Già che siamo in pieno periodo di vacanze e, contrariamente ad ogni tradizione della politica italiana, si è scatenata la tempesta che da tempo era latente, proviamo a sondare il futuro che c’aspetta. Perché di cose strane ce ne sono, e parecchie.
Una prima notazione a margine, riguarda la stranezza dei tempi nei quali s’è consumata la crisi: sono anni che andiamo dicendo che la politica, nel senso soprattutto delle decisioni impopolari, si svolge d’Estate. Ciò è figlio legittimo e diretto di una legge elettorale che esclude, di fatto, i cittadini dalla possibilità di vera scelta: si sceglie sì un simbolo, ma su nomi che non si sa nemmeno chi siano e, soprattutto, cosa faranno.
Riflettiamo che, alle ultime elezioni politiche, elettori di fede berlusconiana avranno contribuito ad eleggere Bocchino mentre, gli ex AN, avranno in parte eletto Cicchitto (un ex socialista!). Questo per dire che, senza poter esprimere una preferenza su un nome, è l’apparato a decidere.
Perciò, stabilito che gli elettori sono soltanto “parco buoi”, è perfettamente logico aprire una crisi politica dagli esiti molto incerti, ma sicuramente esiziali, proprio quando l’elettorato è in vacanza o meno attento.
La seconda notazione a margine riguarda noi, l’ampio popolo che – oramai – concepisce la politica in modo assai diverso, oseremmo affermare in modo “primigenio”: l’agorà contro l’oligarchia, tanto per semplificare, e che pone veri problemi politici quali economia, moneta, energia, territorio, agricoltura, trasporti, decrescita, ecc.
Per alcuni, non vale la pena di “scaldarsi troppo” per l’attuale fase d’incertezza politica, per altri è invece importante seguirne gli sviluppi.
Forte dei molti articoli nei quali ho sempre sostenuto la necessità del completo ricambio della classe politica (propagandando l’astensionismo), vorrei sposare – in modo pragmatico, quasi “leninista” – la tesi dei secondi, perché la “grande confusione sotto il cielo” è una condizione favorevole per chi desidera imporre radicali mutamenti.
Non vorrei che qualcuno, frettolosamente, la prendesse come un elegante modo per giustificare un mutamento di posizione, l’essere voltagabbana o quant’altro: rimango dell’idea che, da questa classe politica, dobbiamo attenderci un solo evento per noi positivo. Le dimissioni in massa.
Non per questo, però, seguire gli eventi è cosa inutile e – con tutte le precauzioni del caso, senza aspettarsi nulla, ripeto in modo “leninista” – alle prossime elezioni politiche (che giungeranno presto) si potrà anche prendere in considerazione l’ipotesi di votare.
Vediamo quali sono gli scenari.
Per Berlusconi, l’uscita dal PdL dei “ribelli” rappresenta la fine del suo governo, non giriamoci in tondo inutilmente: lui, lo sa benissimo.
Anche il modo, con il quale s’è giunti alla resa dei conti, è assai fumoso: Berlusconi, oggi, sembra adirato con gli ex “colonnelli” di Fini a lui fedeli, i quali pare gli avessero confidato un massimo di 21 “ribelli”. Alla Camera, la differenza fra i 21 ipotizzati ed i 33 reali, è la discriminante per la continuità del governo. Un errore così marchiano? Da parte di una persona che è sempre stata attentissima ai “flussi di mercato”?
Poi, sempre Berlusconi, comunica che – dai sondaggi che ha fatto eseguire – la “pattuglia” di Fini, se si votasse oggi, acquisirebbe il 3% dell’elettorato se alleata al PdL, solo l’1,2% se corresse da sola. L’ultima parola della frase appena conclusa, declinata in romanesco, ben s’adatta per definire questo strano “sondaggio”.
Che sia una “sòla” viene più di un sospetto, giacché i numeri espressi – se si considera che AN raggiungeva circa il 13% solo due anni fa, che il “Secolo d’Italia” è tuttora fedele a Fini ma, soprattutto, che la fondazione “FareFuturo” è molto attiva – non sembrano molto coerenti. Un altro sondaggio – commissionato da Repubblica – assegnava ad una coalizione “centrista” (Fini, Casini, più minori) addirittura un 22%.
In medio stat virtus?
Non lo sappiamo e, forse – siccome i risultati elettorali sono diversi dalle intenzioni di voto espresse mesi e mesi prima – nessuno lo sa per certo.
Sicuramente, partendo dal potenziale elettorato di Fini, quel “1,2%” ci sembra più che altro una speranza del Cavaliere: da tempo, sappiamo che i sondaggi non sono più rilevazione, bensì arma politica. Notiamo, a margine, che nel “sondaggio sòla” berlusconiano manca il dato di una possibile alleanza di Fini con Casini.
E veniamo ai dati politici.
Silvio Berlusconi ha bisogno della Lega per governare, mentre la Lega ha bisogno di Berlusconi per il sempiterno federalismo: ovvio che, “numeri” come quelli che avevano fino a pochi giorni fa, non li avranno più, nemmeno in sogno. Questo, giustifica l’ira di Bossi, che la nasconde dietro al dito medio alzato.
Anche l’alleanza fra Berlusconi e la Lega, però, si regge su un equilibrio assai instabile, giacché la legge federalista richiede cospicue risorse per il famoso “fondo perequativo” dell’art. 119 previsto dalla Costituzione (conditio sine qua non, per non finire cassata dalla Consulta) ma, raggranellare soldi con questi chiari di luna, significa “tosare” l’elettorato, anche il proprio.
La secessione di Fini – ci sono senz’altro più motivi – dal punto di vista economico nasce proprio da qui: la “tosa” eseguita in Finanziaria sui dipendenti pubblici, nel Sud molto vicini alla ex AN ed ai partiti di centro. Era l’ultima fermata, per Fini, nella quale cercare di rinsaldare il legame con il suo tradizionale elettorato: saranno pure questioni di “legalità”, ma si dà il caso che la crisi s’è consumata proprio il giorno successivo al varo della manovra economica.
Se Berlusconi è assediato da Fini, lo è anche da Bossi e da Tremonti: i “risparmi” necessari per varare i decreti attuativi del federalismo gli precludono, al governo, quei “coup de théâtre” ai quali ci ha abituato: pensiamo alla promessa dell’abolizione totale dell’ICI, mediante la quale erose il vantaggio di Prodi (a parte i possibili brogli elettorali).
In altre parole, imbrigliato da Tremonti su una linea di rigore apparente – in realtà, Tremonti sta massacrando il rapporto debito/PIL, che galoppa verso il 120%, probabilmente la “quota di rottura” del “sommergibile Italia” – Berlusconi non ha margini per le solite promesse. Le quali, poi, non è detto che debbano essere mantenute al 100%: nella situazione attuale, però, sono addirittura impresentabili solo come concetti.
Come può, Berlusconi – che come tutti i piazzisti, ad ogni giro dei clienti, deve presentare sempre nuovi sconti – fare promesse accattivanti al suo elettorato, senza essere subito ripreso il giorno seguente da Tremonti?
Per queste ragioni, Berlusconi punta ad elezioni, e presto, prima che gli ex AN s’organizzino e scatenino la bagarre anche negli Enti Locali (la conta, anche lì, è già iniziata). Fare presto, anche per presentare alla Lega un conto salato: l’unica alternativa sono io – per voi, ponti bruciati con tutti – perciò la guida politica ed economica la assumerò io in prima persona e zitti, altrimenti chiudo la baracca, vado a vivere alle Cayman ed a voi non rimane che tirar fuori i fucili. A tappi.
E, abbiamo la presunzione di credere che questa sarà l’impostazione di Berlusconi per l’Autunno: elezioni. La Lega non potrà fare altro che ingoiare il rospo: rassicurerà il suo elettorato con la certezza che l’alleato metterà in campo tutto il suo armamentario mediatico. Come sempre, però, Berlusconi lo farà pro domo sua: questo, però, Bossi non potrà ammetterlo e gli toccherà centuplicare i raduni delle ampolle e delle corna di Brenno.
E gli altri?
Ci sono due scenari: la “Santa Alleanza” da Fini a Di Pietro oppure due alleanze, quella Fini-Casini (e minori) e la PD-IDV con il “recupero” della sinistra radicale e dei Verdi.
La “Santa Alleanza” sarebbe un regalo per Berlusconi: avrebbe la possibilità di scatenare la “caccia al comunista” che gli è così congeniale. Inoltre, tempi così stretti, non consentirebbero ai transfughi del PdL un simile “salto della quaglia”.
Ricordiamo, però, che l’attuale Costituzione prevede che il governo sia espressione del Parlamento: ossia, nulla vieta che un governo nasca infischiandosene della consuetudine d’indicare il candidato premier. La quale è solo, appunto, una consuetudine, mentre l’altra è norma di rango costituzionale.
Potremmo allora ipotizzare, alle prossime e non lontane elezioni, tre schieramenti: Lega-Berlusconi, Fini-Casini-minori e PD-IDV-minori.
Il risultato sarebbe un nulla di fatto: anche con il premio di maggioranza, difficilmente Berlusconi raggiungerebbe l’agognata “governabilità”. Lo scenario più probabile sarebbe una diversa composizione della Camera rispetto al Senato: chi di “porcellum” colpisce, di “porcellum” perisce. E non c’è il tempo, e soprattutto la voglia (ossia prendersi il rischio), di cambiare la legge elettorale.
Un’alleanza fra Berlusconi da un lato, Fini e Casini dall’altro, sarebbe una sorta di governo “sotto tutela” ed il Cavaliere (meno che mai Bossi) lo accetterebbe mai.
Riflettiamo che per tutti – Berlusconi compreso – giocare la partita con gli inevitabili rischi è oramai scelta obbligata: siamo al redde rationem.
Dopo un simile, incerto risultato, l’unico governo possibile sarebbe la “Santa Alleanza” ma, questa volta, nata sui banchi del Parlamento, che scapolerebbe parte degli attacchi berlusconiani in campagna elettorale. La benedizione di Napolitano sarebbe certa e, il Paese, s’avvierebbe verso un governo – in pratica – di “emergenza” e quasi istituzionale. Il grande sogno di Casini.
Come si comporterà l’elettorato?
Voterà, come sempre, per fede o per tradizione, già…ma quanti voteranno? L’ampia area dell’astensionismo, come si comporterà?
Siccome ne facciamo parte, è plausibile porsi il dilemma se continuare nell’astensionismo – con il rischio di consegnare ancora una volta il Paese a Berlusconi – oppure se scegliere uno qualsiasi dei partiti della “Santa Alleanza”, con il rischio di trasformare un governo di “emergenza” in una formazione con forte consenso e, quindi, in un governo politico a tutti gli effetti.
Togliersi Berlusconi di mezzo è senz’altro la prima necessità: non per una mera questione d’antiberlusconismo, bensì perché il Cavaliere rappresenta – da sempre – una fase di “blocco” o di “congelamento” nella società italiana.
Spesso, Berlusconi ha finito per rappresentare tutti gli alibi per chi non aveva una proposta politica, qualcosa di convincente da raccontare agli italiani: basta essere contro il Cavaliere e siamo tutti a posto. La fine dell’alibi, rappresenterebbe anche la fine delle mille scuse: Bersani, ad esempio, dovrebbe avere una posizione chiara sul nucleare, perché Casini e Fini lo esigerebbero.
Sull’altro versante, quindi, le possibilità che un simile governo riesca a governare seriamente sono assai scarse: siccome “governare” – oggi – significa essere meri esecutori degli ordini che giungono dall’alto, dalle consorterie bancarie, da alcune cancellerie straniere, dai più nascosti e misteriosi gruppi di potere…avere sul proscenio un’accozzaglia di mediocri e litigiose comparse, potrebbe essere un vantaggio.
In una fase successiva – fallito Berlusconi, e fallita pure la “Santa Alleanza” che doveva tutto rimettere a posto – potrebbero finalmente dischiudersi gli spazi per una proposta veramente democratica, ossia una legge elettorale che fosse appositamente scritta per il ricambio generazionale e qualitativo della classe politica.
La nuova legge elettorale dovrebbe essere, a quel punto, puramente proporzionale e le leggi che regolano l’ammissione di nuovi partiti dovrebbe essere ricopiate dal modello tedesco: 50 firme di fronte al segretario comunale. Una sorta di nuova Assemblea Costituente.
Sgombriamo il campo dalle possibili interpretazioni complottiste, della serie: il centro sinistra è l’esecutore di Goldman & Sachs, poiché da quelle parti nessuno si salva. Non è forse, Tremonti, un membro attivo del Bilderberg? E allora? Forse che Berlusconi, con il suo impero economico, non ha rapporti con le grandi banche d’affari? Suvvia, non siamo fessi.
L’ipotesi – ripeto, per ora solo un’ipotesi – di poter attuare una strategia da “Orazi e Curiazi”, nel senso d’estromettere prima uno scomodo Cavaliere e, in seguito, dei penosi fantaccini, potrebbe dischiudersi. D’altro canto, anche chi desidera costruire un’alternativa, sa benissimo che prima di costruire una casa bisogna sgombrare le macerie: qui, di macerie, ce ne sono tonnellate.
Perciò, sarebbe utile aprire un dibattito sulla possibilità d’usare il voto come arma contro la Casta, avendo chiaro che l’obiettivo è quello d’eliminarla tutta, diciamo “a sezioni”.
Infine, voglio ricordare che – negli stessi giorni nei quali s’è consumata la crisi politica – due ragazzi italiani sono morti in Afghanistan mentre sminavano delle strade: sono morti per una guerra stupida ed ingiusta, voluta e sorretta da tutte le parti che oggi compongono il Parlamento. Il quale, preso dai suoi affari di bottega, non s’è degnato nemmeno di una parola: proprio quelli che, ad ogni tentativo di criticare le missioni all’estero quando tornano delle bare, subito ricordavano “che, quando ci sono delle vittime, ogni dibattito deve zittirsi, per onorare i caduti.”
Bell’esempio che hanno dato.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
Una prima notazione a margine, riguarda la stranezza dei tempi nei quali s’è consumata la crisi: sono anni che andiamo dicendo che la politica, nel senso soprattutto delle decisioni impopolari, si svolge d’Estate. Ciò è figlio legittimo e diretto di una legge elettorale che esclude, di fatto, i cittadini dalla possibilità di vera scelta: si sceglie sì un simbolo, ma su nomi che non si sa nemmeno chi siano e, soprattutto, cosa faranno.
Riflettiamo che, alle ultime elezioni politiche, elettori di fede berlusconiana avranno contribuito ad eleggere Bocchino mentre, gli ex AN, avranno in parte eletto Cicchitto (un ex socialista!). Questo per dire che, senza poter esprimere una preferenza su un nome, è l’apparato a decidere.
Perciò, stabilito che gli elettori sono soltanto “parco buoi”, è perfettamente logico aprire una crisi politica dagli esiti molto incerti, ma sicuramente esiziali, proprio quando l’elettorato è in vacanza o meno attento.
La seconda notazione a margine riguarda noi, l’ampio popolo che – oramai – concepisce la politica in modo assai diverso, oseremmo affermare in modo “primigenio”: l’agorà contro l’oligarchia, tanto per semplificare, e che pone veri problemi politici quali economia, moneta, energia, territorio, agricoltura, trasporti, decrescita, ecc.
Per alcuni, non vale la pena di “scaldarsi troppo” per l’attuale fase d’incertezza politica, per altri è invece importante seguirne gli sviluppi.
Forte dei molti articoli nei quali ho sempre sostenuto la necessità del completo ricambio della classe politica (propagandando l’astensionismo), vorrei sposare – in modo pragmatico, quasi “leninista” – la tesi dei secondi, perché la “grande confusione sotto il cielo” è una condizione favorevole per chi desidera imporre radicali mutamenti.
Non vorrei che qualcuno, frettolosamente, la prendesse come un elegante modo per giustificare un mutamento di posizione, l’essere voltagabbana o quant’altro: rimango dell’idea che, da questa classe politica, dobbiamo attenderci un solo evento per noi positivo. Le dimissioni in massa.
Non per questo, però, seguire gli eventi è cosa inutile e – con tutte le precauzioni del caso, senza aspettarsi nulla, ripeto in modo “leninista” – alle prossime elezioni politiche (che giungeranno presto) si potrà anche prendere in considerazione l’ipotesi di votare.
Vediamo quali sono gli scenari.
Per Berlusconi, l’uscita dal PdL dei “ribelli” rappresenta la fine del suo governo, non giriamoci in tondo inutilmente: lui, lo sa benissimo.
Anche il modo, con il quale s’è giunti alla resa dei conti, è assai fumoso: Berlusconi, oggi, sembra adirato con gli ex “colonnelli” di Fini a lui fedeli, i quali pare gli avessero confidato un massimo di 21 “ribelli”. Alla Camera, la differenza fra i 21 ipotizzati ed i 33 reali, è la discriminante per la continuità del governo. Un errore così marchiano? Da parte di una persona che è sempre stata attentissima ai “flussi di mercato”?
Poi, sempre Berlusconi, comunica che – dai sondaggi che ha fatto eseguire – la “pattuglia” di Fini, se si votasse oggi, acquisirebbe il 3% dell’elettorato se alleata al PdL, solo l’1,2% se corresse da sola. L’ultima parola della frase appena conclusa, declinata in romanesco, ben s’adatta per definire questo strano “sondaggio”.
Che sia una “sòla” viene più di un sospetto, giacché i numeri espressi – se si considera che AN raggiungeva circa il 13% solo due anni fa, che il “Secolo d’Italia” è tuttora fedele a Fini ma, soprattutto, che la fondazione “FareFuturo” è molto attiva – non sembrano molto coerenti. Un altro sondaggio – commissionato da Repubblica – assegnava ad una coalizione “centrista” (Fini, Casini, più minori) addirittura un 22%.
In medio stat virtus?
Non lo sappiamo e, forse – siccome i risultati elettorali sono diversi dalle intenzioni di voto espresse mesi e mesi prima – nessuno lo sa per certo.
Sicuramente, partendo dal potenziale elettorato di Fini, quel “1,2%” ci sembra più che altro una speranza del Cavaliere: da tempo, sappiamo che i sondaggi non sono più rilevazione, bensì arma politica. Notiamo, a margine, che nel “sondaggio sòla” berlusconiano manca il dato di una possibile alleanza di Fini con Casini.
E veniamo ai dati politici.
Silvio Berlusconi ha bisogno della Lega per governare, mentre la Lega ha bisogno di Berlusconi per il sempiterno federalismo: ovvio che, “numeri” come quelli che avevano fino a pochi giorni fa, non li avranno più, nemmeno in sogno. Questo, giustifica l’ira di Bossi, che la nasconde dietro al dito medio alzato.
Anche l’alleanza fra Berlusconi e la Lega, però, si regge su un equilibrio assai instabile, giacché la legge federalista richiede cospicue risorse per il famoso “fondo perequativo” dell’art. 119 previsto dalla Costituzione (conditio sine qua non, per non finire cassata dalla Consulta) ma, raggranellare soldi con questi chiari di luna, significa “tosare” l’elettorato, anche il proprio.
La secessione di Fini – ci sono senz’altro più motivi – dal punto di vista economico nasce proprio da qui: la “tosa” eseguita in Finanziaria sui dipendenti pubblici, nel Sud molto vicini alla ex AN ed ai partiti di centro. Era l’ultima fermata, per Fini, nella quale cercare di rinsaldare il legame con il suo tradizionale elettorato: saranno pure questioni di “legalità”, ma si dà il caso che la crisi s’è consumata proprio il giorno successivo al varo della manovra economica.
Se Berlusconi è assediato da Fini, lo è anche da Bossi e da Tremonti: i “risparmi” necessari per varare i decreti attuativi del federalismo gli precludono, al governo, quei “coup de théâtre” ai quali ci ha abituato: pensiamo alla promessa dell’abolizione totale dell’ICI, mediante la quale erose il vantaggio di Prodi (a parte i possibili brogli elettorali).
In altre parole, imbrigliato da Tremonti su una linea di rigore apparente – in realtà, Tremonti sta massacrando il rapporto debito/PIL, che galoppa verso il 120%, probabilmente la “quota di rottura” del “sommergibile Italia” – Berlusconi non ha margini per le solite promesse. Le quali, poi, non è detto che debbano essere mantenute al 100%: nella situazione attuale, però, sono addirittura impresentabili solo come concetti.
Come può, Berlusconi – che come tutti i piazzisti, ad ogni giro dei clienti, deve presentare sempre nuovi sconti – fare promesse accattivanti al suo elettorato, senza essere subito ripreso il giorno seguente da Tremonti?
Per queste ragioni, Berlusconi punta ad elezioni, e presto, prima che gli ex AN s’organizzino e scatenino la bagarre anche negli Enti Locali (la conta, anche lì, è già iniziata). Fare presto, anche per presentare alla Lega un conto salato: l’unica alternativa sono io – per voi, ponti bruciati con tutti – perciò la guida politica ed economica la assumerò io in prima persona e zitti, altrimenti chiudo la baracca, vado a vivere alle Cayman ed a voi non rimane che tirar fuori i fucili. A tappi.
E, abbiamo la presunzione di credere che questa sarà l’impostazione di Berlusconi per l’Autunno: elezioni. La Lega non potrà fare altro che ingoiare il rospo: rassicurerà il suo elettorato con la certezza che l’alleato metterà in campo tutto il suo armamentario mediatico. Come sempre, però, Berlusconi lo farà pro domo sua: questo, però, Bossi non potrà ammetterlo e gli toccherà centuplicare i raduni delle ampolle e delle corna di Brenno.
E gli altri?
Ci sono due scenari: la “Santa Alleanza” da Fini a Di Pietro oppure due alleanze, quella Fini-Casini (e minori) e la PD-IDV con il “recupero” della sinistra radicale e dei Verdi.
La “Santa Alleanza” sarebbe un regalo per Berlusconi: avrebbe la possibilità di scatenare la “caccia al comunista” che gli è così congeniale. Inoltre, tempi così stretti, non consentirebbero ai transfughi del PdL un simile “salto della quaglia”.
Ricordiamo, però, che l’attuale Costituzione prevede che il governo sia espressione del Parlamento: ossia, nulla vieta che un governo nasca infischiandosene della consuetudine d’indicare il candidato premier. La quale è solo, appunto, una consuetudine, mentre l’altra è norma di rango costituzionale.
Potremmo allora ipotizzare, alle prossime e non lontane elezioni, tre schieramenti: Lega-Berlusconi, Fini-Casini-minori e PD-IDV-minori.
Il risultato sarebbe un nulla di fatto: anche con il premio di maggioranza, difficilmente Berlusconi raggiungerebbe l’agognata “governabilità”. Lo scenario più probabile sarebbe una diversa composizione della Camera rispetto al Senato: chi di “porcellum” colpisce, di “porcellum” perisce. E non c’è il tempo, e soprattutto la voglia (ossia prendersi il rischio), di cambiare la legge elettorale.
Un’alleanza fra Berlusconi da un lato, Fini e Casini dall’altro, sarebbe una sorta di governo “sotto tutela” ed il Cavaliere (meno che mai Bossi) lo accetterebbe mai.
Riflettiamo che per tutti – Berlusconi compreso – giocare la partita con gli inevitabili rischi è oramai scelta obbligata: siamo al redde rationem.
Dopo un simile, incerto risultato, l’unico governo possibile sarebbe la “Santa Alleanza” ma, questa volta, nata sui banchi del Parlamento, che scapolerebbe parte degli attacchi berlusconiani in campagna elettorale. La benedizione di Napolitano sarebbe certa e, il Paese, s’avvierebbe verso un governo – in pratica – di “emergenza” e quasi istituzionale. Il grande sogno di Casini.
Come si comporterà l’elettorato?
Voterà, come sempre, per fede o per tradizione, già…ma quanti voteranno? L’ampia area dell’astensionismo, come si comporterà?
Siccome ne facciamo parte, è plausibile porsi il dilemma se continuare nell’astensionismo – con il rischio di consegnare ancora una volta il Paese a Berlusconi – oppure se scegliere uno qualsiasi dei partiti della “Santa Alleanza”, con il rischio di trasformare un governo di “emergenza” in una formazione con forte consenso e, quindi, in un governo politico a tutti gli effetti.
Togliersi Berlusconi di mezzo è senz’altro la prima necessità: non per una mera questione d’antiberlusconismo, bensì perché il Cavaliere rappresenta – da sempre – una fase di “blocco” o di “congelamento” nella società italiana.
Spesso, Berlusconi ha finito per rappresentare tutti gli alibi per chi non aveva una proposta politica, qualcosa di convincente da raccontare agli italiani: basta essere contro il Cavaliere e siamo tutti a posto. La fine dell’alibi, rappresenterebbe anche la fine delle mille scuse: Bersani, ad esempio, dovrebbe avere una posizione chiara sul nucleare, perché Casini e Fini lo esigerebbero.
Sull’altro versante, quindi, le possibilità che un simile governo riesca a governare seriamente sono assai scarse: siccome “governare” – oggi – significa essere meri esecutori degli ordini che giungono dall’alto, dalle consorterie bancarie, da alcune cancellerie straniere, dai più nascosti e misteriosi gruppi di potere…avere sul proscenio un’accozzaglia di mediocri e litigiose comparse, potrebbe essere un vantaggio.
In una fase successiva – fallito Berlusconi, e fallita pure la “Santa Alleanza” che doveva tutto rimettere a posto – potrebbero finalmente dischiudersi gli spazi per una proposta veramente democratica, ossia una legge elettorale che fosse appositamente scritta per il ricambio generazionale e qualitativo della classe politica.
La nuova legge elettorale dovrebbe essere, a quel punto, puramente proporzionale e le leggi che regolano l’ammissione di nuovi partiti dovrebbe essere ricopiate dal modello tedesco: 50 firme di fronte al segretario comunale. Una sorta di nuova Assemblea Costituente.
Sgombriamo il campo dalle possibili interpretazioni complottiste, della serie: il centro sinistra è l’esecutore di Goldman & Sachs, poiché da quelle parti nessuno si salva. Non è forse, Tremonti, un membro attivo del Bilderberg? E allora? Forse che Berlusconi, con il suo impero economico, non ha rapporti con le grandi banche d’affari? Suvvia, non siamo fessi.
L’ipotesi – ripeto, per ora solo un’ipotesi – di poter attuare una strategia da “Orazi e Curiazi”, nel senso d’estromettere prima uno scomodo Cavaliere e, in seguito, dei penosi fantaccini, potrebbe dischiudersi. D’altro canto, anche chi desidera costruire un’alternativa, sa benissimo che prima di costruire una casa bisogna sgombrare le macerie: qui, di macerie, ce ne sono tonnellate.
Perciò, sarebbe utile aprire un dibattito sulla possibilità d’usare il voto come arma contro la Casta, avendo chiaro che l’obiettivo è quello d’eliminarla tutta, diciamo “a sezioni”.
Infine, voglio ricordare che – negli stessi giorni nei quali s’è consumata la crisi politica – due ragazzi italiani sono morti in Afghanistan mentre sminavano delle strade: sono morti per una guerra stupida ed ingiusta, voluta e sorretta da tutte le parti che oggi compongono il Parlamento. Il quale, preso dai suoi affari di bottega, non s’è degnato nemmeno di una parola: proprio quelli che, ad ogni tentativo di criticare le missioni all’estero quando tornano delle bare, subito ricordavano “che, quando ci sono delle vittime, ogni dibattito deve zittirsi, per onorare i caduti.”
Bell’esempio che hanno dato.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.