L’alberello è verde ed invitante al vivaio, nella Primavera ligure, con quel cielo che s’azzuffa ogni mattina, con quel vento che ti parla e ti canta dieci…venti diverse canzoni ogni giorno. Cerca di fregarti, di mandarti in Corsica se il motore non parte, ma tu gli vuoi bene lo stesso perché è un vento che interroga, domanda, ti chiede perché vivi e perché sei ancora vivo.
E l’alberello ti strega, anche se costa una trentina di euro, perché sai che nel vuoto dell’Inverno ti regalerà una manciata di verde e – se andrà bene – d’arancio per ingentilire il guardo, sollevare l’animo dai cieli bigi e convincerti che la vita, il sole, l’acqua torneranno a scorrere di nuovo, nel calore dapprima timido, poi torrido, di una nuova stagione.
Già…adesso che l’hai comprato e l’hai stipato nella vecchia Panda, pensi che bisognerà convincere la suocera a far posto al nuovo arrivo, come quando portavi a casa cuccioli abbandonati e tuo padre ti guardava di storto.
Così, lo sistemi proprio sotto il balcone, nell’angolo morto della sua visuale: domani è un altro giorno, si vedrà.
Il giorno dopo è Domenica: a pranzo, non si parla d’altro che di nuovi solchi e d’altre semine, perché la stagione avanza e, quel che oggi non scende nella terra, domani non potrà salire.
Mia moglie ha già notato l’alberello che strepita, costretto nel minuscolo vaso di plastica e – quasi con la bava alla bocca – si tende verso le aiuole, a chiedere un posto anche per lui, nato ed innestato in qualche anonimo vivaio dell’imperiese o dell’agrigentino, che oggi sta per ricevere la sua imputazione definitiva, il suo posto fra le altre piante del giardino.
Mia moglie ride, perché è curiosa di capire come farò – anche questa volta – ad incuriosire sua madre ed a strapparle il permesso di trapiantare l’arancio, d’innestare nel disegno che fu del marito qualcosa che è, soltanto in fieri, parte di un diverso intendere gli spazi: geometrie d’altre generazioni.
Oh, ma le donne s’intendono, capiscono le generazioni…le hanno messe al mondo!
Arriva per pranzo mio figlio – u fantin[1] – ed un’occhiata fiammeggiante lo informa che nulla deve aver visto, di nulla deve parlare, pena la sospensione delle paghette.
Così, si mangiano i friscieu de buraxe – le frittelle di borragine – perché nell’orto cresce soltanto quella a Marzo, accompagnata da una frittata d’erbe selvatiche, qualche oliva con la formaggetta di capra e la prima insalata. Cibo da re, se i Re lo sapessero.
Dalla grande porta a vetri, che dà sul terrazzo, le lame di sole fluttuano potenti, fin sul desco: il Sole è già alto, la bella stagione sta per iniziare. Ed io ho una piantina d’arancio da trapiantare che non so se troverà asilo.
Mi salva u fantin perché, nell’innocenza dei diciassette anni, si può anche chiedere alla nonna perché – oltre a limoni e pompelmi – non ci siano anche aranci e mandarini: sta per dire che c’è anche una palma da datteri che non ha mai maturato un dattero, poi si morde la lingua per non incorrere nelle ire della madre, e rimembrare un momento di tanti anni prima quando, in gita scolastica sul Lago Maggiore, era tornata con una palmetta per piantarla nel giardino.
Già, ma i giardini sono rigorosamente suddivisi per classi sociali e, in quelli degli operai, le palme sono soltanto delle intruse che portano via spazio a patate e pomodori. Ma il padre, all’epoca, cedette e la palma è oggi un albero.
La nonna sorprende: eh, certo…magari non ci starebbe male un arancio…(tanto – pensa – oggi è Domenica: dove lo va a prendere?) ed invece il trucco ha funzionato.
A sera, il piccoletto fa già bella mostra di sé fra un limone un po’ cresciutello – un “cugino maggiore” – ed un’antica vite, un’ava, che si prodiga ma oramai riesce poco e male nel fornire grappoli maturi.
Sapientemente concimato, con terreno acido e spolverata di lupini, abbondantemente annacquato e preservato con il verde rame dalla cocciniglia, lasciamo il giovane virgulto per tornare sui monti.
Ed è proprio mia suocera a farmi notare, la settimana seguente – la sua factotum/badante/amica l’ha condotta, sorreggendola, in un breve tour in giardino – che l’alberello ha già dei fiori, e sono fiori già impollinati, che diverranno frutti.
Non sono esperto d’agrumi: la notizia mi fa piacere, ma non ci punto molto. E invece.
Nella Luna d’Agosto, quando festeggiamo in giardino i 30 anni della figlia maggiore, l’alberello ha già otto palline tonde, verdi, dure: frutti sodi, ben attaccati al picciolo, che hanno tutta l’intenzione di maturare.
Ed è a Novembre, quando le olive iniziano a maturare, che il verde di quei palloncini inizia a tingersi d’arancio: mia suocera non le perde di vista un istante, dalla finestra dalla quale è costretta ad osservare quel mondo che fu suo dalla nascita, ed ogni giorno registra un modesto avanzare, un altro fazzoletto di buccia che è virato all’arancio.
E’ Dicembre, mentre le cassette delle olive s’accatastano sulla ghiaia, e gli otto frutti sono oramai splendenti nel loro arancio, ma i piccioli sono ancora saldamente ancorati e non vogliono rilasciarle: non è tempo, Uomo, per avvicinarti al frutto della natura.
Attendi il tuo turno, magari quando la febbre salirà per purificarti il sangue: al tempo sarò pronto per te, per placare la tua sete ed accompagnarti nei vaneggiamenti della tua mente nel tempo in cui, assonnato e febbricitante, sarai accolto dalle coltri. Tu e le tue ossa dolenti.
E invece.
Invece, una mattina come un’altra, le arance non ci sono più: qualcuno ha dimenticato il cancello senza il classico “giro di chiave” e qualcun altro è entrato. Cose da vecchi, che si dimenticano le chiavi e la serratura, mentre le persone che transitano per la stradina sono quasi tutte di giovane età, giovani che fanno jogging.
Mia suocera è affranta: ma come…otto arance…se le vai a comprare varranno solo un euro…eppure erano belle, mi tenevano compagnia…pregustava l’istante nel quale le avrebbe avute nel cesto, sul tavolo della cucina, per mostrarle ai parenti. Le “nostre” arance: il “nostro” agire, il “nostro” modo di vivere.
Perché non hanno chiesto? Se avessero chiesto un euro per comprare delle arance glielo avrei dato. Già, mostrarsi deboli, bisognosi di carità: questo è quel che passa nella mente di una vedova, classe 1919. Io, invece, so che le persone le quali – probabilmente per una bravata – sono andate a prendere quelle arance, in tasca avevano presumibilmente un telefonino che valeva una tonnellata d’arance.
E mi tornano in mente parole desuete…in fondo, chi ruba una mela…invece quelli che rubano i miliardi…no: non si rubano né le mele e né i miliardi, a meno che quelle mele non siano a terra abbandonate a marcire (per i miliardi non capita mai).
Perché questa società, che si dice permissiva e tollerante, ha smarrito i fondamenti dell’etica: il “bene” in sé non è nulla, è solo merce. Diventa “bene” quando viene messo in relazione dialettica con l’individuo che lo cura e lo gode, per il tempo speso nel curarlo, per le ore spese prima d’assaporarlo.
Ma, la nostra società, ha deciso d’uccidere il pater e, con esso, tutte le inutili anticaglie che fanno capo al rispetto ed all’etica: “che volete che sia…” è il leitmotiv imperante.
Da una mela ad una ruota, da un motorino ad un’auto, da, da, da….a, a, a…
Oggi, Angela, vede solo cielo. Dalla sua finestra d’ospedale osserva il cielo e si domanda se, dopo l’operazione al femore, sarà ancora in grado di muovere qualche passo. Ancor più, siccome è una persona sagace, si domanda con gran timore se la sua mente reggerà allo sconvolgimento.
Certo, erano solo otto arance: piccole palline che arrossavano l’Autunno di una vecchia, che poteva solo osservarle, giorno dopo giorno, maturare dalla sua finestra. Che le tenevano compagnia quando la figlia, il genero, la sorella ed i nipoti non c’erano.
Che volete che sia.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
E l’alberello ti strega, anche se costa una trentina di euro, perché sai che nel vuoto dell’Inverno ti regalerà una manciata di verde e – se andrà bene – d’arancio per ingentilire il guardo, sollevare l’animo dai cieli bigi e convincerti che la vita, il sole, l’acqua torneranno a scorrere di nuovo, nel calore dapprima timido, poi torrido, di una nuova stagione.
Già…adesso che l’hai comprato e l’hai stipato nella vecchia Panda, pensi che bisognerà convincere la suocera a far posto al nuovo arrivo, come quando portavi a casa cuccioli abbandonati e tuo padre ti guardava di storto.
Così, lo sistemi proprio sotto il balcone, nell’angolo morto della sua visuale: domani è un altro giorno, si vedrà.
Il giorno dopo è Domenica: a pranzo, non si parla d’altro che di nuovi solchi e d’altre semine, perché la stagione avanza e, quel che oggi non scende nella terra, domani non potrà salire.
Mia moglie ha già notato l’alberello che strepita, costretto nel minuscolo vaso di plastica e – quasi con la bava alla bocca – si tende verso le aiuole, a chiedere un posto anche per lui, nato ed innestato in qualche anonimo vivaio dell’imperiese o dell’agrigentino, che oggi sta per ricevere la sua imputazione definitiva, il suo posto fra le altre piante del giardino.
Mia moglie ride, perché è curiosa di capire come farò – anche questa volta – ad incuriosire sua madre ed a strapparle il permesso di trapiantare l’arancio, d’innestare nel disegno che fu del marito qualcosa che è, soltanto in fieri, parte di un diverso intendere gli spazi: geometrie d’altre generazioni.
Oh, ma le donne s’intendono, capiscono le generazioni…le hanno messe al mondo!
Arriva per pranzo mio figlio – u fantin[1] – ed un’occhiata fiammeggiante lo informa che nulla deve aver visto, di nulla deve parlare, pena la sospensione delle paghette.
Così, si mangiano i friscieu de buraxe – le frittelle di borragine – perché nell’orto cresce soltanto quella a Marzo, accompagnata da una frittata d’erbe selvatiche, qualche oliva con la formaggetta di capra e la prima insalata. Cibo da re, se i Re lo sapessero.
Dalla grande porta a vetri, che dà sul terrazzo, le lame di sole fluttuano potenti, fin sul desco: il Sole è già alto, la bella stagione sta per iniziare. Ed io ho una piantina d’arancio da trapiantare che non so se troverà asilo.
Mi salva u fantin perché, nell’innocenza dei diciassette anni, si può anche chiedere alla nonna perché – oltre a limoni e pompelmi – non ci siano anche aranci e mandarini: sta per dire che c’è anche una palma da datteri che non ha mai maturato un dattero, poi si morde la lingua per non incorrere nelle ire della madre, e rimembrare un momento di tanti anni prima quando, in gita scolastica sul Lago Maggiore, era tornata con una palmetta per piantarla nel giardino.
Già, ma i giardini sono rigorosamente suddivisi per classi sociali e, in quelli degli operai, le palme sono soltanto delle intruse che portano via spazio a patate e pomodori. Ma il padre, all’epoca, cedette e la palma è oggi un albero.
La nonna sorprende: eh, certo…magari non ci starebbe male un arancio…(tanto – pensa – oggi è Domenica: dove lo va a prendere?) ed invece il trucco ha funzionato.
A sera, il piccoletto fa già bella mostra di sé fra un limone un po’ cresciutello – un “cugino maggiore” – ed un’antica vite, un’ava, che si prodiga ma oramai riesce poco e male nel fornire grappoli maturi.
Sapientemente concimato, con terreno acido e spolverata di lupini, abbondantemente annacquato e preservato con il verde rame dalla cocciniglia, lasciamo il giovane virgulto per tornare sui monti.
Ed è proprio mia suocera a farmi notare, la settimana seguente – la sua factotum/badante/amica l’ha condotta, sorreggendola, in un breve tour in giardino – che l’alberello ha già dei fiori, e sono fiori già impollinati, che diverranno frutti.
Non sono esperto d’agrumi: la notizia mi fa piacere, ma non ci punto molto. E invece.
Nella Luna d’Agosto, quando festeggiamo in giardino i 30 anni della figlia maggiore, l’alberello ha già otto palline tonde, verdi, dure: frutti sodi, ben attaccati al picciolo, che hanno tutta l’intenzione di maturare.
Ed è a Novembre, quando le olive iniziano a maturare, che il verde di quei palloncini inizia a tingersi d’arancio: mia suocera non le perde di vista un istante, dalla finestra dalla quale è costretta ad osservare quel mondo che fu suo dalla nascita, ed ogni giorno registra un modesto avanzare, un altro fazzoletto di buccia che è virato all’arancio.
E’ Dicembre, mentre le cassette delle olive s’accatastano sulla ghiaia, e gli otto frutti sono oramai splendenti nel loro arancio, ma i piccioli sono ancora saldamente ancorati e non vogliono rilasciarle: non è tempo, Uomo, per avvicinarti al frutto della natura.
Attendi il tuo turno, magari quando la febbre salirà per purificarti il sangue: al tempo sarò pronto per te, per placare la tua sete ed accompagnarti nei vaneggiamenti della tua mente nel tempo in cui, assonnato e febbricitante, sarai accolto dalle coltri. Tu e le tue ossa dolenti.
E invece.
Invece, una mattina come un’altra, le arance non ci sono più: qualcuno ha dimenticato il cancello senza il classico “giro di chiave” e qualcun altro è entrato. Cose da vecchi, che si dimenticano le chiavi e la serratura, mentre le persone che transitano per la stradina sono quasi tutte di giovane età, giovani che fanno jogging.
Mia suocera è affranta: ma come…otto arance…se le vai a comprare varranno solo un euro…eppure erano belle, mi tenevano compagnia…pregustava l’istante nel quale le avrebbe avute nel cesto, sul tavolo della cucina, per mostrarle ai parenti. Le “nostre” arance: il “nostro” agire, il “nostro” modo di vivere.
Perché non hanno chiesto? Se avessero chiesto un euro per comprare delle arance glielo avrei dato. Già, mostrarsi deboli, bisognosi di carità: questo è quel che passa nella mente di una vedova, classe 1919. Io, invece, so che le persone le quali – probabilmente per una bravata – sono andate a prendere quelle arance, in tasca avevano presumibilmente un telefonino che valeva una tonnellata d’arance.
E mi tornano in mente parole desuete…in fondo, chi ruba una mela…invece quelli che rubano i miliardi…no: non si rubano né le mele e né i miliardi, a meno che quelle mele non siano a terra abbandonate a marcire (per i miliardi non capita mai).
Perché questa società, che si dice permissiva e tollerante, ha smarrito i fondamenti dell’etica: il “bene” in sé non è nulla, è solo merce. Diventa “bene” quando viene messo in relazione dialettica con l’individuo che lo cura e lo gode, per il tempo speso nel curarlo, per le ore spese prima d’assaporarlo.
Ma, la nostra società, ha deciso d’uccidere il pater e, con esso, tutte le inutili anticaglie che fanno capo al rispetto ed all’etica: “che volete che sia…” è il leitmotiv imperante.
Da una mela ad una ruota, da un motorino ad un’auto, da, da, da….a, a, a…
Oggi, Angela, vede solo cielo. Dalla sua finestra d’ospedale osserva il cielo e si domanda se, dopo l’operazione al femore, sarà ancora in grado di muovere qualche passo. Ancor più, siccome è una persona sagace, si domanda con gran timore se la sua mente reggerà allo sconvolgimento.
Certo, erano solo otto arance: piccole palline che arrossavano l’Autunno di una vecchia, che poteva solo osservarle, giorno dopo giorno, maturare dalla sua finestra. Che le tenevano compagnia quando la figlia, il genero, la sorella ed i nipoti non c’erano.
Che volete che sia.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
[1] In Liguria, il “fantin” è il più giovane maschio della famiglia non ancora sposato.
ho appena 35 anni, e già vedo che la mia infazia oggi non esiste più, mio nonno era del 1913, ha visto fame, guerra e via seguendo, rimaneva quasi scioccato dal vedere i cellulari, il secolo l'ha attraversato di botto, dopo gli anni 90. Mia suocera, vive ancora in paese, un paese che un tempo era un giardino conosciuto in tutta la sardegna, avevano addirittura l'indipendenza alimentare, e non parlo solo di carne e pomodori. Alla tristezza dei bulli che mi aspetto, preferisco pensare alle meraviglie che mi riserva il futuro, come mio nonno, e leggere i tuoi articoli è sempre un gran piacere. Daniele Canu.
RispondiEliminaho appena 35 anni, e già vedo che la mia infazia oggi non esiste più, mio nonno era del 1913, ha visto fame, guerra e via seguendo, rimaneva quasi scioccato dal vedere i cellulari, il secolo l'ha attraversato di botto, dopo gli anni 90. Mia suocera, vive ancora in paese, un paese che un tempo era un giardino conosciuto in tutta la sardegna, avevano addirittura l'indipendenza
RispondiEliminaQui delle divertite passioni
RispondiEliminaper miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.
Eugenio Montale
Io che sono di città, un po’ invidio questo rapporto con la terra, i suoi frutti e le stagioni che cambiano già appena fuori la finestra di casa. Io, per capire che è autunno, devo andare a vedere le foglie cadute nel parco. In fondo che cosa sono le beghe di B. di fronte a delle arance che crescono, nulla: le arance crescono da millenni, B. al massimo dura come lo spazio di una gelata, anche se per le povere arance può essere mortale.
RispondiEliminaMa l’Italia è ancora in gran parte così, c’è ancora tanta gente che guarda un telefonino con sospetto se non altro; piuttosto è il rapporto tra generazioni che non può più contare sulle certezze e i punti fermi che lo hanno caratterizzato da sempre. Ma il sottile piacere che dà l’atto di rubare le arance rispetto alla sproporzione con le conseguenze possibili, non credo che sia una cosa di adesso. In passato sono state scatenate guerre e sono morti a migliaia per motivi almeno altrettanto futili di un furto di arance.
Quello che non c’era, e che non appartiene alla nostra cultura, è l’individualismo esasperato, la mancanza di solidarietà, la superiorità dell’individuo rispetto al concetto di comunità. Tutto ciò ci è stato imposto, per anni, con una metodicità e con una determinazione costante e implacabile, e ancora adesso il programma va avanti; specialmente qui da noi c’erano da distruggere secoli e secoli di vita in comune sotto il campanile.
Ma chi è capace di rubare otto arance ed ha un telefonino in tasca da 500 euro, ha la stessa mentalità di chi ha i miliardi in tasca, ma continua a depredare la gente comune. Loro dicono di “fare il lavoro di Dio”, bisognerebbe saperne di più…
A proposito Carlo, auguri alla nonna.
Sembra casuale, ma ieri, ritornando in Langa, ho trovato nel nostro umile giardino, che non abbiamo ancora avuto il tempo di curare come si deve, sul melo selvatico un'unica luccicante mela vermiglia, e sul caco due tondi frutti maturi e gelati, che nemmeno gli uccellini, a causa del rigido tempo, si sono azzardati a forare con il becco.
RispondiEliminaE' un piacere vedere come Flavia, la mia compagna, esulti alla vista di un caco o di una minuscola mela( assai dolce però).
Nel cuore, è vero, la terra lascia impronte fertili come il suo ventre e nel cuore, che non è solo una complessa macchina pompa sangue, germogliano semi che non è dato a tutti conoscere o apprezzare.
Angela non ha il cuore arido, ancora fruttifica come "L'albero di Antonia" dello splendido film di Marleen Gorris.
Chi ha rubato quelle arance ha gia quattro valvole di titanio che pompano il loro olio per circuiti cyber.
Sono vicino ad Angela come fosse mia nonna, visto che di nonne e madri vere io non ne ho mai potute avere.(sarà per questo che i film di Trauffault mi piacciono ancora)
grazie per avermi commosso...e che Angela possa ritornare presto a saziarsi il guardo de' suoi succosi esperidi.
B.S.
Devi volerle bene ed anche stimarla per dedicarle un omaggio del genere, che poi e' un ricordo di vita, racchiuso in una emozione: la gioia della compagnia che il piccolo arancio le fa quasi sapesse che lei lo guarda e..gli parla.
RispondiEliminaE penso alla tristezza che leggevo sul viso di mia nonna quando fu "costretta" ad abbandonare quegli orizzonti, liberi e dialoganti con lei, esile ma piena di sapiente ignoranza..
E al raggio di luce che illuminava il suo viso con quel sorriso speciale che appariva non appena accennavo, quando tornavo, "mammanò" amma iì a muntmajiuro?
Buon Cammino
Doc
Grazie a tutti voi: solo una preghiera per doc: puoi tradurre?
RispondiEliminaCarlo
Le rivelazioni di Wikileaks si susseguono una dopo l'altra. Non sono sconvolgenti, ma danno un quadro desolante di come i governanti europei considerino i loro cittadini dei minus habens. Due a mo di esempio, quella sul caso Calipari e quella sul fatto che gli USA considerino degli incapaci i dissidenti cubani, tanto amati in occidente dai nostri governi. Carlo non credi che bisognerebbe rivedere il tuo articolo su wikileaks?
RispondiEliminaSaluti a te
Se ci pensi bene, Orazio, erano cose che già si sapevano. Almeno, per quelli che volevano sapere.
RispondiEliminaCiao
Carlo
I nonni, paterni e materni, in dialetto venivano chiamati quasi sempre MammaNonna e PapaNonno; nei dialoghi si accorciavano entramebe le parale accentando la o.
RispondiElimina"amma iì a muntmajiuro? "= vogliamo andare a Montemaggiore?.
Montemaggiore è la cima più alta di un sistema di colline e valli a circa 6/700 mt s.l.m.ove mia Nonna aveva una masseria e dove ho passato alcuni indimenticabili anni della mia infanzia all'ombra protettiva di Nonna Rosina.
La lettura del libro "la rivoluzione del filo di paglia" di Fukuoka mi ha riportato, vividi, i ricordi di quei tempi e le immagini di un modo di vivere quasi in linea con la filosofia di Fukuoka.
Buona giornata
Doc
Doc, secondo me, l'imperativo pugliese "nama sci": "andiamo!" derivo dall'arabo "nemsci!". E' possibile?
RispondiEliminaNon so, ma spesso si dimentica FACILMENTE che alcune parti della Puglia sono stati sotto il dominio arabo per quasi 80 anni (pensiamo anche all'influenza musicale e poetica araba)
Ti saluto alla tua maniera "BUON CAMMINO" dicendoti: nemsci lal amam ...
Mahmoud, Giordania
Carlo, come sta tua suocera?
Si Carlo ma la massa dei cittadini, che va oltre il 1/3 degli ebeti berlusconiani, che raggiunge abbondantemente 2/3 crede che i governanti siano leali verso i cittadini e si rifiuta di credere che chi ci governa se fosse necessario ci sacrificherebbe in massa come ha fatto con Calipari il governo italiano. Quindi l'informazione ora ha una "prova" che il governo dei popoli è contro il popolo e lo considera un fastidio di cui sbarazzarsi. Sai quanta gente pensa che sia Berlusconi, sia D'Alema fanno la guerra per il bene comune e non per compiacere l'amico di Washington. Prima si poteva dire che erano illazioni ora non più.
RispondiEliminaCiao
Hai ragione Mahmoud, la puglia, specie nella parte adriatica risente anche nei dialetti oltre che in usanze,danze, ballate popolari etc.. delle diverse invasioni subite.
RispondiEliminaIl mio dialetto però e' un ibrido rispetto alla maggioranza degli altri dialetti in quanto risente sia dell'influenza pugliese che di quella campana trovandosiproprio ai confini.
Ci sono dei dialetti della stessa provincia che sono delle vere e proprie lingue straniere: nella parte interna verso est ci sono dei paesini che risentono del francese..
Insomma la puglia si 'e felicemente contaminata e...non a caso i pugliesi del sud barese spesso vengono si accusano tra loro di essere "levantini" con leggero accento dispregiativo - senza pensare minimamente alla storia- come succede per i foggiani che si "accusano" tra loro quando devono offendere - secondo la loro ignavia delle proprie origini- con "Terrazzano" dimenticando che nella Daunia i terrazzani erano i cacciatori, quelli che mettevano le trappole ed erano dei provetti arcieri..
Un Buon Cammino
a Tutti
Doc
Mia suocera, nell'attesa dell'intervento - prima di Natale - semplicemente "sta" e resiste con i calmanti. I medici dicono che metteranno un chiodo, perché la frattura è poco scomposta.
RispondiEliminaLa vita dopo, quando - se tutto andrà bene - finirà la riabilitazione, non riusciamo ad immaginarla.
Dove andremo? Ad Albisola armi e bagagli? Mah...sono sempre stato di temperamento errante...perciò, non mi preoccupo.
Interessante la disputa linguistica.
Vorrei sottoporre a Mahmoud alcuni termini liguri:
fazzoletto: mandillu
comodino: ghirindun
muratore: massakan (Khan della mazza?)
facchino: camallu
Orazio, mettiamola così: quelli che seguono Wikileaks sapevano già prima, quelli che non sanno nemmeno cos'è continueranno a credere quello che racconta l'organetto catodico.
Comunicazione di servizio
Farò una prova di trasmissione alla lista di distribuzione, stasera o domani.
Ciao a tutti
Carlo
Carlo hai visto Barbara Berlusconi attacca la Carfagna, ma è chiaro che in casa del nano è scoppiata la guerra civile. Re Silvio ha ormai deciso di portare a palazzo Chigi la primogenita Marina e riservarsi per lui il Quirinale nel 2013. Ovvio che le figlie di secondo letto, consigliate dalla mamma reagiscono contro questa idea del padre e mandano un messaggio a papà. Ora entro l'anno vedremo l'entrata in campo di Marina I.
RispondiEliminaCarlo sono mesi che sostengo che sarà questo il destino del nostro paese. La famiglia Berlusconi sarà la prima famiglia regnante dell'Europa contemporanea. Al pari della Nord-Corea. Il popolo ebete dirà si.
E non protestate se chiamo ebeti gli italiani che votano Berlusca
Ciao Carlo Buon Natale.
Buon Natale anche a te, Orazio: riguardati.
RispondiEliminaCarlo
Auguri Carlo.
RispondiEliminaBarbara Belrusconi, Carfagna, Pestigiacomo, tutte queste donne si agitano perché sanno che sta per entrare nel recinto della politica un'altra donna di maggior peso Marina I Berlusconi, lo capirebbe anche un bambino.
Ciao
E' stato grazie a questo blog che ho scoperto un ritorno al piacere di "prendere" emozioni da una poesia...
RispondiEliminaA tutti una buona lettura, una buona giornata,un Buon Cammino e come dice l'amico del sud:
nemsci lal amam ...
NATURA
La forza della natura,
la bellezza della natura...
un'opera d'arte
sconfinata senza eguali...
da ogni artista contempleta,
fonte di ispirazione
di ogni cultura,
che ha forgiato nella storia
i popoli...
ora depredata e stuprata.
La natura ti vuole
generoso protagonista
nella sua scena... sempre,
non spettatore inutile!...
ti avvolge anche
nella sua contemplazione.
Ma c'è chi non l'ama,
chi non l'apprezza,
chi non sa guardare l'opera universale,
chi non è capace di provare un sentimento,
un entusiasmo...
verso questa forza della bellezza
che incanta.
Chi non gusta,
non riconosce e non apprezza il cibo.
E' un ripiegato nella miseria dell'artefatto,
dal cuore malato dallo spettacolo sociale,
che poi denigra.
Può provare amore...
un niente culturale senza passione
che non vede...
che non può e non sa vedere
nei movimenti,
negli sguardi degli animali,
nel suono delle fronde,
nel canto del mare,
nel silenzio dei monti
nella musica delle colline,
nel fascino delle albe e dei tramonti,
nell'ascolto della neve, della pioggia,
nel volo degli uccelli,
nei profumi degli ambienti,
la ricchezza della vita?
Vive da parassita... inutile,
marcisce
nell'illusione del suo io
e delle sue convenienze.
(Parma, 03/12/2010)
Luigi Boschi
Mi fa molto piacere salutare l'amico Luigi, cogliendo l'occasione della sua poesia: mai scontata, mai sopra le righe, mai pretenziosa. La semplicità dei grandi.
RispondiEliminaGrazie doc
Carlo
Caro Carlo,Doc,Black,Eli,Orazio senza dimenticare nessuno di quei meravigliosi personaggi (e ripeto tutti!) che si affacciano e dialogano su questo blog vi auguro Buon Natale con il sincero auspicio che possiate rimanere sempre quello che siete, ognuno meraviglioso nella sua diversità.
RispondiEliminaUn augurio speciale a tua suocera Carlo buone feste!
P.S: sono sempre in attesa di notizie sulla rivista ciao!
Resistere, reisistere, resistere.
RispondiEliminaCarlo,
sei, come sempre, eccellente narratore e fine osservatore.
La tua storia mette in luce una delle (poche) ricchezze vitali della nostra società italiana: la famiglia.
La tua storia mette in luce uno dei tanti fallimenti della nostra società italiana: l'assistenza agli anziani non più autosufficienti e alle loro famiglie da parte della comunità.
Caro Carlo ti voglio bene e voglio bene anche a te Black Skull, e a te Doc, a te Mahmoud, Orazio, marco03,Eli....voglio bene a tutti i frequentatori di questa splendida agorà virtuale grazie alla quale riesco a conoscere ogni giorno un poco di più di me stesso.
Per questo vi auguro di passare felicemente questo Natale inteso non nel senso ristretto della festività cristiana (a cui uno può credere o no), ma nel senso più ampio, universale e profondo che accomuna tutti noi esseri umani: dare un senso alla nostra nascita ed alla nostra morte. L'augurio, dunque,è che ciascuno di voi possa approfittare di questi giorni di pausa lavorativa e/o di incontri affettivi per riscoprire il senso della propria esistenza in questa vita.
Saluti,
Alex
Acrescere, acrescere, acrescere
Buon Natale a tutti da Stoccarda
RispondiEliminaGrazie a tutti voi.
RispondiEliminaRicordo una frase del film "Il concerto", nella quale il direttore ricorda al vecchio dirigente del PCUS:
"Orchestra è magia, ma orchestra è anche armonia: vero comunismo allora si realizza, per la durata di concerto."
Il nostro "concerto" dura già da parecchio: godiamoci questo piccolo miracolo.
Un abbraccio a tutti voi.
Carlo
PS: Mia suocera è sotto i ferri proprio adesso...speriamo!
Auguri per la Nonna Angela, che piccolina com'è merita tutta la nostra tenerezza.
RispondiEliminaEd auguri anche a tutti gli altri,Carlo, Mahmoud, gix, Orazio,
blackskull, doc, David 69, Marco 03,
Alex, Mozart 2006 (finalmente ho
compreso chi sei!!! :-D), ed anche
a coloro che passano per caso da
questo piccolo luogo-non-luogo di
civiltà e reciproco rispetto.
Vi auguro anche di aprire con gioia e positiva curiosità l'anno nuovo,
perché sarò sulle colline con una chiavetta mobile ed i relativi problemi di connessione!
A presto a tutti!
Vi voglio bene.
Il Generale Angela è uscita dalla camera operatoria ed ha chiesto cosa c'era per pranzo.
RispondiEliminaDopo aver meditato che era appena passata sotto i ferri, è stata rassicurata che - almeno a Santo Stefano - avrà il suo pranzo di Natale.
S'è addormentata tranquilla.
Nel frattempo, avevo lavorato un giorno intero per preparare "a çimma", come recita il grande De André:
Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin
ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà
Ti sveglierai sull’indaco del mattino
quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare
ti t’ammiàe a ou spègiu de n'tianin
u xe se speggia au speggiu dà ruzà
ti guarderai allo specchio di un tegamino
il cielo si specchia allo specchio della rugiada
ti mettiàe ou brùgu rèdennu’nte ‘n cantùn
che se d’à cappa a sgùggia ‘n cuxin-a stria
a xeùa de cuntà ‘e pàgge che ghe sùn
‘a cimma a l’è za pinn-a a l’è za cùxia
metterai la scopa dritta in un angolo
che se dalla cappa scivola in cucina la strega
a forza di contare le paglie che ci sono
la cima è già piena è già cucita
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
Bell’oueggè strapunta de tùttu bun
prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun
Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche (per me il prebuggiun è pentolone, ah, traduttori!)
cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè
da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè
àia de lùn-a vègia de ciaèu de nègia
con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai
aria di luna vecchia di chiarore di nebbia
ch’ou cègu ou pèrde ‘a tèsta l’àse ou sentè
oudù de mà misciòu de pèrsa lègia
cos’àtru fa cos’àtru dàghe a ou cè
che il chierico perde la testa e l’asino il sentiero
odore di mare mescolato a maggiorana leggera
cos’altro fare cos’altro dare al cielo
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via
tutti i diavoli da questa pentola
andate via
Poi vegnan a pigiàtela i càmè
te lascian tùttu ou fùmmu d’ou toèu mestè
Poi vengono a prendertela i camerieri
ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere
tucca a ou fantin à prima coutelà
mangè mangè nu sèi chi ve mangià
tocca allo scapolo la prima coltellata
mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via.
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via
Anche quest'anno ci saranno la cima con le patatine novelle, i pansotti con il sugo di noci e la formaggetta di capra con le olive.
Che gli Dei ci siano e vi siano propizi.
Carlo
Pace a tutti, nella prosperità, nelle restrizioni, nella salute, nella malattia, satolli o affamati, soli o in compagnia, gioiosi o tristi, nella vita e nella morte, nell'attimo e nell'eternità...
RispondiEliminaIl sole rinasce il 25 dicembre, riprende il cammino del cielo e ridisegna le sue ellissi sull' isola dove abbiamo radicato le nostre amicizie che stanno ergendosi come palmizi e si incurvano in un abbraccio verde incontro all'oceano.
La nostra isola è un paradiso sentimentale, l'antitesi perfetta e umana delle Cayman.
blackskull vi augura ogni bene.