Nonostante la gran panoplia d’informazione presente sul Web, raramente si parla di brigatismo, lotta armata ed argomenti correlati.
Alcuni giorni or sono, furono recapitate ad alcuni quotidiani[1] delle lettere contenenti una sorta di “comunicato strategico”, che richiamava ad anni lontani, ed il Ministro dell’Interno Maroni ha recentemente esternato “preoccupazione” per l’evento.
Scorsi rapidamente la notizia, direi superficialmente, troppo superficialmente. Perché?
Poiché la teoria del complottismo ci ha abituati prima alla dietrologia che all’analisi, e dunque frettolosamente si conclude che, ciò che fa comodo al potere, è frutto inequivocabile del potere stesso.
Ci sono alcune defaillance in questi sillogismi: uno, ad esempio, riguarda gli shahid che si fanno saltare per colpire le truppe occidentali in Oriente. I quali, inequivocabilmente, esistono. Al prezzo della propria vita.
Non desideriamo entrare nel tourbillon delle opinioni che riguardano il “dopo 9/11”, poiché ci condurrebbe lontano dai nostri intenti, bensì sottolineare che – se qualcuno ritiene Al Qaeda una “succursale” del Pentagono (chi scrive non è fra questi) – quelli che si gettano con l’auto carica d’esplosivo contro i convogli militari sanno di morire, e la motivazione per giungere a tanto deve essere forte, radicata, convincente.
Chi vorrà approfondire le motivazioni del martirio islamico potrà trovare una breve spiegazione in nota[2], anche se non è questo l’argomento che andremo a trattare: ricordo, quando scrissi il libro su Al Qaeda[3], che una fonte citava, per il solo Pakistan, una “forza combattente” pronta a morire di circa 135.000 unità, formatasi, negli anni, nelle madrasse pakistane.
Il dato non è assolutamente incoerente, se si considera la popolazione del Paese (all’epoca, circa 150 milioni di persone), il reddito pro capite assai basso, l’alta sperequazione nella distribuzione della ricchezza, la diffusione dell’Islam di matrice wahabita ed il difficile accesso all’istruzione.
Considerate queste ragioni, non è certo azzardato concludere che milioni d’adolescenti pakistani siano “passati” nelle madrasse finanziate dalle varie organizzazioni caritatevoli islamiche, e che una parte di essi abbia maturato la convinzione di diventare martire per la causa.
Altrimenti, non potremmo spiegarci il costante “flusso” d’attentatori suicidi che continua, da anni: in altre parole, il quadro presentato è coerente.
Anche se le modalità d’intervento furono diverse (più per noi occidentali che per i musulmani), dovremmo anche riflettere sulle migliaia di combattenti islamici dapprima presenti in Libano, poi in Bosnia, in Cecenia, quindi in Iraq, Afghanistan, ecc.
Tutto ciò, per dire che le condizioni economiche, le culture tramandate, la presenza d’organizzazioni sul territorio ed altri fattori possono generare frutti come questi. Ovviamente, potremmo dissertare all’infinito sui finanziatori, sui “controllori” di queste operazioni, ma ci condurrebbe lontano perché è dell’Italia che desideriamo parlare, non del terrorismo di matrice islamica.
Maroni, come in altre occasioni, è solito “gettare il sasso nello stagno” per poi ritrarre la mano: attenzione – come nel caso del traffico d’organi – Maroni non è solito “sparare” panzane, poiché quel traffico sui migranti fu acclarato già nel 2004, in un dibattito a “porte chiuse” della Sanità Britannica. Semplicemente, pare dimenticarsi che – un Ministro dell’Interno – non può semplicemente lanciare il sasso nello stagno per poi stare a guardare i cerchi dell’acqua. Un Ministro dell’Interno, che comunica notizie di tale gravità, deve far seguire alle parole gli atti.
Non abbiamo nessuna difficoltà a credere che gli inquirenti stiano indagando su queste “Nuove BR”; ciò che ci ha colpito è un altro aspetto del problema: è “coerente”, con la realtà italiana, una nuova diffusione del fenomeno brigatista?
Per questa ragione abbiamo preferito porre all’attenzione dei lettori la questione pakistana – non per improbabili “saldature” fra i due fenomeni – ma per rendere un parallelismo nell’analisi che andremo ad esporre.
Maroni afferma che esistono delle “Nuove BR”, le quali hanno comunicato d’esser organizzate in nuclei territoriali in alcune città del Nord: ovvio, che qui – per i particolari della vicenda – dovremmo credere sia a Maroni e sia alle Nuove BR. Un po’ troppo.
Siano oppure no organizzate territoriali, armate o sedicenti armate, le nuove organizzazioni combattenti di matrice leninista non ci sembrano affatto, nell’attuale panorama politico ed economico italiano, una bestemmia.
Eppure, dobbiamo premettere che la situazione economica italiana non è certo quella pakistana e nemmeno quella statunitense, con il 15% della popolazione sotto la soglia di povertà. Obama gira il mondo con il suo potente Air Force One mentre, a casa, un americano su sei non ha da mangiare.
Questo, perché la soglia di povertà americana è calcolata su degli standard dell’ONU, i quali si basano sul numero di pasti non effettuati durante la settimana: vera fame, mica scherzi. In Italia, invece, la soglia di povertà è fissata in circa 222 euro il mese pro capite, ed è sotto questa soglia il 4,4% delle famiglie italiane[4].
Anche in Italia s’iniziano ad osservare persone che cercano cibo nei cassonetti alla chiusura dei mercati rionali, però la struttura della società italiana è molto diversa da quella americana, laddove la famiglia d’appartenenza è spesso un vago ricordo.
Tutti sappiamo che la vera rete di protezione contro la povertà, in Italia, non è lo Stato bensì la famiglia: sotto questo aspetto, siamo più simili al Pakistan (forti legami familiari e di clan, appartenenza religiosa, ecc, per semplificare molto) che agli USA.
Negli USA, spesso, vivere negli slum è quasi sempre sinonimo di piccola delinquenza, che si consuma in aggressioni a scopo di rapina, spesso individuali, mentre non esistono “germi” di rivolta collettiva. Almeno, ad oggi, e fatti salvi alcuni sporadici casi del passato come Oklahoma City, i quali furono ben delimitati nel tempo e non ebbero seguito.
In Italia, invece, la tradizione alla costituzione di società segrete e/o armate è radicata nella nostra cultura: iniziò nel Risorgimento, prosegui durante il Fascismo, si materializzò nella guerra partigiana, fu ripresa dalle BR (ed altri) negli anni ’70. E’ nel nostro DNA, come del resto la “squadraccia”, ossia il gruppo che s’oppone militarmente sul territorio all’organizzazione politico/militare di stampo marxista-leninista.
Riflettiamo che, ciò che avviene, prende forma in un diverso palcoscenico, ma con un retroterra culturale – una serie di “copioni”, verrebbe da dire – ben sedimentato nello scorrere delle generazioni.
E’ dunque fantapolitica immaginare che, fra pochi anni, avremo nuovamente a che fare con formazioni combattenti sul territorio, strutturate in piccoli gruppi, come avvenne in passato? Io non credo proprio, poiché le condizioni – o ci sono già oggi – oppure stanno maturando.
Cerchiamo di scorrerle, ad una ad una.
Una peculiarità scaturita dalla legge elettorale – la “Calderol Porcata” – è stata la sparizione dei partiti dell’estrema sinistra: un fatto inusuale nel panorama europeo, quando sia in Francia e sia in Germania – indipendenti oppure aggregati a formazioni socialdemocratiche – esistono gruppi comunisti, trotzkisti, ecc, i quali – pensiamo alla “Linke” tedesca – “pesano” nel panorama politico.
Non entriamo nel merito di quella “sparizione”, della fiducia sottratta loro in primis proprio dal loro elettorato tradizionale, poiché ci condurrebbe lontano: certifichiamo soltanto che, in Italia, 2-3 milioni di potenziali elettori non hanno più rappresentanza politica parlamentare (la presenza nelle Amministrazioni Locali sta scemando, e presto sparirà del tutto).
Chi è questa gente?
E’ in gran parte un elettorato che si sente tradito proprio dai leader come Bertinotti o Di Liberto, e che sta rapidamente perdendo interesse per i vari Vendola, Ferrero & compagnia cantante, poiché non riesce a capire – viste le forche caudine della soglia elettorale – il motivo che preclude la loro assimilazione in una sola forza politica. Risultato: è inutile essere un comunista “democratico”, perché tanto non esiste nessuna organizzazione che mi permetta d’esser rappresentato dove conta (o dovrebbe contare) ossia in Parlamento. Credetemi: così ragionano in tanti. E, i “tanti”, cominciano ad essere milioni di persone.
In questo panorama, iniziano a scaturire i frutti della cosiddetta “oramai passata” crisi economica: sarà pur vero che l’economia finanziaria “sta guarendo” (almeno, così raccontano…), ma sul fronte dell’economia reale – l’unica che c’interessa per questa analisi – i segnali sono disastrosi.
La vicenda Olivetti-Getronics-Bull-Eutelia-Noicom-Edisontel, tutti confluiti in Agile s.r.l. (ora Gruppo Omega), è una storia di quelle che fanno tremare i polsi: 9.000 persone che rischiano, nei prossimi mesi, di non avere più nessuna fonte di reddito! Ed è solo una delle tante.
In passato, queste crisi di ristrutturazione erano risolte con la cassa integrazione, la mobilità “lunga” verso la pensione e l’assunzione da parte del settore pubblico per i più giovani: ma, di crisi di ristrutturazione si trattava, crisi cicliche del capitalismo. Oggi?
La situazione internazionale ci vede poco attrezzati per competere nel panorama globalizzato: anni nei quali la ricerca ha languito (incredibile lo scarsissimo interesse per il settore energetico innovativo), la dismissione del patrimonio produttivo pubblico, più la completa deriva di una nazione oramai priva di una classe politica, stanno mostrando i frutti.
Per la classe politica non ci sono scusanti: alcune delle aziende sopra citate, oramai inviate al “Miglio Verde” dell’estinzione, solo vent’anni fa competevano con IBM sui mercati internazionali. La débacle è totale, e lo afferma persino Confindustria, pur cercando d’edulcorare la pillola mediante comunicati spruzzati di rosa shocking.
La responsabilità, ovviamente, non è da addebitare ai lavoratori, agli italiani in genere, ma al connubio fra la classe politica con i boiardi di Stato. Ma passiamo oltre.
E’ ancora possibile, in questo scenario, garantire tutti?
Qualcosa è possibile fare, ma è oramai evidente che il destino degli italiani, nel prossimo futuro, sarà quello d’ulteriori abbassamenti del reddito, privazioni di diritti, precarietà, difficoltà economiche e sociali di vario tipo e natura.
Questo perché, mediante le varie riforme pensionistiche, lo Stato ha fatto cassa per fronteggiare la perdita di posti di lavoro e di competitività sui mercati internazionali, ma le recenti dichiarazioni di Tremonti – nessun inasprimento del regime previdenziale – testimoniano che il sacco è giunto al fondo e che non si può andare oltre.
Anche sul fronte della precarietà del lavoro è difficile pensare a qualche “innovazione”, poiché solo più di schiavitù si tratterebbe.
In altre parole: siamo al capolinea.
In questo immaginario “capolinea” – freddo e buio, come nella tradizione letteraria e cinematografica – s’incontra un ceto politico ed imprenditoriale che non è assolutamente disposto a cedere privilegi e prebende che loro appaiono – nel confronto internazionale – pienamente giustificate. Dall’altra parte della via, moltitudini sempre più povere.
Organizzate? No, perché ha ceduto l’altro “pilastro” dell’organizzazione sociale del lavoro, ossia il sindacato. Trasformati, rigenerati in centri servizi, i caporioni della Triplice attendono posti e prebende dalla Casta politica, nient’altro. Rigorosamente divisi per false appartenenze, CISL ed UIL guardano verso la cosiddetta destra, la CGIL verso la cosiddetta sinistra.
Risultato: rivolta spontanea? No, sbagliato.
L’italiano medio è un suddito, non un cittadino e non si ribella: inveisce e blatera, bestemmia e minaccia, poi rientra nei ranghi e cerca carità.
La struttura della società italiana – proprio per i legami familiari, la “disponibilità” delle organizzazioni mafiose, le associazioni “caritatevoli” del potere ecclesiastico – consente, al prezzo di una graduale ma continua riduzione dei redditi, dei diritti e della propria dignità, di sopravvivere. Questo è lo “stellone” italiano: quello che consentirà a vostro figlio di campare con meno cose di voi, di sopravvivere, affogando la propria vita nell’insipienza di un vivere schiavo.
Tutto ciò, però, vale per grandi numeri, per vaste aggregazioni sociali, ma dimentichiamo un aspetto: la varianza, la differenza, che s’esprime in forma grafica con la campana di Gauss.
La società italiana non mette a ferro e fuoco le periferie come in Francia e non arresta completamente il Paese come gli scioperi in Germania, bensì comunica il suo malessere con le proprie modalità storiche, con i suoi tradizionali mezzi di rivolta: il brigantaggio, le organizzazioni segrete, ecc. Perché?
Poiché, a fronte di una vasta maggioranza che accetterà il tozzo di pane della carità – e di una minoranza che fuggirà nel dolore psicologico fino alle nevrosi, alle droghe, ecc – un’altra minoranza si ribellerà. Come? Con i mezzi della propria tradizione culturale, sedimentati nelle generazioni e via via riportati alla luce e rinvigoriti dalle circostanze.
Perché nacquero le organizzazioni combattenti di sinistra, negli anni ’70? Prima, dobbiamo porre attenzione sul quando nacquero.
Se la spontanea rivolta internazionale partì all’incirca fra il 1967 ed il 1970, le Brigate Rosse (di qui in avanti, useremo il termine in modo omnicomprensivo, per tutte le organizzazioni terroristiche di sinistra dell’epoca) iniziarono ad affermarsi dopo il 1975, e toccarono forse l’apice nel 1978, con il sequestro Moro.
Non perdiamoci in dietrologie sulle singole vicende: non è questo l’argomento.
Il “successo” delle Brigate Rosse iniziò proprio quando il grande movimento di quegli anni iniziò a barcollare, per giungere, nel 1980, all’acclarata sconfitta del movimento operaio, la famosa “marcia dei 40.000” quadri e funzionari FIAT di Torino[5]. Passò sotto le mie finestre.
Dove trasse energie, proseliti, “numeri” la lotta armata?
Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro e cercare di quantificare – con approssimazione – la consistenza dei movimenti di quegli anni.
Le generazioni che furono coinvolte nei rivolgimenti sociali dell’epoca furono all’incirca una decina, ed una generazione dell’epoca superava le 500.000 unità. Fonti (dell’epoca) quantificarono in circa un milione i giovani che fecero parte del Movimento Studentesco, della Sinistra extraparlamentare e d’alcuni partiti che avevano piccole rappresentanze parlamentari: come si può notare – sia pure a grandi linee – il dato è coerente.
I brigatisti condannati per reati di terrorismo, invece, non superarono le 6.000 unità, le quali comprendevano anche i cosiddetti “fiancheggiatori”, ossia chi semplicemente ospitò un terrorista, lo curò, lo aiutò, ecc. E’ da notare che queste persone furono la gran maggioranza, mentre i “gruppi di fuoco” furono sempre molto esigui, qualche centinaio di persone al massimo.
Da una moltitudine che urlava contro il potere, a far sparare le armi – in definitiva – furono poche centinaia, eppure il sangue versato fu tanto. Perché?
Poiché l’organizzazione terrorista gioca d’anticipo, non ha finalità di proselitismo alla luce del sole e su larga scala: la sua “lotta politica” sono le uccisioni stesse.
Sulle modalità di reclutamento c’è parecchia letteratura, e si ricava che i reclutatori avvicinavano persone che militavano nei gruppi extraparlamentari per indicazione di qualche “fiancheggiatore”, intavolavano vaghi discorsi ed osservavano la reazione del soggetto. Se c’erano elementi per loro positivi, veniva nuovamente avvicinato con argomenti sempre più espliciti: solo quando c’era oramai la certezza dell’adesione, l’organizzazione si “scopriva”.
Non è qui importante analizzare come andò a finire, perché qualsiasi società segreta o gruppo armato clandestino viene distrutto mediante la delazione: nemmeno il brigantaggio si sottrasse a questo principio, e la lotta partigiana ebbe successo soltanto perché avvenne in un quadro bellico, dove i vincitori erano al loro fianco.
Ciò che è invece interessante notare è che, per molti versi, la disillusione, lo sconforto italiano di questi anni – pur con importantissime differenze – è un sentimento che assomiglia molto all’atmosfera di “sconfitta” del movimento di quegli anni.
Si potrà dissertare all’infinito sulle differenze storiche, ma la percezione di sconfitta – al tempo una “rivoluzione mancata”, oggi la sensazione che il Paese non è più in grado di trovare “anticorpi” per risollevarsi – ha molti punti di contatto.
Ovviamente, senza avere le informazioni che certamente Maroni ha, non siamo in grado d’andar oltre ma – analizzando le dinamiche sociali – non crediamo proprio che il Ministro dell’Interno abbia desiderato creare del “polverone mediatico”, tanto meno che sia tutta una “bufala”.
I prodromi ci sono tutti.
Articolo liberamente riproducibile nella sua integrità, ovvia la citazione della fonte.
Alcuni giorni or sono, furono recapitate ad alcuni quotidiani[1] delle lettere contenenti una sorta di “comunicato strategico”, che richiamava ad anni lontani, ed il Ministro dell’Interno Maroni ha recentemente esternato “preoccupazione” per l’evento.
Scorsi rapidamente la notizia, direi superficialmente, troppo superficialmente. Perché?
Poiché la teoria del complottismo ci ha abituati prima alla dietrologia che all’analisi, e dunque frettolosamente si conclude che, ciò che fa comodo al potere, è frutto inequivocabile del potere stesso.
Ci sono alcune defaillance in questi sillogismi: uno, ad esempio, riguarda gli shahid che si fanno saltare per colpire le truppe occidentali in Oriente. I quali, inequivocabilmente, esistono. Al prezzo della propria vita.
Non desideriamo entrare nel tourbillon delle opinioni che riguardano il “dopo 9/11”, poiché ci condurrebbe lontano dai nostri intenti, bensì sottolineare che – se qualcuno ritiene Al Qaeda una “succursale” del Pentagono (chi scrive non è fra questi) – quelli che si gettano con l’auto carica d’esplosivo contro i convogli militari sanno di morire, e la motivazione per giungere a tanto deve essere forte, radicata, convincente.
Chi vorrà approfondire le motivazioni del martirio islamico potrà trovare una breve spiegazione in nota[2], anche se non è questo l’argomento che andremo a trattare: ricordo, quando scrissi il libro su Al Qaeda[3], che una fonte citava, per il solo Pakistan, una “forza combattente” pronta a morire di circa 135.000 unità, formatasi, negli anni, nelle madrasse pakistane.
Il dato non è assolutamente incoerente, se si considera la popolazione del Paese (all’epoca, circa 150 milioni di persone), il reddito pro capite assai basso, l’alta sperequazione nella distribuzione della ricchezza, la diffusione dell’Islam di matrice wahabita ed il difficile accesso all’istruzione.
Considerate queste ragioni, non è certo azzardato concludere che milioni d’adolescenti pakistani siano “passati” nelle madrasse finanziate dalle varie organizzazioni caritatevoli islamiche, e che una parte di essi abbia maturato la convinzione di diventare martire per la causa.
Altrimenti, non potremmo spiegarci il costante “flusso” d’attentatori suicidi che continua, da anni: in altre parole, il quadro presentato è coerente.
Anche se le modalità d’intervento furono diverse (più per noi occidentali che per i musulmani), dovremmo anche riflettere sulle migliaia di combattenti islamici dapprima presenti in Libano, poi in Bosnia, in Cecenia, quindi in Iraq, Afghanistan, ecc.
Tutto ciò, per dire che le condizioni economiche, le culture tramandate, la presenza d’organizzazioni sul territorio ed altri fattori possono generare frutti come questi. Ovviamente, potremmo dissertare all’infinito sui finanziatori, sui “controllori” di queste operazioni, ma ci condurrebbe lontano perché è dell’Italia che desideriamo parlare, non del terrorismo di matrice islamica.
Maroni, come in altre occasioni, è solito “gettare il sasso nello stagno” per poi ritrarre la mano: attenzione – come nel caso del traffico d’organi – Maroni non è solito “sparare” panzane, poiché quel traffico sui migranti fu acclarato già nel 2004, in un dibattito a “porte chiuse” della Sanità Britannica. Semplicemente, pare dimenticarsi che – un Ministro dell’Interno – non può semplicemente lanciare il sasso nello stagno per poi stare a guardare i cerchi dell’acqua. Un Ministro dell’Interno, che comunica notizie di tale gravità, deve far seguire alle parole gli atti.
Non abbiamo nessuna difficoltà a credere che gli inquirenti stiano indagando su queste “Nuove BR”; ciò che ci ha colpito è un altro aspetto del problema: è “coerente”, con la realtà italiana, una nuova diffusione del fenomeno brigatista?
Per questa ragione abbiamo preferito porre all’attenzione dei lettori la questione pakistana – non per improbabili “saldature” fra i due fenomeni – ma per rendere un parallelismo nell’analisi che andremo ad esporre.
Maroni afferma che esistono delle “Nuove BR”, le quali hanno comunicato d’esser organizzate in nuclei territoriali in alcune città del Nord: ovvio, che qui – per i particolari della vicenda – dovremmo credere sia a Maroni e sia alle Nuove BR. Un po’ troppo.
Siano oppure no organizzate territoriali, armate o sedicenti armate, le nuove organizzazioni combattenti di matrice leninista non ci sembrano affatto, nell’attuale panorama politico ed economico italiano, una bestemmia.
Eppure, dobbiamo premettere che la situazione economica italiana non è certo quella pakistana e nemmeno quella statunitense, con il 15% della popolazione sotto la soglia di povertà. Obama gira il mondo con il suo potente Air Force One mentre, a casa, un americano su sei non ha da mangiare.
Questo, perché la soglia di povertà americana è calcolata su degli standard dell’ONU, i quali si basano sul numero di pasti non effettuati durante la settimana: vera fame, mica scherzi. In Italia, invece, la soglia di povertà è fissata in circa 222 euro il mese pro capite, ed è sotto questa soglia il 4,4% delle famiglie italiane[4].
Anche in Italia s’iniziano ad osservare persone che cercano cibo nei cassonetti alla chiusura dei mercati rionali, però la struttura della società italiana è molto diversa da quella americana, laddove la famiglia d’appartenenza è spesso un vago ricordo.
Tutti sappiamo che la vera rete di protezione contro la povertà, in Italia, non è lo Stato bensì la famiglia: sotto questo aspetto, siamo più simili al Pakistan (forti legami familiari e di clan, appartenenza religiosa, ecc, per semplificare molto) che agli USA.
Negli USA, spesso, vivere negli slum è quasi sempre sinonimo di piccola delinquenza, che si consuma in aggressioni a scopo di rapina, spesso individuali, mentre non esistono “germi” di rivolta collettiva. Almeno, ad oggi, e fatti salvi alcuni sporadici casi del passato come Oklahoma City, i quali furono ben delimitati nel tempo e non ebbero seguito.
In Italia, invece, la tradizione alla costituzione di società segrete e/o armate è radicata nella nostra cultura: iniziò nel Risorgimento, prosegui durante il Fascismo, si materializzò nella guerra partigiana, fu ripresa dalle BR (ed altri) negli anni ’70. E’ nel nostro DNA, come del resto la “squadraccia”, ossia il gruppo che s’oppone militarmente sul territorio all’organizzazione politico/militare di stampo marxista-leninista.
Riflettiamo che, ciò che avviene, prende forma in un diverso palcoscenico, ma con un retroterra culturale – una serie di “copioni”, verrebbe da dire – ben sedimentato nello scorrere delle generazioni.
E’ dunque fantapolitica immaginare che, fra pochi anni, avremo nuovamente a che fare con formazioni combattenti sul territorio, strutturate in piccoli gruppi, come avvenne in passato? Io non credo proprio, poiché le condizioni – o ci sono già oggi – oppure stanno maturando.
Cerchiamo di scorrerle, ad una ad una.
Una peculiarità scaturita dalla legge elettorale – la “Calderol Porcata” – è stata la sparizione dei partiti dell’estrema sinistra: un fatto inusuale nel panorama europeo, quando sia in Francia e sia in Germania – indipendenti oppure aggregati a formazioni socialdemocratiche – esistono gruppi comunisti, trotzkisti, ecc, i quali – pensiamo alla “Linke” tedesca – “pesano” nel panorama politico.
Non entriamo nel merito di quella “sparizione”, della fiducia sottratta loro in primis proprio dal loro elettorato tradizionale, poiché ci condurrebbe lontano: certifichiamo soltanto che, in Italia, 2-3 milioni di potenziali elettori non hanno più rappresentanza politica parlamentare (la presenza nelle Amministrazioni Locali sta scemando, e presto sparirà del tutto).
Chi è questa gente?
E’ in gran parte un elettorato che si sente tradito proprio dai leader come Bertinotti o Di Liberto, e che sta rapidamente perdendo interesse per i vari Vendola, Ferrero & compagnia cantante, poiché non riesce a capire – viste le forche caudine della soglia elettorale – il motivo che preclude la loro assimilazione in una sola forza politica. Risultato: è inutile essere un comunista “democratico”, perché tanto non esiste nessuna organizzazione che mi permetta d’esser rappresentato dove conta (o dovrebbe contare) ossia in Parlamento. Credetemi: così ragionano in tanti. E, i “tanti”, cominciano ad essere milioni di persone.
In questo panorama, iniziano a scaturire i frutti della cosiddetta “oramai passata” crisi economica: sarà pur vero che l’economia finanziaria “sta guarendo” (almeno, così raccontano…), ma sul fronte dell’economia reale – l’unica che c’interessa per questa analisi – i segnali sono disastrosi.
La vicenda Olivetti-Getronics-Bull-Eutelia-Noicom-Edisontel, tutti confluiti in Agile s.r.l. (ora Gruppo Omega), è una storia di quelle che fanno tremare i polsi: 9.000 persone che rischiano, nei prossimi mesi, di non avere più nessuna fonte di reddito! Ed è solo una delle tante.
In passato, queste crisi di ristrutturazione erano risolte con la cassa integrazione, la mobilità “lunga” verso la pensione e l’assunzione da parte del settore pubblico per i più giovani: ma, di crisi di ristrutturazione si trattava, crisi cicliche del capitalismo. Oggi?
La situazione internazionale ci vede poco attrezzati per competere nel panorama globalizzato: anni nei quali la ricerca ha languito (incredibile lo scarsissimo interesse per il settore energetico innovativo), la dismissione del patrimonio produttivo pubblico, più la completa deriva di una nazione oramai priva di una classe politica, stanno mostrando i frutti.
Per la classe politica non ci sono scusanti: alcune delle aziende sopra citate, oramai inviate al “Miglio Verde” dell’estinzione, solo vent’anni fa competevano con IBM sui mercati internazionali. La débacle è totale, e lo afferma persino Confindustria, pur cercando d’edulcorare la pillola mediante comunicati spruzzati di rosa shocking.
La responsabilità, ovviamente, non è da addebitare ai lavoratori, agli italiani in genere, ma al connubio fra la classe politica con i boiardi di Stato. Ma passiamo oltre.
E’ ancora possibile, in questo scenario, garantire tutti?
Qualcosa è possibile fare, ma è oramai evidente che il destino degli italiani, nel prossimo futuro, sarà quello d’ulteriori abbassamenti del reddito, privazioni di diritti, precarietà, difficoltà economiche e sociali di vario tipo e natura.
Questo perché, mediante le varie riforme pensionistiche, lo Stato ha fatto cassa per fronteggiare la perdita di posti di lavoro e di competitività sui mercati internazionali, ma le recenti dichiarazioni di Tremonti – nessun inasprimento del regime previdenziale – testimoniano che il sacco è giunto al fondo e che non si può andare oltre.
Anche sul fronte della precarietà del lavoro è difficile pensare a qualche “innovazione”, poiché solo più di schiavitù si tratterebbe.
In altre parole: siamo al capolinea.
In questo immaginario “capolinea” – freddo e buio, come nella tradizione letteraria e cinematografica – s’incontra un ceto politico ed imprenditoriale che non è assolutamente disposto a cedere privilegi e prebende che loro appaiono – nel confronto internazionale – pienamente giustificate. Dall’altra parte della via, moltitudini sempre più povere.
Organizzate? No, perché ha ceduto l’altro “pilastro” dell’organizzazione sociale del lavoro, ossia il sindacato. Trasformati, rigenerati in centri servizi, i caporioni della Triplice attendono posti e prebende dalla Casta politica, nient’altro. Rigorosamente divisi per false appartenenze, CISL ed UIL guardano verso la cosiddetta destra, la CGIL verso la cosiddetta sinistra.
Risultato: rivolta spontanea? No, sbagliato.
L’italiano medio è un suddito, non un cittadino e non si ribella: inveisce e blatera, bestemmia e minaccia, poi rientra nei ranghi e cerca carità.
La struttura della società italiana – proprio per i legami familiari, la “disponibilità” delle organizzazioni mafiose, le associazioni “caritatevoli” del potere ecclesiastico – consente, al prezzo di una graduale ma continua riduzione dei redditi, dei diritti e della propria dignità, di sopravvivere. Questo è lo “stellone” italiano: quello che consentirà a vostro figlio di campare con meno cose di voi, di sopravvivere, affogando la propria vita nell’insipienza di un vivere schiavo.
Tutto ciò, però, vale per grandi numeri, per vaste aggregazioni sociali, ma dimentichiamo un aspetto: la varianza, la differenza, che s’esprime in forma grafica con la campana di Gauss.
La società italiana non mette a ferro e fuoco le periferie come in Francia e non arresta completamente il Paese come gli scioperi in Germania, bensì comunica il suo malessere con le proprie modalità storiche, con i suoi tradizionali mezzi di rivolta: il brigantaggio, le organizzazioni segrete, ecc. Perché?
Poiché, a fronte di una vasta maggioranza che accetterà il tozzo di pane della carità – e di una minoranza che fuggirà nel dolore psicologico fino alle nevrosi, alle droghe, ecc – un’altra minoranza si ribellerà. Come? Con i mezzi della propria tradizione culturale, sedimentati nelle generazioni e via via riportati alla luce e rinvigoriti dalle circostanze.
Perché nacquero le organizzazioni combattenti di sinistra, negli anni ’70? Prima, dobbiamo porre attenzione sul quando nacquero.
Se la spontanea rivolta internazionale partì all’incirca fra il 1967 ed il 1970, le Brigate Rosse (di qui in avanti, useremo il termine in modo omnicomprensivo, per tutte le organizzazioni terroristiche di sinistra dell’epoca) iniziarono ad affermarsi dopo il 1975, e toccarono forse l’apice nel 1978, con il sequestro Moro.
Non perdiamoci in dietrologie sulle singole vicende: non è questo l’argomento.
Il “successo” delle Brigate Rosse iniziò proprio quando il grande movimento di quegli anni iniziò a barcollare, per giungere, nel 1980, all’acclarata sconfitta del movimento operaio, la famosa “marcia dei 40.000” quadri e funzionari FIAT di Torino[5]. Passò sotto le mie finestre.
Dove trasse energie, proseliti, “numeri” la lotta armata?
Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro e cercare di quantificare – con approssimazione – la consistenza dei movimenti di quegli anni.
Le generazioni che furono coinvolte nei rivolgimenti sociali dell’epoca furono all’incirca una decina, ed una generazione dell’epoca superava le 500.000 unità. Fonti (dell’epoca) quantificarono in circa un milione i giovani che fecero parte del Movimento Studentesco, della Sinistra extraparlamentare e d’alcuni partiti che avevano piccole rappresentanze parlamentari: come si può notare – sia pure a grandi linee – il dato è coerente.
I brigatisti condannati per reati di terrorismo, invece, non superarono le 6.000 unità, le quali comprendevano anche i cosiddetti “fiancheggiatori”, ossia chi semplicemente ospitò un terrorista, lo curò, lo aiutò, ecc. E’ da notare che queste persone furono la gran maggioranza, mentre i “gruppi di fuoco” furono sempre molto esigui, qualche centinaio di persone al massimo.
Da una moltitudine che urlava contro il potere, a far sparare le armi – in definitiva – furono poche centinaia, eppure il sangue versato fu tanto. Perché?
Poiché l’organizzazione terrorista gioca d’anticipo, non ha finalità di proselitismo alla luce del sole e su larga scala: la sua “lotta politica” sono le uccisioni stesse.
Sulle modalità di reclutamento c’è parecchia letteratura, e si ricava che i reclutatori avvicinavano persone che militavano nei gruppi extraparlamentari per indicazione di qualche “fiancheggiatore”, intavolavano vaghi discorsi ed osservavano la reazione del soggetto. Se c’erano elementi per loro positivi, veniva nuovamente avvicinato con argomenti sempre più espliciti: solo quando c’era oramai la certezza dell’adesione, l’organizzazione si “scopriva”.
Non è qui importante analizzare come andò a finire, perché qualsiasi società segreta o gruppo armato clandestino viene distrutto mediante la delazione: nemmeno il brigantaggio si sottrasse a questo principio, e la lotta partigiana ebbe successo soltanto perché avvenne in un quadro bellico, dove i vincitori erano al loro fianco.
Ciò che è invece interessante notare è che, per molti versi, la disillusione, lo sconforto italiano di questi anni – pur con importantissime differenze – è un sentimento che assomiglia molto all’atmosfera di “sconfitta” del movimento di quegli anni.
Si potrà dissertare all’infinito sulle differenze storiche, ma la percezione di sconfitta – al tempo una “rivoluzione mancata”, oggi la sensazione che il Paese non è più in grado di trovare “anticorpi” per risollevarsi – ha molti punti di contatto.
Ovviamente, senza avere le informazioni che certamente Maroni ha, non siamo in grado d’andar oltre ma – analizzando le dinamiche sociali – non crediamo proprio che il Ministro dell’Interno abbia desiderato creare del “polverone mediatico”, tanto meno che sia tutta una “bufala”.
I prodromi ci sono tutti.
Articolo liberamente riproducibile nella sua integrità, ovvia la citazione della fonte.
[1] Fonte: http://iltempo.ilsole24ore.com/politica/2009/11/16/1094095-maroni_rischio_terrorismo.shtml
[2] Vedi http://www.arabcomint.com/ilmartirio%20nell'islam.htm
[3] Carlo Bertani – Al Qaeda. Chi è, da dove viene, dove va – Malatempora – Roma – 2004.
[4] Fonte: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/economia/200910articoli/48049girata.asp
[5] Vedi: http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=89
Ottima riflessione! Domanda:Se la sinistra è stata confinata scentificamente, credi possibile che la formazione di nuove fazioni brigatistiche siano auspicabili da chi ci governa per poter affermare ancora di più il proprio dominio giustificando anche l' uso della forza e perpetrando quel disegno che voleva solo sovversiva e inconcludente la sinistra?Credi quindi possibile che queste associazioni siano state spinte in un certo qual modo a riformarsi?
RispondiEliminaDi certo, Marco, le formazioni combattenti sono sempre servite più al potere per reprimere che agli oppressi per liberarsi.
RispondiEliminaDi conseguenza, possono tornar comode - di là di qualsiasi soggettivismo - per reprimere.
Sull'altro fronte, però, la presenza di ribellioni latenti, come quella greca, può preoccupare.
Io non sono fra i complottisti, poiché non ne accetto il fondamentalismo che è alla base del loro pensiero.
Il potere, tramite i servizi, s'insinua e "gioca" la sua partita dirottando delle istanze e degli avvenimenti reali a suo favore.
Franceschini, nel suo libro "Mara, Renato ed io" afferma che ricevevano "soffiate" sui movimenti delle forze di polizia dal Mossad, e che si rivelavano esatte.
Insomma, gli avvenimenti iniziali sono reali, poi tutti ci giocano sopra, ciascuno per i propri obiettivi.
Ciao
Carlo
E che dire del fatto che Curcio e gli altri sostengono che il Mossad gli offrì appoggio logistico e che loro lo rifiutarono per motivi ideologici! Oppure di un tavolino a tre piedi ben informato. Non dimenticando mai che appena in Sicilia si installarono due covi brigatisti le forze dell'ordine li arrestarono tutti in un battibaleno. Il terrorismo più "genuino" , in Europa, fu quello della Rote Armee Fraction. In Italia le BR avevano strani compagni di letto. La storia del terrorismo in Italia aspetta ancora di essere scritta e forse tra un secolo lo sarà. Intanto io mi godo la, purtroppo reale, attesa del discorso a reti unificate del Capo bastone di Arcore che lobotomizzerà gli già lobotomizzati italiani avviandosi a dominare un paese di ebeti
RispondiEliminaNo, Orazio, le "prime" BR non rifiutarono quell'aiuto, almeno così racconta Franceschini. Tanto che afferma che, quando furono arrestati di ritorno da Roma, fu solo perché un loro compagno "telefonista" non riuscì ad avvertirli in tempo. La soffiata del Mossad era giunta puntuale: probabilmente, giocavano "contro" Andreotti in funzione anti-palestinese.
RispondiEliminaSulle "seconde" BR di Moretti, invece, ho anch'io dei giustificatissimi dubbi.
Forse, Curcio e Franceschini furono la versione italiana della RAF, dopo...
Secondo me, se lo Zoccoluto fa il discorso a reti unificate, si causa da solo più danno che giovamento. Staremo a vedere.
Ciao
Carlo
Capolinea si scende!!
RispondiEliminaTremonti tuona:" niente soldi per taglio Irap", Berlusconi risponde"da noi si decide tutto a maggioranza" o con me o fuori.Se dovesse cadere a Natale chi la vince la scommessa? Auguriamoci tutti un bianco Natal! Ciao!!
A Natale la caduta del nano erecticus sarebbe il più bel regalo di natane per gli italiani. In questo caso la vincerebbe Carlo. Io sostengo che il suo potere si autorigenera con le onde cerebrali degli italiani beoti che credono in lui. Con la promessa di mandare altri soldati in Afganistan. A proposito di Americani, Carlo, ti ricordi quando rapirono il generale Dozier e lo liberarono in poco tempo, lo rapì Savasta se non ricordo male. A Moro, poveretto gli mandarono un prete a confessarlo. Carlo vince la scommessa se Berlusconi cade entro l'Estate prossima, Io la vinco se rimane in sella fino a Giugno, ma rimarrà anche oltre, purtroppo!!
RispondiEliminaSì, ricordo la vicenda Dozier, è legata ad alcuni avvenimenti personali...comunque sono onesto: avevo detto Marzo. Se il 31 Marzo non è caduto, caffé per tutti!
RispondiEliminaCiao
Carlo
Il Cavaliere nero è pazzo, minacciare così la guerra civile! Ecco perché sono sempre più convinto che non cadrà mai, nel caso contrario è capace di tutto, anche delle peggiori violenze.
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