24 dicembre 2008

Tu scendi dalle stelle…

In questi giorni, tutti scendono dalle stelle: Dei ed Angeli, stelle comete e buoni propositi.
Chi non c’attendevamo proprio che prendesse la cosa alla lettera, sono gli Stati Uniti d’America: sì, proprio i grandi Iuessé.
Con uno scarno comunicato, la NASA ha dichiarato che i tre Shuttle ancora in esercizio, dopo il 2010, “saranno messi in vendita al modesto prezzo di 42 milioni di dollari, ossia circa 30 milioni di euro al pezzo, inclusi pulizia degli interni, asportazione di materiali tossici e trasporto[1].

Insomma, un “tutto compreso” che sa di “barba e capelli”, oppure di un “pacchetto” turistico per Parigi che comprende anche il rituale spogliarello a Pigalle.
Da un lato, non possiamo esimerci d’ammirare il pragmatismo anglosassone: se gli Shuttle fossero stati italiani, le cose avrebbero preso ben altra piega.

Per prima cosa si sarebbe gridato al tradimento per la dismissione della patria ferraglia, quindi si sarebbero immediatamente formati i due comitati: quello della salvezza ad ogni costo e l’altro, per una rottamazione ad incentivi.
Nel primo caso, sarebbe sorta dal nulla una “cordata” che avrebbe immediatamente suddiviso gli Shuttle in parti: quelle “nobili” a noi, e l’amianto e tutta la rumenta ad una “bad company”. Nel secondo caso, sarebbero stati “caricati” sul bilancio statale gli oneri di rottamazione: se, poi, a comprarli fossero stati Tronchetti, De Benedetti e Ligresti, poco importa. Quando si rottama si rottama, e chi se ne assume l’onere ha ben diritto a veder riconosciuta la sua buona volontà!
E’ Natale, e non ce la sentiamo d’approfondire la cosa, perché ci condurrebbe ancora una volta a constatare la pochezza delle nostre “destra” e “sinistra”: stiamo incartando il camion dei pompieri per il nostro primo nipotino, e che gli apparatcik d’ogni colore vadano a quel paese.

Quel che più colpisce è la decisione presa dagli USA: i rifornimenti per la stazione spaziale internazionale saranno eseguiti mediante navicelle russe, europee e (forse) giapponesi. Che diventerà finalmente “internazionale”, senza americani a fare i padroni e gli altri i camerieri.
Che la vicenda degli Shuttle fosse terminata, già si sapeva: a parte il fatto che i velivoli sono giunti al termine della loro vita operativa (le vecchie “ore volo”), tutto l’andazzo non è stato proprio un successo. Su cinque mezzi costruiti, due sono finiti in una palla di fuoco: le vecchie navette (modello Apollo o Soyuz) si sono dimostrate più robuste e sicure, tanto che la NASA progetta per il futuro qualcosa d’analogo.
In realtà, si tratta di un futuro un po’ sfumato, che s’arrovella fra le dispute dei condizionali: “sarebbe”, “potrebbe”, eccetera perché, quel centinaio di milioni di euro che ricaveranno dalla vendita ai musei dei velivoli, serviranno per la pura sopravvivenza dell’Ente.
Da un punto di vista prettamente tecnologico – intendendo in questo la filosofia di progetto – si è trattato del classico “passo più lungo della gamba”, poiché il sogno d’avere un velivolo da/per lo spazio riutilizzabile è svanito nell’evidenza della loro scarsa affidabilità, soprattutto per gli scudi termici.
Certamente, per mettere in cantiere missioni su Marte, serve ben altro che degli Shuttle, i quali sembrano stare insieme con la plastilina. Anche i motori termici soffrono di scarsa autonomia, e bisogna prenderne atto.
Probabilmente, dovrà scorrere ancora molta acqua sotto i ponti: fisici ed ingegneri dovranno arrovellarsi fra nuove scoperte, calcoli e scienza dei materiali, ancora per tanto tempo. Per farlo, ci vorranno soldi che oggi non ci sono nemmeno per salvare la cassa malattia dei dipendenti dell’auto. Figuriamoci per assoggettare i marziani: e se esistessero? Un altro Iraq?

Per trovare fondi, però, bisognerebbe iniziare a gestire meglio quelli che abbiamo: non è trascurando la casa dove abitiamo che possiamo sperare di mettere da parte i soldi per comprarne una per le vacanze. Semplicemente, rischieremmo di dover accendere un mutuo per le riparazioni della prima, e niente seconda casa.

La morale della favola è che abbiamo un solo pianeta, e che per tanto tempo non avremo la possibilità reale di lasciarlo per vivere altrove, senza essenziali cordoni ombelicali. Iniziamo a trattarlo meglio: chissà, con una buona gestione ed il tempo necessario, troveremo anche qualcosa per sostituire le attuali, rudimentali “vele” spaziali.
Con la pazienza e la saggezza dei nostri vecchi, che sarebbe meglio non dimenticare mai.

[1] Fonte: Repubblica, 20 Dicembre 2008

1 commento:

  1. Caro Carlo,
    gli U.s.a. esporterebbero la democrazia anche su Marte... poi si farebbero aiutare dagli europei per diffonderla meglio! Indovina chi paga tutto questo? Il popolo bue e sovrano, che dovrà rinunciare a quel poco di stato sociale rimasto. Un caro saluto.
    Nihil

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