questa ragione affermavo, prima, che i 30 metri di differenza da una Tarawa fanno già una differenza, quella fra fermarsi al limite del ponte o finire in mare: in ogni modo, anche i Marines sono poco convinti.
Per i non addetti, ricordo che questa versione dell’aereo non avrà a disposizione il tradizionale gancio d’appontaggio.

Insomma, abbiamo costruito la portaerei fidandoci dello zio Sam, il quale è nei guai fino al collo per i tanti problemi dell’aereo, al quale s’è aggiunto questo – che, ricordiamo, riguarda solo l’eventuale F-35B – e che potrebbe far pendere la bilancia verso una cancellazione del programma della versione a decollo/atterraggio corto/verticale.
Gli USA non hanno questi problemi: la US Navy già sperimenta il “superdrone” Pegasus per la difesa aerea, che ha un raggio d’azione doppio rispetto al F-35 e costa la metà (2). Insomma, che alla fine resteremo in braghe di tela non è proprio una certezza ma – diciamo – un serio “dubbio ben motivato”.

Cosa succede nel mondo?
Il Regno Unito sfoglia la margherita come l’Italia – nel senso “aerei convenzionali o a decollo verticale”? Ovviamente, prima di costruire le portaerei. La Francia ha i Rafale (convenzionali), la Spagna rinuncia, l’India imbarcherà (?) i convenzionali Mig-29 con ali ripiegabili, la Cina ha copiato dei Su-27 russi...insomma, molta confusione sotto i cieli orientali.
Noi, restiamo in mezzo al guado, anche perché ci sono molti dubbi che la portaerei sia poi così importante come si crede, e come la II G.M. ce l’ha lasciata, ossia come una regina: o una grande papera in mezzo al mare?

Dopo l’ “exploit” del (quasi) sconosciuto missile russo Kalibr – lanciato contro le installazioni terrestri dell’ISIS da una corvetta nel Mar Caspio (3) – ci preoccuperemmo molto, se fossimo un ammiraglio in comando su una portaerei, di riportare a casa la baracca. Perché, lo stesso missile può essere lanciato da sottomarini, il che lo pone assolutamente all’esterno di qualsiasi area di ricerca e soppressione della minaccia subacquea, sia mediante aerei sia con gli elicotteri. Ricordiamo che il Kalibr è dotato di autoguida terminale sul bersaglio.
Questo, però, è un altro discorso che riguarda l’uso della portaerei nel suo complesso: altra cosa è stabilire che fare di una portaerei come la Cavour.

Premesso (per la seconda volta!) che venderla sarebbe la miglior cosa da fare, la nave andrebbe ristrutturata radicalmente, poiché si tratta di un ibrido senza senso: piccola portaerei, modesta nave da assalto anfibio. Questa è stata l’impostazione errata: far convivere sulla stessa nave due esigenze diverse, la seconda delle quali cozza violentemente contro le impostazioni della difesa italiana. Chi dobbiamo andare ad assalire a migliaia di chilometri dalle nostre coste? Con una nave? Due? Tre? Ma lasciamo perdere...
Diversa è la faccenda se si torna all’impostazione originaria: difendere “Blue Water” (ossia anche in pieno Mediterraneo) gli interessi italiani e le proprie navi mercantili. Uno strumento potente per l’offesa che potrebbe recare al nemico, non certo con qualche Harrier e pochi elicotteri come oggi.

Una portaerei che, a pieno carico, disloca 28.000 tonnellate è in grado, se ben strutturata, d’imbarcare circa trenta velivoli: lasciamo la scorta antisom alle fregate e concentriamoci sugli aerei. Diciamo, un mix di 24 aerei e 6 elicotteri.
I dati non sono campati in aria: sono pressappoco quelli delle vecchie Kiev della Marina Sovietica (simili per tonnellaggio).
Il problema è dove andare a prendere gli aerei: gli Harrier invecchiano, gli YAK non ci sono e l’F-35 s’appresta ad essere il più grande “bidone” che lo zio Sam ci va a rifilare. Dove prenderli?
Ma in Italia!

C’è un aereo, italiano, che è stato venduto in Israele, Polonia, Qatar e che partecipa alla selezione per un nuovo velivolo americano! Buy italian?
Si tratta dell’ottimo Alenia Aermacchi M-346 Master (4), un addestratore di quarta generazione il quale, però, presenta caratteristiche molto prossime ad un caccia leggero, ovviamente nella versione monoposto.

Le stime prevedono che il modello sarà costruito in oltre 600 esemplari entro il 2020, escludendo la versione da combattimento, alla quale a volte ci si riferisce con la designazione non ufficiale M-346K. Quest'ultima è un candidato alla sostituzione del caccia leggero Northrop F-5E Tiger II, diffuso in numerose aeronautiche militari nel mondo.” (Wikipedia)

Difatti, in Israele ed in Qatar l’aereo è stato venduto nella configurazione da addestramento – poiché la legge italiana impedisce la vendita di armi a Paesi che hanno conflitti in corso (la solita foglia di fico italiana) – ma, da quelle parti, poi, si modifica...

Insomma, si tratta di un buon velivolo. Vediamo i dati, comparati al Sea Harrier ed al F-35:

F-35B: 13.300 – 31.800 Kg
Harrier II: 5340 – 14.100 Kg
M-346 Master: 7400 –10.200 Kg

Lontanissimi entrambi dalle quasi 32 tonnellate dell’F-35, i due aerei sono abbastanza simili per prestazioni: entrambi subsonici con 1,2 Mach di velocità di punta…certo, il secondo è un addestratore e, dunque, bisognerebbe valutare i pesi una volta “sbarcato” il secondo seggiolino, caricato un radar aria-aria, eccetera...però, diciamo che a pesi ci siamo. E i costi?

L’addestratore costa 20 milioni di euro: il caccia costerà di più, ma sempre intorno ad un terzo di un F-35, il quale costa circa 100 milioni e non si sa nemmeno, nella versione “B”, se verrà costruito e quanto costerà.
Quindi, potremo avere una linea di volo per la Cavour che costerà circa 1 miliardo, contro i 3 del (ipotetico) F-35. E sarà un prodotto costruito in Italia, che darà lavoro agli italiani, non come i pochi posti creati a Cameri per l’occasione.
C’è un solo problema: non è un velivolo a decollo verticale, ma convenzionale, anche se i dati di corsa di decollo sono molto promettenti, 280 m, e per l’atterraggio 580 m (5). Pur ricordando che il velivolo, in configurazione da difesa aerea sarebbe piuttosto leggero (bombe e missili aria-terra pesano molto) – potrebbe essere armato con 4 AIM-120 Amraam e due Sidewinder, come l’Harrier, ed imbarcherebbe un migliaio di chili o poco più, poca roba – però necessiterebbe comunque di catapulte per il lancio e sistema di cavi (gancio) per l’atterraggio. E’ possibile?

In teoria sì, nulla è impossibile...dipende dai costi e dalla volontà di farlo, perché i costi non sarebbero tanto sul velivolo, quanto sulla nave.
Il risparmio sugli aerei, rispetto agli F-35, sarebbe di circa 2 miliardi: bastano per ristrutturare la nave da così:



a così?

La prima (in basso) è la Cavour com’è oggi, mentre le due (ipotetiche) configurazioni in versione “vera portaerei” si differenziano per una diversa disposizione delle catapulte: la cosiddetta “isola” con il fumaiolo, ecc, non andrebbe modificata. Sarebbe una ricostruzione/modifica pari a quelle che subirono alcune portaerei dopo la II G.M. con l’ingresso in servizio dei jet, come le inglesi classe Majestic o le americane classe Essex: per le Essex, ad esempio, furono necessari 7-8 mesi di lavori. Non soffermatevi troppo sui dettagli dei disegni: sono soltanto delle indicazioni.

La Cavour è costata (secondo Wikipedia) 1,35 miliardi, secondo l’ex ministro Mauro (6) 3,5 miliardi (semplicemente, 1,5 la nave e 2 miliardi gli aerei: gli americani gli hanno fatto uno sconto da 3 a 2 miliardi? Dubitiamo) ma la cosa non sposta i termini del problema, anche se (secondo alcune stime) gli F-35B verrebbero a costare 140 milioni l’uno, l’aereo più costoso della storia.

O ce la teniamo così, azzoppata, senza aerei o, al più, con degli aerei che daranno problemi dal primo all’ultimo giorno di servizio – l’F-35, di guai, ne ha a bizzeffe: motori, elettronica...nulla va per il verso giusto...ma la considerazione del troppo peso, in appontaggio, su un ponte così piccolo taglia la testa al toro – oppure la modifichiamo o, meglio, la vendiamo (terza volta) sempre che qualcuno la voglia, perché di scemi che tirino fuori fior di soldoni per una nave del genere mica se ne trovano tanti.
L’errore non è stato solo progettare la nave in sé (la duplice missione, difesa aerea e proiezione di potenza, su una nave così piccola), ma l’aver costruito una nave fidandosi degli americani ad occhi chiusi e, soprattutto, senza riflettere sul rapporto misure del ponte/pesi dei velivoli.

Il discorso generale, per l’Italia, di possedere una portaerei ci conduce direttamente alle spese per la Difesa: il 73% dei fondi che il Ministero dell’Economia destina alle imprese, anche quest’anno, andrà al comparto difesa. Ma l’Italia si muove fra il 7° ed il 9° posto (secondo gli anni) nella classifica dei venditori di armi, con una fetta del mercato mondiale intorno al 2% (7): in altre parole, vendiamo bombe, ma quanti italiani ci campano sopra?
Dall’altra, a forza di ricordare “si vis pacem, para bellum” si finisce per andare a bombardare la Libia, in Iraq e tutto il resto...ma, serve avere delle armi per difendersi?

Lascio ad altri questo dilemma, vecchio come il mondo, e ritorno alla Cavour: a meno di credere alla favoletta del F-35B che tutto risolverà...che facciamo, la ormeggiamo a Venezia e poi tiriamo fuori questo moderno Bucintoro, una volta l’anno, per celebrare il matrimonio con le acque?

(7) https://en.wikipedia.org/wiki/Arms_industry#World.27s_largest_arms_exporters

24 novembre 2015

Un missile di troppo


Sukhoi-27

L’abbattimento del cacciabombardiere Su-24D russo sul confine turco-siriano è un affare di poco conto, oppure una vera e propria “boa” scapolata dai turchi, secondo come il Ministro degli Esteri russo Lavrov si esprimerà domani (25 Novembre) ad Ankara. E da come risponderanno i turchi.
In altre parole, le carte – oggi – sono tornate in mano russa ed i turchi potevano, francamente, non andarsi a cercare “grane” col potente vicino, visto che dimostrare la territorialità dell’abbattimento sarà molto arduo e, in definitiva, di scarsissimo interesse: ciò che conta, è il dato politico.

Avremo modo di conoscere com’è andata la missione turca di Lavrov nelle prossime settimane, tenendo d’occhio la composizione aerea della missione russa in terra siriana: oggi, è composta soltanto da cacciabombardieri, quali sono i Su-24D e, parzialmente, anche i Su-34. La differenza fra i due velivoli non è soltanto una questione di “età elettronica” (anche i Su-24D, ampiamente rimodernati, sono comunque ottimi velivoli) bensì di “qualità radar”. Semplificando: mentre il Su-24 può soltanto lanciare – nel confronto aria-aria – missili con guida all’infrarosso e poche miglia di gittata (autodifesa), il Su-34 può lanciare anche missili a guida radar attiva, con portate dell’ordine delle 25 miglia nautiche, 50 chilometri circa, che è tutto un altro affare. Pur rimanendo un aereo per l’attacco al suolo.

Politicamente, quindi, la scelta di puntare sul Su-24 è stata una scelta politica, un modo per dire “svolgiamo la nostra missione anti-ISIS e basta”, lasciando ai pochi Su-34 schierati il compito, più che altro, di “mostrare la bandiera”.
Non si spiega altrimenti la scelta d’inviare una missione aerea senza protezione in aria, giacché l’ISIS non ha aviazione – e in aggiunta c’è l’aviazione siriana a sorvegliare i cieli – in un territorio molto conteso, dove operano due aviazioni temibili e ben equipaggiate, come quella israeliana e quella turca.
Di certo, Lavrov chiederà la certezza assoluta che simili attacchi – da ogni parte provengano – non abbiano più luogo, giacché è evidente che uno sconfinamento di poche miglia non implica nessun pericolo per la Turchia.

Solo per citare un esempio, durante le prime fasi dell’ultimo conflitto in Jugoslavia, un giorno d’Estate una mia cara amica era al mare, ed andare al mare – per i triestini – significa spostarsi o verso Miramare, o verso Muggia, che è cittadina di confine. Ebbene, quel giorno s’era recata in una spiaggia nei pressi di Muggia, quando udirono un frastuono assordante e, dalle loro spalle, sbucò una formazione di cinque Mig-29 (sloveni? croati? serbi?) la quale – probabilmente per l’abbrivio e l’inerzia del volo a quelle velocità – era ampiamente sconfinata in territorio italiano. I Mig virarono subito e cabrarono in alto (per diminuire la velocità e manovrare meglio): in ogni modo, giunsero quasi sulla città di Trieste prima di rientrare in Slovenia.  Tutto avvenne in pochissimi minuti e nessun aereo italiano, ovviamente, si alzò poiché fu preponderante il dato politico: nessuno di quegli aerei ce l’aveva con l’Italia, ed avevano abbastanza guai in casa propria per cercarne degli altri.
Così saranno andate le cose anche su quel confine fra Turchia e Siria, ma i turchi hanno reagito: perché?
Poiché il dato politico è diversissimo.

L’ordine d’abbattere l’aereo russo è probabilmente giunto dal quartier generale Nato di Bruxelles – sconfinamenti di questo tipo, in quelle situazioni, sono comuni – ed alla Turchia poteva far piacere oppure no, ma ha dovuto obbedire.
La Turchia non vede poi così male la missione russa, poiché l’ISIS è una minaccia anche per il partito moderato di Erdogan, però c’è l’altro aspetto, ossia l’alleanza con Assad, la sua difesa come fedele alleato del fianco Sud dell’Orso Russo. E, questo, è un bastone fra le ruote per Ankara: ma la contrapposizione fra russi e turchi è vecchia di secoli, dalla battaglia di Sinope in poi.

Quello turco è stato dunque un avvertimento, una sfida che – ovviamente – non viene lanciata da Ankara, bensì da Washington (per la questione ucraina), Bruxelles (per servaggio nei confronti USA, l’UE non ha interessi a controllare militarmente l’Ucraina, anzi) e da Tel Aviv, per una sorta di “no fly zone” che la presenza dei russi ha stabilito – di fatto – nell’area, e che “infastidisce” molto Israele.

C’è, infine, la questione petrolifera che ruota intorno al porto di Tartus, alla quale tutti sono interessati, ma è una contrapposizione meno rischiosa: in ambito energetico, tende a prevalere l’accordo piuttosto che la violenza, soprattutto quando gli attori sono “di calibro”.

Per Mosca si pone quindi un dilemma, che ha – a ben vedere – un’unica soluzione: se la scelta è stata quella di tornare grande potenza sullo scenario mondiale – Georgia, Ucraina, Siria – ora non possono mettere la coda fra le gambe.
Perciò, Lavrov chiederà una sorta di “pass” senza problemi, e senza arretrare di un millimetro nella difesa del regime di Assad: se lo otterrà, non avverrà nulla. Al contrario, vedremo arrivare a Latakia anche i Su-27 e, forse, addirittura qualche Su-35: roba che non ha certo paura degli F-16, turchi od israeliani essi siano.


15 novembre 2015

False Flag: tutto risolto, andate in pace


Il False Flag è il nuovo escamotage per rifiutarsi di capire. Per non comprendere la sequenza dei fatti storici, per cercare scorciatoie che diano audience e confortino, con mezzi semplici, i sempliciotti. Il False Flag è il cugino in terzo grado del cui prodest: almeno, nell’ultimo, c’è spesso qualche sillogismo di supporto.

Noi occidentali tutto possiamo, e ci divertiamo nel continuare a credere alla nostra onnipotenza: questi li mettiamo lì, gli diamo un po’ di missili, devono colpire quelli là, così ci fanno un favore. Poi, andiamo da quelli là e diciamo loro (mentre pubblicamente ci affratelliamo al loro dolore): avete visto che scherzo? Quelli là, masticano amaro ed armano quelli di giù, che vengono su e ci ammazzano un po’ di gente.
Sono tutti False Flag, tutta roba che controlliamo noi a seconda dei nostri obiettivi strategici: tranquilli ragazzi, crepate in pace con un colpo di Kalashnikov che vi perfora le budella e che vi brucia dentro come un granello d’inferno, è solo un False Flag, è gente nostra, che lavora per noi.

Mi metto a leggere e scopro una marea d’incompetenti, di gente col cervello all’ammasso, che s’inventa tutto ed il suo contrario per mettere il proprio nome in calce ad un articolo. Quante volte l’Iran doveva essere bombardato, invaso, massacrato? Quante volte l’hanno scritto?
Andiamo per ordine: cercherò d’essere il più breve possibile. Ma, perdio, se si vuole capirci qualcosa bisogna pur citare fatti, fonti, eventi, personaggi...e ci vuole un po’ di tempo. Altrimenti, c’è il False Flag che acquieta in breve tempo, come l’Aspirina.

Fino al 1980 lo schema è bipolare: noi vi facciamo una cacca lì e, domani, i sovietici ce la rimandano di qua, business is usual.
Ma, quella mente diabolica di Brezinskji s’inventa un trucco per cacciare i sovietici da Kabul: proviamo ad armare i mujaiddin afgani, così fanno la guerra per noi. Noi guadagniamo su petrolio ed oleodotti e quelli – perché sono fessi – crepano. Approvato per acclamazione.
Succede, però, e questo non molti lo sapranno che, nel 1981, in un albergo di Peshawar si riunisce uno strano gruppo: la figura più importante è un miliardario saudita, facente parte della famiglia reale, un tipo elegante, che fino a qualche anno prima girava le capitali europee vestito all’ultima moda.
Quest’uomo ha un’idea: i sovietici sono oramai bolliti, e dopo, che facciamo? Abbiamo armi in abbondanza, soldi in abbondanza: perché non ci mettiamo in proprio?
Così viene gettata la prima pietra dell’attacco di ieri, anche se i protagonisti, oggi, sono diversi anni luce da quei loro antenati.

Ma scoppia la guerra in Jugoslavia, ed ecco la prima uscita “in proprio” – ampiamente tollerata dagli euro americani, perché toglieva loro la castagna serba dal fuoco! – ma i croati, in Erzegovina, vogliono fare i padroni e ne vogliono un pezzo (Mostar compresa): ecco allora le due divisioni musulmane Handsar e Kama prontamente ricostituite – completate con i nomi originali che ebbero in epoca nazista, quando combatterono contro i partizan jugoslavi – che difendono Sarajevo, Jablanica, Mostar. In gran parte contro i serbi: il copione si ripete, ma la contrapposizione contro i croati, cattolici, è forse pari a quella contro i serbi. In questo frangente, ecco un embrione delle future guerre “a geometria variabile”: più alleati e nemici, con i quali mercanteggiare sul campo di battaglia, trattare e combattere, alla bisogna.

Ecco cos’è quello che noi chiamiamo “False Flag”: perché, ai nostri occhi velati dal nostro modo di pensare – dagli Orazi e Curiazi fino alle trincee, alle mitragliatrici, ai tank, ai sommergibili – così appare. Non può che essere una costruzione, pensiamo, perché è assurdo: vi chiedo, gentilmente, di contare le assurdità della Jugoslavia o quelle, forse più conosciute, dell’Iraq tripartito fra curdi, sciiti e sunniti. Più le truppe occidentali, a tentare inutili mediazioni.
Andiamo avanti.

Giunge la prima Guerra del Golfo: la sola, per importanza mediatica e sociologica.
Un giovane Ennio Remondino – grande giornalista – inviato ad Amman per osservarla e riferire, ha una vera e propria illuminazione. Cito: “Ci stiamo giocando il sostegno delle borghesie arabe”.
Ai più, la frase passa inosservata: e chi se ne frega delle borghesie arabe? Noantri semo più bbravi, semo forti...

In Paesi con scarsi apparati industriali, la borghesia è la classe dominante per antonomasia, nel senso che quasi “è” lo Stato: funzionari, militari, finanza, sanità, istruzione. Perdete la borghesia, e non ci sarà altra classe sociale sulla quale contare: avrete perso lo Stato, od il potere, se preferite.
Siccome il potere è spesso sorretto dall’Occidente – pensiamo alla Giordania (GB) od al Libano (F), (accordo di Sèvres, 1920) – perdere il consenso della borghesia significa tranciare qualsiasi liaison con l’Occidente.

Non stiamo parlando di petrolio o di armi, bensì di sociologia: dobbiamo entrare nella mente di un borghese mediorientale, seduto sul divano di fronte ad Al-Jazeera, il quale ascolta, medita ed osserva. Pensa: ci bombardano come cani, ci massacrano, mentre Israele può fare tutto il c... che vuole e nessuno dice niente. Quelli hanno l’atomica e l’Iran non può averla: perché? L’ONU ha più volte richiamato, con risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e con voti dell’Assemblea, Israele: deve tornare nei confini ante 1966. E quelli se ne fottono. Per Saddam, un mese di tempo per sloggiare dal Kuwait, il quale gli doveva un sacco di soldi per la difesa contro l’Iran e, in aggiunta, grazie ai Bush-petrolieri, gli fotteva pure il petrolio, trivellando in diagonale dal confine kuwaitiano per “pescare” nel giacimenti iracheni.
Ecco che passano sui teleschermi le immagini dei bambini bruciati, inceneriti...dei rifugi carbonizzati come scatole di fiammiferi ed il nostro funzionario di banca, o colonnello giordano pensa: perché dobbiamo sempre riverire questa gente? E’ dai tempi di Mossadeq che ci fregano, che ci rubano, che ci disprezzano.
E’ il 1991.
Un giovane nato in quell’anno, oggi ha 24 anni: quanti anni hanno i miliziani di Parigi?

Non starò a ricordarvi tutto quello che avvenne in Iraq ed Afghanistan dal 2003 in poi: se cercavate un luogo da trasformare in una grande madrassa (scuola islamica) a cielo aperto, lo avete trovato. Milioni di giovani che hanno visto i fratelli, i cugini con le schegge d’Uranio impoverito nelle carni, delle madri mute e piangenti ai loro capezzali mentre, in silenzio – e lentamente – morivano in ospedali sporchi, bombardati, fatiscenti, con pochissimi medici affannati che lottavano la loro impari guerra contro la morte.

Ma le guerre a geometria variabile lasciano anche altri orpelli, seminano mezzi di morte molto evoluti per tutti: quanti Stinger (missile terra-aria) hanno fornito gli USA agli afgani per usarli contro i sovietici? Eccoli che tornano: basta inquadrare il bersaglio, attendere che il reticolo acquisisca l’immagine del velivolo e premere il grilletto. Facile no? Un aereo militare può tentare virate al limite dei 9 G per fuggire, un velivolo civile cade come una pera.
Poi ci sono i soldi, tanti: grazie a zacat e saddaqa (le forme di carità islamiche) si possono distribuire risorse, tante, a tutti coloro che desiderano combattere l’odiato nemico. Perché? Poiché l’Occidente non può fare a meno d’importare colossali petroliere tutti i giorni dell’anno dai giacimenti sauditi, kuwaitiani, iracheni...l’occidente deve far vorticare i suoi macinini a petrolio, altrimenti il PIL crolla, le azioni crollano, i finanzieri scappano. Magari proprio dalle parti del Golfo.
C’è il turismo? Basta una sola sparatoria in un museo di Tunisi, e Costa Crociere e MSC cancellano tutti gli scali in Africa Settentrionale: adesso vedremo che fine farà Sharm el Sceik. Con meno soldi, anche i miliziani costano di meno: ieri con 1000 dollari – poniamo – ne inquadravi 10, oggi 20...o forse di più...
C’è ancora un “regime” che si oppone a questo andazzo, è quello di Gheddafi: spazzato, anche con l’aiuto degli italiani coglioni.

Perché, vedete, il “False Flag” non si occupa delle singole azioni: ma vi figurate? Imposta una strategia, poi sono gli altri a fare.
Perché l’Europa deve stare agli ordini USA, ma la Germania vuole fare affari con la Russia (Opel Magna, ad esempio) ed ai crucchi non frega nulla dei missili americani in Ucraina: la Crimea e l’Est possono pure tornare alla Russia, a noi importa poter impostare tante belle fabbriche di “made in Deutschland”, dove si costruisce con gente pagata (oggi) 100 euro il mese. E che volete che sia, gliene daremo 200 e saranno contenti! Il Donbass? Ma che se lo prenda pure Putin...
Ecco, allora, che la Germania diventa amica e nemica allo stesso tempo, in un perfetto schema a più parti ed a “geometria variabile”.
La Francia, perché la Francia?

Poiché il modo di pensare, il modo di vivere francese è il più odiato dagli islamici (odierni): sentito parlare di Illuminismo? Certo, anche i bombardamenti...ma la Francia non è mica l’unica a bombardare l’ISIS...
Nella Baghdad del IX secolo, un certo Abu-l-Hasan Alì al-Masudi – un enciclopedista – affermò “solo la logica (kalam) può riconciliare in pieno ragione e fede”: l’affermazione gli costò 10 anni d’esilio al Cairo. Qui da noi, lo avremmo passato sulla graticola all’istante: Giordano Bruno insegna.

Ma, dalla Baghdad gaudente di quei secoli – una vera Parigi, per cultura e divertimenti: paradossale vero? – ad oggi c’è di mezzo un certo emiro, tale Al-Wahabi, il quale pensava che l’Islam dovesse essere il meno tollerante possibile e che la vita dovesse essere sofferenza e privazione. Nulla delle “prescrizioni” di Al-Wahabi è, ovviamente, contenuto nel Corano: dall’infinito tormentone sugli abiti delle donne islamiche al divieto di guidare autoveicoli per le donne saudite (Al-Wahabi era un uomo del 1700!).
Ma strinse amicizia con un altro personaggio, un certo Al-Saud che – col trascorrere dei secoli – divenne il capostipite della casa regnante saudita. E i sauditi crearono questo regno anacronistico, dove si taglia la testa alle persone anche per un incidente stradale, dove non c’è un Parlamento e dove le donne non possono guidare per editto reale. Un pezzo di medio evo con, al posto delle carrozze a cavalli, le Rolls-Royce: un ricchissimo anacronismo.

Se vi recate in Bosnia, notate un particolare: le moschee – distrutte dalla recente guerra – sono state tutte ricostruite. Ma, al posto del tradizionale stile ottomano, sono tutte costruite in puro stile saudita: in altre parole, i sauditi esportano soldi (ne hanno tanti) e cultura. La loro, quella impostata da Al-Wahabi.
Non stupitevi dunque se la parola “crociato” è ripiombata nel lessico, se si parla di nuovo della riconquista di Granada, oppure di Lepanto: tutti concetti di un tempo lontano i quali, se parlate con un magrebino, li conoscerà a menadito. Non gli eventi, le parole e basta: “un giorno” noi eravamo a Granada. Quale giorno? Eh, tempo fa...Quanto? Mah, tempo fa...Non lo sanno.
Questa cultura raffazzonata non esce da Al-Azhar, si crea sul Web senza controllo: fa più un video dell’ISIS con colpi di mitra e gole tagliate di mille libri, questo è certo.
Allora, perché la Francia?

Poiché, se ci riflettete un attimo, non c’è nulla di più distante del credo wahabita dal “credo” illuminista, che è proprio l’opposto di un credo, per questo è virgolettato.
Da un lato, tutto discende dal “libro” (falso, dei dettami wahabiti nel Corano non c’è nulla) e deve essere seguito come parola di Allah, dall’altra tutto deve essere prima valutato, passato sotto la lente della ragione. Noi italiani non ci rendiamo conto dell’importanza di questa contrapposizione, poiché siamo una nazione che vive in mezzo al guado: le critiche anti-illuministe del Vaticano non sono un segreto. Altro paradosso: il Vaticano “terra dei crociati” e, lo stesso Vaticano, sulla stessa sponda dell’Islam radicale nei confronti dell’Illuminismo.
Ma chi è questo Islam radicale?

Al-Qaeda di Al Zawahiri è troppo vecchia, troppo legata a schemi tradizionali per stare sulla scena: a ben vedere, Al-Zawahiri viene dal Cairo, da Al-Azhar, ha quasi 65 anni, concepisce la contrapposizione internazionale come uno schema mono-direzionale, non è in grado di comprendere lo schema a geometria variabile con più attori, che mutano le loro alleanze continuamente.
Allora nasce l’ISIS. Da dove viene?

L’ISIS nasce a Tikrit, la città di Saddam Hussein: la prima azione violenta è l’uccisione di migliaia di reclute irachene che si recavano a Tikrit per prendere servizio. Con l’inganno, vengono prima dimesse, poi trucidate sulla via del ritorno: erano tutte reclute sciite.
L’idea è quella di creare una contrapposizione allo strapotere sciita/curdo in Iraq, ritagliandosi un territorio a Nord (Ninive, ecc) con addentellati in Siria e nei territori curdi. Respinti dai curdi, si sono diretti verso la Siria: ecco perché la Russia si è mossa, poiché la Siria fa parte del “bastione Sud” della Russia, quello che protegge il Caucaso ed il mar Nero. Di più: c’è il porto di Tartus, unica base per la marina russa nel Mediterraneo.
Notate come la Russia non si muova per altre aree, ma diventi terrificante (come risposta militare) quando si tocca il fianco Sud: vedi Georgia e, oggi, Siria. La Cecenia, guarda a caso, è sulla stessa strada.
Che fare dunque?

La questione si chiuderà semplicemente lasciando lavorare i russi in pace: probabilmente, dopo Parigi, si muoveranno con più convinzione anche i francesi, se non altro per pressioni interne. In ogni modo, tre mesi di missione russa con 50 velivoli e l’ISIS scomparirà, non esisterà più come struttura militare. Un fallimento americano? Certo, ma gli USA – che continuano a credere alla dottrina Brezinskji – ne studieranno un’altra: sono degli sprovveduti della politica internazionale, capacissimi di vincere le guerre, ma totalmente inetti nel gestire la pace susseguente.
Il vero sconfitto sarà l’Arabia Saudita, che ha fatto il passo più lungo della gamba, ma questo era nelle previsioni: di soldi, i sauditi, ne buttano ogni giorno che passa. Li segneranno, come tanti altri, nel capitolo di bilancio “bizzarrie”.

Una vera soluzione, per il Medio Oriente, passa soltanto attraverso una revisione del passato: gli accordi di Sèvres non si possono oramai cambiare, ma quelli relativi ad Israele sono ancora validi e si potrebbero rivedere, mi riferisco alle risoluzioni ONU.
Altrimenti...andremo avanti così...morirà l’ISIS, si formerà al-qualcosa, poi al-qualunque...e così, via: senza la soluzione del problema palestinese, il mondo arabo non s’acquieterà mai.

07 novembre 2015

Il povero Tito, e poveri noi


Il povero presidente dell’INPS si è visto rigettare la sua ennesima richiesta (1): dare un reddito di 500 euro il mese ai disoccupati 55enni, prelevando il denaro necessario dalle pensioni d’oro di 230.000 persone e da 4.000 vitalizi di parlamentari oltre gli 80.000 euro. Si noti: tutte persone che percepiscono assegni oltre la quota dei versamenti effettuati, vale a dire senza effettiva copertura, un elenco lungo che va dai parlamentari agli amministratori locali fino ai sindacalisti. Insomma, il “cuore” del sistema mafioso di potere.

Qualcuno ha detto “non si può smettere di lavorare a 55 anni”, altri “non si mettono le mani sulle pensioni” ed altre facezie del genere.
Il piano di Boeri era ben congegnato, ed a noi interessa il titolo “Non per cassa, ma per equità”: Dio sa di quanta equità distributiva questo Paese abbia bisogno, visto che il 10% della popolazione possiede quasi il 50% della ricchezza. Ma, qual 10%, ha deciso di tenersela (fra di loro ci sono tutti i parlamentari).

Boeri stesso diede il buon esempio: il suo predecessore, Mastrapasqua – quello che aveva falsificato gli esami universitari, e quindi condannato, e dunque non si capisce come potesse occupare quel posto (oggi è stato rinviato a giudizio per altre malversazioni e truffe varie nella sanità) – percepiva, come presidente INPS, la “cifretta” di 1,2 milioni di euro l’anno. Boeri se l’è auto-ridotta a 120.000 euro, ossia un decimo. Non desidero tessere il panegirico di Tito Boeri, però i fatti sono fatti.

Due aspetti della vicenda mi sembrano interessanti.
Il primo è che, contrariamente alla normalità, è stato il ministro del lavoro Poletti ad “andarci giù pesante” con la proposta Boeri: stranamente, né Renzi si è pronunciato (oltre le consuete frasi di circostanza ed i soliti slanci d’ottimismo sul futuro) ma, soprattutto, totale silenzio dal suo High Controller, quel bel elemento del ministro dell’Economia Padoan, uno che – se lo fissi per più di 3 secondi – ti fa venire una fitta allo stomaco.
A mio parere, è poco credibile che Renzi ed il suo Controller non si siano sentiti: probabilmente, non desideravano uno scontro con Boeri, poiché trovarne un altro non è facile. Oddio sì: le mezze calzette abbondano, sono i veri economisti a scarseggiare. Tutto sommato, meglio tenerselo buono, avranno pensato.

La seconda vicenda riguarda più espressamente la politica economica di questo disgraziato Paese: è lapalissiano che, stornare le cifre eccedenti a quegli altissimi emolumenti per dirottarle su un assegno di disoccupazione (com’è in tutta Europa, salvo Italia e Grecia) avrebbe significato un “travaso” da Wall Street a Main Street, come in gergo sono chiamate la finanza bancaria/industriale/amministrativa (ecc) e l’economia reale.
E’ chiaro a tutti che i 500 euro dati ad un disoccupato sarebbero stati “scialacquati” in spaghetti, biscotti, qualche vestito, scarpe...ossia tutti beni che sostengono l’economia reale (ossia la direttrice vendite-lavoro-posti di lavoro, ecc), mentre nelle mani di chi attualmente li detiene significano grandi investimenti esteri in fondi (azionari, sovrani, ecc), ossia soldi che – al comune italiano – non portano nessun beneficio.

La risposta è allora chiara, soprattutto per un uomo intelligente come Boeri: questo Paese non deve “decollare” bensì sarà gradualmente “decollato”, poiché quei poteri non arretrano di un centimetro.
Vorrei far notare che questa è tutta una questione italiana, ossia interna al bilancio italiano: difatti, Boeri ha precisato le coperture. Qui non c’entra nessun potentato straniero: una partita di giro interna.

Allora, caro Tito: cosa vogliamo fare? Ommini, mezzi ommini, omminicchi, pigliainculo e quaqquaraquà: cosa scegli? Una lettera di dimissioni sarebbe un bel gesto: per te e per l’Italia.

(1) http://ilmanifesto.info/il-governo-silura-la-riforma-delle-pensioni-di-boeri-inps/