02 gennaio 2014

Difficile risveglio



E’ sempre un trauma quando suona il telefono alle 8.30 del giorno di Capodanno: lì per lì speri che sia uno sbaglio...che al telefono, dall’altra parte, ci sia un ragazzo che ha fatto tardi e vuole rassicurare a casa. Speri: altrimenti...


Invece, la voce non è un tono sconosciuto, ancorché reso rauco dal pianto.

Dice poche parole “F....è morta...” poi, scoppia in lacrime. Mio cugino è affranto dopo una notte da incubo, iniziata come da copione al pranzo degli Alpini e terminata col medico del 118 che scuote la testa.

Un infarto, oppure un’embolia polmonare alle tre di notte: così se n’è andata F., la mia unica cugina, con la quale ero cresciuto, 64 anni – due anni più di me – un po’ la mia sorella maggiore.



La giornata è magnifica, tutto è deserto a quest’ora di Capodanno ma la natura s’è svegliata e le fronde degli ulivi stormiscono leggermente e con grazia alla brezza marina, mentre gli uccellini ancora sono silenti; dopo la sbornia di scoppi della notte si domanderanno: cos’è stato? Questo uragano di fuoco e scoppi è stato opera degli umani? E allora, perché non si vedono in giro come gli altri giorni?

Ho deposto la cornetta ed osservo la casa deserta, in quiete: mi concedo qualche attimo prima d’attaccarmi di nuovo al telefono, per attivare il mio ruolo di stazione ricevente/trasmittente verso il mondo dei dormienti od appena svegli e giocare la parte di un addolorato Mercurio.



In quei pochi istanti, tornano alla mente i ricordi più lontani: noi due, bambini, nel bagagliaio della “Topolino” giardinetta con la carrozzeria di legno – detta “capunera", “capponaia”: per estensione linguistica, il posto dove si mettevano i polli – perché nell’antica utilitaria i “grandi” stavano seduti nei quattro posti – gli uomini davanti, le donne dietro – ed i bambini...nel bagagliaio. E ricordo il tuo incaponirti con me perché non pronunciavo la “erre”: facevamo mille prove...si...la lingua contro il palato, così...adesso...niente, la mia erre moscia era troppo radicata e prepotente. Il problema non era mio: se avevo la erre moscia, dovevo nascere un centinaio di chilometri ad Ovest ed in Francia non ci sarebbe stato nessun problema!

Ma tu insistevi, e si ricominciava: lingua, palato, tremito (?) della lingua...niente, sarò stato parente dell’Avvocato...



Passarono gli anni, e tu – un brutto giorno – perdesti il papà: così tornai a farti un po’ di compagnia, ad andare al cinema insieme...ed io (15 anni) iniziai a capire qualcosa del mondo femminile...perché bisognasse aspettare due ore (ma a che spettacolo andiamo?!? Dai, Carlo, andiamo a quello dopo...) perché era necessario “cotonarsi” i capelli. E non si vedeva cotone: mah...

Col passare del tempo non capii perché, invece d’andare a vedere John Wayne, si dovesse andare in un piccolo paese periferico (sempre a piedi) per veder giocare la squadra locale: che mia cugina fosse diventata una sfegatata tifosa? La realtà era più prosaica: in quella squadra giocava quello che sarebbe diventato mio cugino. Proprio quello che piangeva al telefono.



Gli ultimi vissuti insieme riguardarono le sue amiche più giovani (lei era del ’49, io del ’51) che potevano essere interessate a me, magari pure io ero interessato a loro...in quel gioco che iniziai a comprendere, fatto di 500 frasi compiute, confessate però in 1000 mezze frasi, per rendere la cosa più intrigante e misteriosa.

Devo confessare che, in sella alla mia “Bianchi 200” da motocross, all’epoca facevo una discreta figura e le tue amiche non furono mai deluse da quegli incontri. Talvolta, in quella nostra innocenza, s’andava un poco oltre ma il lettore non immagini chissà quali turbolenze...quando tornavo a casa con il maglione di lana impregnato di foglie secche...beh...spiegavo a mio padre che ero andato a correre in pista e che ero caduto un paio di volte. Forse lui ci credeva, ma mia madre aggiungeva, velenosa: “E’ andato in camporella...”



Tu eri già fidanzata e, quando ti sposasti, io vivevo oramai lontano...così non ricordo nemmeno se venni al tuo matrimonio...e nemmeno quando avesti la bambina...che pessimo cugino hai avuto!

Ci siamo ritrovati in età matura per altri frangenti: a poco a poco, sono caduti tutti come le mosche d’autunno e ci siamo ritrovati ad essere i più vecchi, quelli che “ci dovevano pensare”. Ci saremo riusciti? Mah...



La cucina rimane deserta: tutti dormono, ed io devo telefonare. Già, devo telefonare, ma sono rapito dai ghirigori del pavimento “alla veneziana”: per capirci, quei pavimenti lucidati “a piombo” con la graniglia così fine che, se ti cade qualcosa, non lo ritrovi più. Però sono magici.

Sono infinite le figure che crea e che disfa mentre m’aggiro pensieroso attorno al tavolo: ad ogni giro cambia il “tessuto” e compaiono immagini nuove. Questo è un guerriero amazzonico e forse africano: si notano gli occhi fieri che guardano lontano, forse all’orizzonte, per capire se quella macchia è una preda od un predatore. Semplice incasellamento più in alto o più in basso, per noi – biologi materialisti – nella scala dei consumatori primari e secondari: argomento più essenziale e decisivo per lui.



Ma al giro seguente non c’è più: lì presso è comparso un capitano con la barba, un capitano di velieri, dei “barchi” che portavano il minerale di ferro dall’isola d’Elba e lo sbarcavano nei golfi liguri. Non nei porti: nei porti non c’era posto per quelle modeste golette che ancora solcavano il mare al tempo delle macchine, e allora abbattevano il “barco” su un fianco nei pressi della spiaggia e stendevano una lunga sequenza di traballanti tavole di legno. Lì, i “camalli” caricavano i sacchi e poi percorrevano la traballante passerella cercando di non cadere in mare, pressappoco dove noi oggi facciamo il bagno. Giunti sulla spiaggia, era pronto il carro con gli enormi buoi da tiro che avrebbero condotto il minerale nell’interno – ricco di legname – per trasformarlo in ferro, buono per il muratore che costruisce, ma altrettanto buono per il soldato che ammazza.



Addio, capitano: buon vento, so che non ti ritroverò mai più! Oh, questa è una figura dall’aspetto nobile: che bella signora! E’ di fine ‘800 ed ha ancora il colletto abbottonato alla gola, si nota benissimo. “Moglie e madre esemplare” ci sarà scritto nella lapide di un cimitero abbarbicato sulle colline e spazzato dal vento: già, per le donne c’è sempre poco da scrivere...”Moglie e madre esemplare”...scusate se è poco, sono loro che garantiscono la sopravvivenza della specie. Come? Non siete d’accordo? Beh...noi uomini facciamo “zic zic” e ci piace, ma dopo...tocca a loro presentarci quell’affarino che sta in un cestino di lenzuolini e che piange. E come fanno a tirarli su? Mistero, che ogni donna conosce.



Mio Dio! Non sapevo che la mia cucina fosse così abitata! Che sia questo il senso dell’esistere? Un puzzle che cambia disposizione ad ogni giro della ruota? Lascio ai filosofi l’arduo compito, io sono solo un descrittore di pavimenti dinamici e l’unica cosa che so fare è girare attorno al tavolo e generare rapporti.

Vorrei anche dedicarmi un poco alla letteratura e scriverti una di quelle lettere che si vergavano nell’Ottocento...quelle lettere...scritte da personaggi famosi (quelle dei meno famosi sono andate, semplicemente, perdute) come Goethe e Leopardi, che iniziavano sempre con un “Mia cara cugina...”.



Già, quante cose avrei ancora da raccontarti, mia cara cugina, ma non ci sei più. L’Uomo/Dio ha compiuto un’altro giro attorno al tavolo ed il mosaico è cambiato: addio mia cara cugina, con te non è mai stato tempo perso, né banale chiacchiericcio. Ti porterò sempre con me nel ritratto di quel giro attorno al tavolo, quando, sorridente, ti divertivi a far dire la erre ad un francese nato, chissà perché, nel Paese sbagliato.



Scusate se, per una volta, non parlo di grandi avvenimenti politici o storici, bensì di giri attorno ad un tavolo: mi sono permesso, scusate ancora.

5 commenti:


  1. Carlo,

    non, esser triste! Guardiamo oltre, e rammentiamo che la morte non esiste, perché l'anima è eterna. Essa è la Grande Illusione, la Maha Maya inventata per farci comprendere che l'unica cosa vera ed importante al mondo è l'Amore.
    L'Amore che abbiamo provato e scambiato continua, è eterno.
    Lasciamo il corpo come un abito smesso e continuiamo a vivere nel cuore di coloro che ci amano.

    Ti abbraccio teneramente e fraternamente.
    Eli

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  2. In queste "feste" sono stato anche io attorno ad un tavolo o a qualcosa di molto simile al "tuo" tavolo con il "tuo" pavimento speciale....

    Buon Arcobaleno a te.
    Doc

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