Devo ammettere che premo assai di rado il tasto del telecomando, e quasi sempre lo faccio – la Domenica – per leggere i risultati delle partite di calcio. Mi rifiuto di fare abbonamenti vari per guardare le partite, ed i talk show serali del pallone mi disgustano: forse perché figlio di un calciatore, sono abituato ad osservare più il gioco, che gli “acuti” di qualche miliardario che corre dietro al pallone. Perciò, mi reco ogni tanto a vedere una partita vera: quelle delle giovanili di provincia, dove ancora il pallone è qualcosa che suscita sogni estetici per un assist o per uno stop eseguito a perfezione.
Appena compaiono le prime immagini, però, mi rendo conto che l’argomento “calcio” inizia da una stazione, nella quale sciami di giovani corrono all’impazzata intonando canti e slogan belluini. Poi prendono d’assalto un treno, menano quattro agenti e le Ferrovie “consigliano” ai viaggiatori “comuni” di scendere: l’assalto alla diligenza è compiuto.
Giunti a destinazione, non contenti, ripetono l’identico copione, fino a sera.
L’estatica giornalista del TG definisce gli incidenti “non gravi”, perché c’è “solo” stato un ferito lieve per una coltellata. Forse, la “scaletta” è questa: una dozzina di teste fracassate al Pronto Soccorso porta il livello ad incidenti “seri”, mentre per quelli “gravi” ci deve scappare il morto. Altrimenti, la notizia scivola via fra un servizio e l’altro.
Cosa volete che siano poche ore di guerriglia urbana, qualche macchina fracassata, un treno devastato…in fondo sono “bravi ragazzi”…sì…solo un po’ “tifosi”…
La notte porta consiglio, e dimentico presto la solita gazzarra domenicale nella quale – in pieno stile panem et circenses – tutto deve essere tollerato: addirittura che, chi ha acquistato regolarmente un biglietto ferroviario per recarsi a Roma – per futili motivi, ovvio, mica per una partita di calcio – sia obbligato a scendere poiché il treno è stato assaltato.
La politica? Chi era costui – ripetono centinaia d’insignificanti don Abbondio – cosa c’entra il calcio con la politica? Basta che non scassino i maroni a noi: se se la prendono con un treno, o sfasciano tutto allo stadio, non passerà mai loro per la mente di venire a Montecitorio!
La mattina seguente c’è il solito rito d’inizio anno scolastico…il primo collegio docenti, le assegnazioni alle classi e compagnia varia…nel quale, l’unico aspetto interessante è incontrare qualche collega con il quale si hanno rapporti d’amicizia e di stima.
Come sempre, il Preside (oggi Dirigente Scolastico) non può glissare totalmente sugli sfasci che la classe politica sta realizzando nella scuola. I “risparmi” del D.M. 112 (divenuto, nel frattempo, legge n. 133), che qualcuno s’ostina a definire tali, sono in realtà il requiem per la scuola pubblica: tanto è vero che solo il 30% dei “risparmi” sarà reinvestito nella scuola, mentre il restante 70% “saranno resi disponibili in gestione con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze”[1].
Quindi, il piano che taglierà circa il 10% fra docenti e personale ATA (addirittura il 17% fra gli ATA!) e che condurrà ad un “risparmio” di quasi 8 miliardi di euro, servirà a finanziare la contabilità generale dello Stato, non altro. Magari, per iniziare a pagare – da Gennaio – la salatissima “multa” europea per la permanenza di Rete4 in chiaro e non confinarla sul satellite, laddove la giurisprudenza europea aveva definito che dovesse migrare.
Ad una diretta domanda dello scrivente – ovvero se la retribuzione professionale docenti facesse parte del salario accessorio – il preside non ha potuto glissare: sì – quindi – per ogni giorno di malattia, un docente lascerà nelle casse dello Stato circa 10 euro.
Siccome la media delle assenze per malattia nella scuola è di 9,66 giorni/anno[2], lo Stato farà una “cresta” di un centinaio di euro a lavoratore: beninteso, su chi si ammala, che deve anche – visto che la Sanità pubblica è oramai una bubbola – provvedere di tasca propria per medicine e ticket.
Tutto questo fa parte di una campagna mediatica ben congegnata, che partì con la pubblicazione su il “Sole 24 ore” – giornale di Confindustria – di dati palesemente e sfacciatamente falsi sulle assenze nel pubblico impiego.
Della stessa campagna, fanno parte gli attuali provvedimenti sulla scuola: tutti tesi a fornire un’immagine d’efficienza e di sereno amore materno nei confronti dei nostri piccini. Una pura e semplice vicenda d’immagine.
Vogliamo re-introdurre il grembiulino per la scuola elementare? Benissimo, almeno non si sporcheranno con i colori, ma il ricco continuerà a sfoggiare scarpe da 100 euro, il povero dovrà acquistare, in più, il grembiulino.
La gran parte degli italiani gradisce che si torni a valutare la condotta nel computo del profitto complessivo, credendo – con questa bella trovata – di liberarsi degli scomodi video che compaiono su Youtube, vera ossessione del precedente Ministro.
Qualcuno, però, riflette su chi sono i ragazzi che compiono queste pessime azioni?
Appartengono ai ceti meno abbienti, tanto è vero che il comportamento è un problema gravissimo soprattutto negli istituti Professionali, poi nei Tecnici, mentre decresce nei Licei. Inoltre, decresce dalla grande città al piccolo centro. Qualcuno si è chiesto il perché?
Questi giovani – probabilmente gli stessi che prendono d’assalto i treni – sono le nostre banlieue, le periferie disastrate dove ragazzi che sanno di non avere un futuro – che non parteciperanno mai alla distribuzione della ricchezza[3] – inviano un segnale. Violento, disgustoso, ma non irricevibile, poiché non “riceverlo” sarebbe come nascondere la testa sotto la sabbia.
Se Maria Stella Gelmini ha preferito l’icona della “Maestrina della Penna Rossa”, di deamicisiana memoria – una scelta ovviamente dettata dai creatori d’immagine della politica/spettacolo/spazzatura – potremmo ricordare che la nostra società non assomiglia molto al libro “Cuore”. Si legga, piuttosto, “L’elogio di Franti” di Umberto Eco[4], laddove il “monello” – decretato archetipo di tutte le nefandezze giovanili – si rivela per quel che è: un giovane dell’epoca che non approva l'ideologia militaristica e nazionalistica espressa da De Amicis.
Se, i termini della non accettazione della scuola e delle sue regole, derivano da un precedente e più radicato sentimento di rivalsa per l’ingiustizia sociale, se questi giovani – assaltando un treno – urlano in realtà la loro rabbia d’esclusi, pensiamo veramente che un 5 in condotta li spaventerà? Oppure radicherà ancor più la loro percezione d’esclusi?
Infine, la “chicca” tanto agognata, preannunciata da un noto pedagogista (!) – Vittorio Feltri, direttore di “Libero” – in un’intervista televisiva: il ritorno al “maestro unico” nella scuola elementare. Rammento che quella sera, in TV, c’erano almeno un altro paio di noti ed “esperti” pedagogisti: se ben ricordo, Tremonti e Fini.
Nessuno può affermare che la scuola elementare non possa funzionare come 50 anni fa, con il maestro unico dalla prima alla quinta: tanti sono “sopravvissuti” a quell’impostazione, me compreso, senza mostrare evidenti danni cerebrali.
C’è, però, in tutta la querelle, un dato curioso: s’interviene più pesantemente nel “segmento” scolastico che meglio funziona – le periodiche rilevazioni internazionali lo confermano, la nostra Scuola Elementare è fra le migliori in Europa – mentre si tace sul resto, ovvero su una Scuola Media che ha smarrito il suo senso d’esistere ed una Superiore che mostra ogni giorno che passa il peso degli anni.
Ricordiamo che l’attuale struttura della nostra Scuola Superiore è ancora quella di Gentile del 1923 (che riformò la precedente “Casati” del 1859) il quale, pur essendo egli stesso filosofo e pedagogista, ritenne di chiedere aiuto e consiglio a Giuseppe Lombardo Radice, insigne pedagogista dell’epoca.
Siamo quindi passati dai Gentile, Lombardo Radice – ma anche dai Tullio De Mauro, stimato linguista e pedagogista – alla “nouvelle pédagogie” della Gelmini, dei Pizza, Tremonti, Feltri e Bossi. Andèm bèn, per dirla in padano.
Purtroppo, molti lettori di quotidiani e di Internet conoscono poco i problemi della scuola e ne sottovalutano l’importanza: chi ci è già passato pensa “l’ho scampata”, chi la frequenta legge poco e s’interessa (giustamente, per l’età) ad altro, chi ci vive è oramai annichilito dall’insipienza delle recenti riforme e controriforme, le quali – altro non sono – che un pasticciato pour parler sul nulla. Un esempio?
Si giubila sul ritorno al voto numerico: qualcuno potrebbe spiegarmi la differenza che c’è fra un “più che sufficiente” ed un 6 più? Oppure fra un “ampiamente sufficiente” ed un sei e mezzo? Ancora: un “quasi buono” ed un 7 meno?
Eppure, la valutazione – ne sanno qualcosa gli studenti che in questi giorni affrontano i rinnovati esami di riparazione – è un problema spinoso: non per la scala di valori che si usa per valutare – numeri, giudizi od altro – ma per i parametri di valutazione, che sono il vero problema.
Si deve valutare per conoscenze o per competenze? Come armonizzare l’omogeneità del giudizio con le inevitabili differenze – culturali, caratteriali, professionali – dei docenti? Quale finalità assegnare alla scuola, la preparazione “operativa” destinata al lavoro o quella più “generalista”, di stampo educativo? Entrambe? E in quale misura? E come valutare le due componenti?
Scommetto mezzo cosiddetto che, se interpellassimo questi signori che blaterano proposte pedagogiche, non saprebbero nemmeno identificare di cosa si sta parlando. Non la risposta: almeno capire la domanda.
Tutto ciò avviene – scuola o treni sfasciati, poco importa – poiché non solo la politica (questo l’abbiamo capito da tempo), bensì l’approccio culturale e metodologico ai problemi – sociali, economici, culturali, ecc – nel Bel Paese è profondamente malato. E, quando non si riesce più ad interpretare la realtà, le uniche vie d’uscita sono la disinformazione (prassi oramai comune in TV), la “Reductio ad Hitlerum”[5] per chi propone soluzioni rivoluzionarie, oppure la pura e semplice repressione, modello Genova o voto in condotta.
La situazione italiana è quindi – metaforicamente – quella di una barca in mediocri condizioni che naviga su un mare di m…e, pur sapendo che dovrà prima o dopo fare i conti con il “liquido”, se ne astiene, tira a campare e finge che la m…sia acqua di rose.
Ogni settore della vita pubblica lo dimostra: l’assurdo approccio al problema energetico – centrali nucleari quando nessuno o quasi dei paesi industrializzati ne costruisce – l’istruzione carente e, quindi – visto che è “carente” – meglio l’eutanasia. Il lavoro che non c’è, perché manca la ricerca e la classe imprenditoriale non muove foglia se non sa d’avere a disposizione le prebende dello Stato? De-rubrichiamo il lavoro ad occupazione saltuaria, diamo loro ogni tanto quattro soldi, finché dura. Le risorse mancano? Portiamo l’età della pensione a 70 anni.
Gli esempi si moltiplicano e quasi s’accavallano. Mandano l’Esercito nelle città: nel frattempo, avvengono (proprio nelle città!) eventi drammatici, gravi violenze a danno di turisti stranieri. Risultato? Mandiamo ancor più soldati nelle strade! Scopriamo che la corruzione è ancor più diffusa rispetto ai tempi di Mani Pulite? Prendiamo la Forleo e De Magistris e li cacciamo.
Tutto è semplice, parola di Vittorio Feltri, Renato Brunetta e Giulio Tremonti: gli altri, son lì per figura. Fin quando non s’aprirà una falla e la pompa di sentina andrà in tilt: chissà se, in quel momento, con il “liquido” che arriverà oramai alla falchetta, qualcuno inizierà a distinguere la m…dall’acqua di rose?
[1] Fonte: Altalex, D.M. n. 112, art. 64, comma 9.
[2] Fonte: CGIA di Mestre, su dati ufficiali forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato.
[3] Parecchie fonti di dati statistici (ISTAT; EURISPES, ecc) indicano che il 10% circa della popolazione italiana possiede il 45% circa della ricchezza nazionale. Questi dati sono spesso confermati dagli indici dei consumi sui beni di lusso, sulla spesa per le vacanze, ecc.
[4] Umberto Eco – Diario Minimo – Fabbri Editore, 1963.
[5] La “Reductio ad Hitlerum” è una perversa e fallace pratica usata nella lotta politica, creata e sostanziata da Leo Strass negli anni ’50. Compiendo un errato sillogismo fra un aspetto (anche secondario) del dittatore tedesco e la persona in questione – ed utilizzando a dovere il potere mediatico – si giunge a confutare tutte le posizioni politiche della persona presa di mira senza doverle, in definitiva, discutere ed affrontare.
Appena compaiono le prime immagini, però, mi rendo conto che l’argomento “calcio” inizia da una stazione, nella quale sciami di giovani corrono all’impazzata intonando canti e slogan belluini. Poi prendono d’assalto un treno, menano quattro agenti e le Ferrovie “consigliano” ai viaggiatori “comuni” di scendere: l’assalto alla diligenza è compiuto.
Giunti a destinazione, non contenti, ripetono l’identico copione, fino a sera.
L’estatica giornalista del TG definisce gli incidenti “non gravi”, perché c’è “solo” stato un ferito lieve per una coltellata. Forse, la “scaletta” è questa: una dozzina di teste fracassate al Pronto Soccorso porta il livello ad incidenti “seri”, mentre per quelli “gravi” ci deve scappare il morto. Altrimenti, la notizia scivola via fra un servizio e l’altro.
Cosa volete che siano poche ore di guerriglia urbana, qualche macchina fracassata, un treno devastato…in fondo sono “bravi ragazzi”…sì…solo un po’ “tifosi”…
La notte porta consiglio, e dimentico presto la solita gazzarra domenicale nella quale – in pieno stile panem et circenses – tutto deve essere tollerato: addirittura che, chi ha acquistato regolarmente un biglietto ferroviario per recarsi a Roma – per futili motivi, ovvio, mica per una partita di calcio – sia obbligato a scendere poiché il treno è stato assaltato.
La politica? Chi era costui – ripetono centinaia d’insignificanti don Abbondio – cosa c’entra il calcio con la politica? Basta che non scassino i maroni a noi: se se la prendono con un treno, o sfasciano tutto allo stadio, non passerà mai loro per la mente di venire a Montecitorio!
La mattina seguente c’è il solito rito d’inizio anno scolastico…il primo collegio docenti, le assegnazioni alle classi e compagnia varia…nel quale, l’unico aspetto interessante è incontrare qualche collega con il quale si hanno rapporti d’amicizia e di stima.
Come sempre, il Preside (oggi Dirigente Scolastico) non può glissare totalmente sugli sfasci che la classe politica sta realizzando nella scuola. I “risparmi” del D.M. 112 (divenuto, nel frattempo, legge n. 133), che qualcuno s’ostina a definire tali, sono in realtà il requiem per la scuola pubblica: tanto è vero che solo il 30% dei “risparmi” sarà reinvestito nella scuola, mentre il restante 70% “saranno resi disponibili in gestione con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze”[1].
Quindi, il piano che taglierà circa il 10% fra docenti e personale ATA (addirittura il 17% fra gli ATA!) e che condurrà ad un “risparmio” di quasi 8 miliardi di euro, servirà a finanziare la contabilità generale dello Stato, non altro. Magari, per iniziare a pagare – da Gennaio – la salatissima “multa” europea per la permanenza di Rete4 in chiaro e non confinarla sul satellite, laddove la giurisprudenza europea aveva definito che dovesse migrare.
Ad una diretta domanda dello scrivente – ovvero se la retribuzione professionale docenti facesse parte del salario accessorio – il preside non ha potuto glissare: sì – quindi – per ogni giorno di malattia, un docente lascerà nelle casse dello Stato circa 10 euro.
Siccome la media delle assenze per malattia nella scuola è di 9,66 giorni/anno[2], lo Stato farà una “cresta” di un centinaio di euro a lavoratore: beninteso, su chi si ammala, che deve anche – visto che la Sanità pubblica è oramai una bubbola – provvedere di tasca propria per medicine e ticket.
Tutto questo fa parte di una campagna mediatica ben congegnata, che partì con la pubblicazione su il “Sole 24 ore” – giornale di Confindustria – di dati palesemente e sfacciatamente falsi sulle assenze nel pubblico impiego.
Della stessa campagna, fanno parte gli attuali provvedimenti sulla scuola: tutti tesi a fornire un’immagine d’efficienza e di sereno amore materno nei confronti dei nostri piccini. Una pura e semplice vicenda d’immagine.
Vogliamo re-introdurre il grembiulino per la scuola elementare? Benissimo, almeno non si sporcheranno con i colori, ma il ricco continuerà a sfoggiare scarpe da 100 euro, il povero dovrà acquistare, in più, il grembiulino.
La gran parte degli italiani gradisce che si torni a valutare la condotta nel computo del profitto complessivo, credendo – con questa bella trovata – di liberarsi degli scomodi video che compaiono su Youtube, vera ossessione del precedente Ministro.
Qualcuno, però, riflette su chi sono i ragazzi che compiono queste pessime azioni?
Appartengono ai ceti meno abbienti, tanto è vero che il comportamento è un problema gravissimo soprattutto negli istituti Professionali, poi nei Tecnici, mentre decresce nei Licei. Inoltre, decresce dalla grande città al piccolo centro. Qualcuno si è chiesto il perché?
Questi giovani – probabilmente gli stessi che prendono d’assalto i treni – sono le nostre banlieue, le periferie disastrate dove ragazzi che sanno di non avere un futuro – che non parteciperanno mai alla distribuzione della ricchezza[3] – inviano un segnale. Violento, disgustoso, ma non irricevibile, poiché non “riceverlo” sarebbe come nascondere la testa sotto la sabbia.
Se Maria Stella Gelmini ha preferito l’icona della “Maestrina della Penna Rossa”, di deamicisiana memoria – una scelta ovviamente dettata dai creatori d’immagine della politica/spettacolo/spazzatura – potremmo ricordare che la nostra società non assomiglia molto al libro “Cuore”. Si legga, piuttosto, “L’elogio di Franti” di Umberto Eco[4], laddove il “monello” – decretato archetipo di tutte le nefandezze giovanili – si rivela per quel che è: un giovane dell’epoca che non approva l'ideologia militaristica e nazionalistica espressa da De Amicis.
Se, i termini della non accettazione della scuola e delle sue regole, derivano da un precedente e più radicato sentimento di rivalsa per l’ingiustizia sociale, se questi giovani – assaltando un treno – urlano in realtà la loro rabbia d’esclusi, pensiamo veramente che un 5 in condotta li spaventerà? Oppure radicherà ancor più la loro percezione d’esclusi?
Infine, la “chicca” tanto agognata, preannunciata da un noto pedagogista (!) – Vittorio Feltri, direttore di “Libero” – in un’intervista televisiva: il ritorno al “maestro unico” nella scuola elementare. Rammento che quella sera, in TV, c’erano almeno un altro paio di noti ed “esperti” pedagogisti: se ben ricordo, Tremonti e Fini.
Nessuno può affermare che la scuola elementare non possa funzionare come 50 anni fa, con il maestro unico dalla prima alla quinta: tanti sono “sopravvissuti” a quell’impostazione, me compreso, senza mostrare evidenti danni cerebrali.
C’è, però, in tutta la querelle, un dato curioso: s’interviene più pesantemente nel “segmento” scolastico che meglio funziona – le periodiche rilevazioni internazionali lo confermano, la nostra Scuola Elementare è fra le migliori in Europa – mentre si tace sul resto, ovvero su una Scuola Media che ha smarrito il suo senso d’esistere ed una Superiore che mostra ogni giorno che passa il peso degli anni.
Ricordiamo che l’attuale struttura della nostra Scuola Superiore è ancora quella di Gentile del 1923 (che riformò la precedente “Casati” del 1859) il quale, pur essendo egli stesso filosofo e pedagogista, ritenne di chiedere aiuto e consiglio a Giuseppe Lombardo Radice, insigne pedagogista dell’epoca.
Siamo quindi passati dai Gentile, Lombardo Radice – ma anche dai Tullio De Mauro, stimato linguista e pedagogista – alla “nouvelle pédagogie” della Gelmini, dei Pizza, Tremonti, Feltri e Bossi. Andèm bèn, per dirla in padano.
Purtroppo, molti lettori di quotidiani e di Internet conoscono poco i problemi della scuola e ne sottovalutano l’importanza: chi ci è già passato pensa “l’ho scampata”, chi la frequenta legge poco e s’interessa (giustamente, per l’età) ad altro, chi ci vive è oramai annichilito dall’insipienza delle recenti riforme e controriforme, le quali – altro non sono – che un pasticciato pour parler sul nulla. Un esempio?
Si giubila sul ritorno al voto numerico: qualcuno potrebbe spiegarmi la differenza che c’è fra un “più che sufficiente” ed un 6 più? Oppure fra un “ampiamente sufficiente” ed un sei e mezzo? Ancora: un “quasi buono” ed un 7 meno?
Eppure, la valutazione – ne sanno qualcosa gli studenti che in questi giorni affrontano i rinnovati esami di riparazione – è un problema spinoso: non per la scala di valori che si usa per valutare – numeri, giudizi od altro – ma per i parametri di valutazione, che sono il vero problema.
Si deve valutare per conoscenze o per competenze? Come armonizzare l’omogeneità del giudizio con le inevitabili differenze – culturali, caratteriali, professionali – dei docenti? Quale finalità assegnare alla scuola, la preparazione “operativa” destinata al lavoro o quella più “generalista”, di stampo educativo? Entrambe? E in quale misura? E come valutare le due componenti?
Scommetto mezzo cosiddetto che, se interpellassimo questi signori che blaterano proposte pedagogiche, non saprebbero nemmeno identificare di cosa si sta parlando. Non la risposta: almeno capire la domanda.
Tutto ciò avviene – scuola o treni sfasciati, poco importa – poiché non solo la politica (questo l’abbiamo capito da tempo), bensì l’approccio culturale e metodologico ai problemi – sociali, economici, culturali, ecc – nel Bel Paese è profondamente malato. E, quando non si riesce più ad interpretare la realtà, le uniche vie d’uscita sono la disinformazione (prassi oramai comune in TV), la “Reductio ad Hitlerum”[5] per chi propone soluzioni rivoluzionarie, oppure la pura e semplice repressione, modello Genova o voto in condotta.
La situazione italiana è quindi – metaforicamente – quella di una barca in mediocri condizioni che naviga su un mare di m…e, pur sapendo che dovrà prima o dopo fare i conti con il “liquido”, se ne astiene, tira a campare e finge che la m…sia acqua di rose.
Ogni settore della vita pubblica lo dimostra: l’assurdo approccio al problema energetico – centrali nucleari quando nessuno o quasi dei paesi industrializzati ne costruisce – l’istruzione carente e, quindi – visto che è “carente” – meglio l’eutanasia. Il lavoro che non c’è, perché manca la ricerca e la classe imprenditoriale non muove foglia se non sa d’avere a disposizione le prebende dello Stato? De-rubrichiamo il lavoro ad occupazione saltuaria, diamo loro ogni tanto quattro soldi, finché dura. Le risorse mancano? Portiamo l’età della pensione a 70 anni.
Gli esempi si moltiplicano e quasi s’accavallano. Mandano l’Esercito nelle città: nel frattempo, avvengono (proprio nelle città!) eventi drammatici, gravi violenze a danno di turisti stranieri. Risultato? Mandiamo ancor più soldati nelle strade! Scopriamo che la corruzione è ancor più diffusa rispetto ai tempi di Mani Pulite? Prendiamo la Forleo e De Magistris e li cacciamo.
Tutto è semplice, parola di Vittorio Feltri, Renato Brunetta e Giulio Tremonti: gli altri, son lì per figura. Fin quando non s’aprirà una falla e la pompa di sentina andrà in tilt: chissà se, in quel momento, con il “liquido” che arriverà oramai alla falchetta, qualcuno inizierà a distinguere la m…dall’acqua di rose?
[1] Fonte: Altalex, D.M. n. 112, art. 64, comma 9.
[2] Fonte: CGIA di Mestre, su dati ufficiali forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato.
[3] Parecchie fonti di dati statistici (ISTAT; EURISPES, ecc) indicano che il 10% circa della popolazione italiana possiede il 45% circa della ricchezza nazionale. Questi dati sono spesso confermati dagli indici dei consumi sui beni di lusso, sulla spesa per le vacanze, ecc.
[4] Umberto Eco – Diario Minimo – Fabbri Editore, 1963.
[5] La “Reductio ad Hitlerum” è una perversa e fallace pratica usata nella lotta politica, creata e sostanziata da Leo Strass negli anni ’50. Compiendo un errato sillogismo fra un aspetto (anche secondario) del dittatore tedesco e la persona in questione – ed utilizzando a dovere il potere mediatico – si giunge a confutare tutte le posizioni politiche della persona presa di mira senza doverle, in definitiva, discutere ed affrontare.
Caro collega,
RispondiEliminaHai ragione. Da maestro di scuola materna (precario) non posso che essere d'accordo con quanto scrivi.
Mai sottovalutare certi fenomeni che, come hai giustamente scritto, non sono altro che un grido d'aiuto.
Ma sai com'è: la maggior parte del corpo docente si considera 'arrivato' perché ha raggiunto il passaggio di ruolo e poi aspetta stancamente il 27 del mese per comprarsi un paio di scarpe (o l'abbonamento allo stadio!)e raccontarsi che va bene così. Non so che dire... Bel futuro attende i nostri allievi:non ci chiedono altro che qualche certezza per sentirsi più ottimisti e guardare con un minimo di serenità al futuro, ma noi docenti, che dovremmo fornirgliele, queste certezze le abbiamo?
Con profonda stima,
René.
Ritengo, Carlo, che eri partito molto bene, ma poi ti sei un po' perso... e vediamo perché.
RispondiEliminaI grembiulini: quando ci vestiamo portiamo tutti una divisa, non è che senza grembiulino ci si priva di essa. E allora, ben venga il grembiulino, bleu scuro per i maschietti, bianco per le femminucce, per cancellare i vari abiti griffati di cui già fanciulli ci si pavoneggia o, a seconda dei casi, i vestiti sdruciti e vecchi, che rendono gli zimbelli dei compagni.
La condotta: in un posto di lavoro la cattiva condotta non è inevitabilmente connessa a un cattivo rendimento? Un professore che fuma spinelli a scuola, o che tiene nascosti nella sua cassetta della sala professori dei giornali porno è un cattivo insegnante, e deve essere sanzionato. Non vedo perché non debba essere altrettanto per gli allievi.
"Ma gli allievi "cattivi" appartengono a famiglie povere, e sono emarginati e senza prospettive, ecc. ecc.". Ma de che, Carlo?! Io nel lontano 1985 fui pesantemente insultato a più riprese per la mia acne da un gruppetto di allievi di buona famiglia di un liceo-ginnasio di Roma e poi, siccome rispondevo per le rime, un giorno a un mio apprezzamento sull'onorabilità della madre di uno di loro, presi un bel paio di pugni e fui minacciato di morte (poi furono tutti bocciati, non per questo episodio però). A parte questo, gli allievi teppisti, gradassi, o come li vogliamo chiamare, o quelli che sfasciano i banchi o i cessi della scuola, o che imbrattano i muri per scrivere fregnacce, per riabilitarsi devono o non devono passare per la punizione? Secondo me sì.
Il maestro unico: Carlo, lo sai tu come lo so io, che l'introduzione del doppio maestro, e poi di tre, quattro, e qualche volta fino a cinque maestre, ammantata di chiacchiere pedagogiche, è stata una trovata per imbarcare una vagonata di maestre precarie a scuola. Le classi delle elementari funzionano molto meglio con il maestro unico, supportato da altri docenti per le attività integrative, purché (!) il numero degli allievi per classe non superi il numero di venti, come accadeva ai miei tempi, e in presenza di allievi handicappati anche di quindici. Mi risulta che oggi le classi siano composte normalmente di trenta allievi.
I provvedimenti della ministra Gelmini, insomma, sarebbero anche apprezzabili in sé. Il problema è che poi nella scuola ci devi mettere i soldini, per le strutture e per il personale. Introdotti in questo modo sono un tentativo di fare le classiche nozze con i classici fichi secchi.
Caro Carlo bentornato è sempre piacevole leggere un tuo post specialmente quando parli di tematiche cosi importani e cosi maltrattate fino ad essere sminuite ad un numero o ad una valutazione che dovrebbe rappresentare la svolta di una scuola oramai allo sbando.Questi ragazzi, oramai sempre più annoiati, sono sempre più vittima di una società e di genitori che non sanno più stimolarlie noi per risolvere ciò non sappiamo fare altro che affibiargli un altra valutazione oltre a quelle che la società gli impone( bellezza, intelligenza, scaltrezza, sex appeal ecc.). Mio figlio affronta l' ultimo anno di scuola materna, frequentando una scuola privata di ottimo stampo intrapresa in seguito a delle casuali vicissitudini, ora già vivo l' ansia di dovere scegliere una scuola primaria che possa essere di buon supporto per lui combattuto tra il lasciarlo in un indirizzo privato o inserirlo nel pubblico dove io credo e sostengo che ognuno dovrebbe essere indirizzato e avere possibilità di una buona istruzione, in modo da avvalorare uno stato di diritto equalitario e meriotocratico dove tutti abbiano diritto (indipendentemente dal loro status)di emergere ad armi pari.Ti ringrazio per l' attenzione e saluto te e questo splendito blog.
RispondiEliminaPurtroppo è vero che, con il ruolo, la gente si "siede": chiediamoci, però, quando e come s'arriva in ruolo?
RispondiEliminaLo scorso anno, ho visto entrare in ruolo una collega di 50 anni. Dopo tanto sudare (e viaggi), ci si sente così abbattuti e scorati che la voglia di mollare tutto viene. Poi, si supera pensando ai ragazzi, ma lo scoramento per come sono trattati i docenti italiani c'è.
La situazione della scuola ricalca in pieno la difficoltà sociologica dell'Italia a diventare una nazione di cittadini e non di sudditi. Qui, basta urlare un po' più forte degli altri per averla vita: questo è il senso dei provvedimenti del governo.
Mi gioco l'altro cosiddetto che, fra un anno, osserveremo il fallimento dei vari provvedimanti: sicurezza, scuola, Alitalia, ecc.
Scegliere una scuola per i propri figli è difficilissimo, soprattutto perché la mobilità fra gli insegnanti è alta: conviene ascoltare parecchi pareri e poi...sperare in Dio!
E veniamo alle critiche di Luca.
E' verissimo che il numero degli allievi per classe è troppo alto (ne avrò 28 in una classe fra pochi giorni), e tutti sappiamo che il numero ideale è attorno a 22.
Per la scuola elementare, invece, approvo la scelta pedagogica di più docenti, perché offre agli allievi la possibilità di comunicare su più canali. I miei figli più giovani, che hanno avuto questa possibilità, non hanno incontrato difficoltà nelle successive Medie, perché già abituati a diversi caratteri, approcci, ecc.
Il grembiulino non è certo un grande problema: sono le maestre stesse a chiederlo (o una tuta) per le attività dove ci si sporca.
Se, invece, con il provvedimento si desiderava annullare le "griffe", esse compariranno in egual modo in scarpe, jeans, cappotti, zainetti, astucci, ecc. Il povero, avrà modo ugualmente di gustare il suo essere "minus". Vogliamo adottare il metodo sovietico? Tutto fornito dalla scuola: grembiule, cartella, astuccio...tutti uguali.
Che le violenze siano maggiori nei professionali e nei tecnici non sono io a dirlo, ma le rilevazioni e le statistiche sulla scuola: che poi ci siano dei violenti anche nei licei non lo nego, anzi.
Roma, in questo senso, ha un triste primato che nessuna altra città italiana ha: ancora vive l'eco degli anni '70, della lotta armata fra gli opposti estremismi.
Nella buona società romana, è molto comune appartenere al neofascismo, mentre nel resto dell'Italia (pensiamo a Milano, San Babila) il fenomeno è decisamente più sfumato.
D'altro canto, i saluti romani e quant'altro s'osservano soprattutto a Roma, meno altrove.
Di qui, la natura violenta di parecchi appartenenti alla "buona società" romana: da dove vengono quelli del Circeo? e Fioravanti?
Questo, però, c'entra poco con i fenomeni di "bullismo", che nascono quasi sempre dall'emarginazione sociale.
Ora, io non sono contrario ad una più attenta valutazione della condotta, ma non credo che - se non rimuoveremo le cause - potremo mai annullare gli effetti.
Purtroppo, Luca, queste sono storie di lana caprina e...ci vorrebbe un convegno per discuterne!
Ciao a tutti
Carlo Bertani
Salute a tutti,
RispondiEliminacredo che tutti questi interventi siano specchietti per le allodole, non conosco molto bene la scuola elementare ma per i ricordi che ne ho io il grembiule c'era ed era pure utilissimo (infatti sono pro-grembiule), nessuno si metteva a guardare se avevi un paio di Nike o Nikyo e tantomento lo stile del grembiule, anzi, il grembiulino blu me lo faceva la mamma come lo volevo io ed era così apprezzato che lo volle anche un mio amico figlio di un dirigente delle Assicurazioni Generali, così decidemmo di regalargli uno di quelli che non mi andavano più bene, quindi vedo la questione della discriminazione sociale solo come un pretesto per dare aria alle trombe della polemica. Riguardo ai voti di condotta credo che anch'essi siano un'immensa cavolata, come insegnante (molto precario) alle superiori posso affermare che il voto di condotta non migliora la situazione, non c'è bisogno di questo balzello perchè durante gli scrutini ogni insegnante propone il voto della sua materia spiegandone anche i motivi che comprendono sia la resa didattica nei test di valutazione sia la condotta dell'allievo e vorrei precisare che NON è una media matematica, il consiglio di classe può respingere il voto ed invece approvarne uno più alto o basso a seconda dei casi, grazie a questo è comunque possibile bocciare gli allievi indisciplinati, il problema reale sta nel fatto che gli insegnanti non possono fare solo i conti coi voti ma anche e soprattutto con la riforma Moratti. Alle superiori occorrono almeno 20 allievi per aprire 1 classe prima ed almeno 15 per le sucessive, ora ragioniamo come un insegnante che decide i voti, la classe 1X ha 24 alunni, 14 non arrivano alla sufficienza e si comportano come unni ad una trasferta, se li boccio tutti non ci sarà una 2X l'anno seguente e quindi per non perdere il lavoro devo devo bocciare al max 9 allievi, va bene che si possono accorpare le classi ma bisogna contare quanti altri anni rimangono. La morale di tutto questo è che se si vuole parlare di scuola che si incominci a parlarne seriamente e magari si inizierebbe a muovere qualcosa verso il meglio
L'obiezione che gli alunni abituati con più maestre arrivano più preparati psicologicamente all'impatto con le medie è facilmente agirabile: se le maestre (o i rari maestri) fossero delle vere maestre, e non dei surrogati della mamma. Tanto per dirne una, delle persone a cui dare del lei, e chiamare "signora maestra", e non com'è oggi "la maestra Jolanda", la "maestra Katia", e la "maestra Sonia", che magari viene a fare lezione con i jeans a vita bassa e il tatuaggio in bella vista all'altezza dei reni. Ma è un discorso assai complicato, ci vorrebbe davvero un convegno.
RispondiEliminaAnche perché la differenza fondamentale sta nel fatto che un tempo (ancora quando andavo a scuola io, non moltissimi anni fa) i genitori avevano ancora un briciolo di soggezione rispetto alla scuola, e un po' di vergogna per gli insuccessi dei figli, cosa che oggi va rapidamente scemando, a tutti i livelli sociali. In particolare per chi frequenta scuole private, ed è abituato a considerare gli insegnanti all'altezza della servitù di casa propria.
Ciao
Luca
Ciao Carlo,
RispondiEliminariguardo a questo tuo ultimo post mi trovo d'accordo con Luca.
I grembiuli mi sembrano una scelta condivisibile, e' vero che non saranno mai in grado di cancellare le differenze reali di ceto, ma almeno lo fanno a livello simbolico. Oltre a questo non trovo nulla di male nel fatto che in un momeno di vita collettiva si richieda agli studenti di vestirsi alla stessa maniera, qualcosa di analogo alla divisa nello scautismo, oppure alle uniformi dei college inglesi.
Sul discorso una o molte maestre sono in favore del maestro singolo, da quel poco che so le elementari italiane erano considerate le migliori al mondo quando c'era una maestra sola.
Infine sul discorso della condotta, non sono molto d'accordo su come e' stato impostato il ragionamento. Credo che l'idea del voto in condotta, a cui sono favorevole, prescinda dalla societa'. Voglio dire, se riteniamo che la scuola debba valutare anche la maturita' comportamentale degli allievi, allora introduciamo il voto in condotta.
Altro problema e' capire perche'nei casi specifici ci siano ragazzi con difficolta', che magari vengono da contesti disagiati. La scuola puo' ovviamente dare il suo contributo, ma non le si puo' chiedere di risolvere questioni che in definitiva sono oltre la sua portata.
Terminate le critiche, che naturalmente vogliono costrutttive, temo di non poter aggiungere contributi significativi a quanto hai detto. Unica cosa, preferisco la riforma Gentile, con tutti i suoi limiti, alle riforme pasticciate degli ultimi anni. In questo senso mi sembra che le norme (re)introdotte dalla Gelmini siano piu' che altro questione di buon senso.
Con stima
Matteo Salardi
Non riesco proprio a capire come si possa giustifiacre il ritorno ad un maestro unico, in una era in cui i bambini fanno il loro ingresso alle scuole elementari già alfabetizzati ed in molti casi conoscendo nozioni di informatica e linguistiche.Penso che questi bambini già abbondantemente stimolati anche se spesso fragili emotivamente perchè vittime di saghe familiari e di una società che impone ritmi velocissimi avrebbero bisogno si di una figura di riferimento ma anche di maggiori supporti.Quando io andavo alle elementari si insegnavano solo le materie di base ora questi bambini oltre che di attenzione hanno bisogno di qualcosa in più. Quando finalmente qualcuno porterà nuove idee per valorazzare e dar forza a questi bambini invece di pensare solo a risparmiare soldi?
RispondiEliminaIl grembiulino è ovviamente un problema secondario, ma la valutazione, la necessità di trovare soluzioni all'emarginazione e la differenza fra le attuali generazioni e le precedenti dovrebbero condurre a soluzioni più meditate. La realtà, cari amici, è che questo governo sta attuando per la scuola la cosiddetta "politica reattiva", ossia: s'interroga un istituto di ricerca, si domanda cosa la gente desidera e poi si attua. Così, si fanno tutti contenti e si guadagnano consensi: vorrei ricordare che larga parte degli italiani è favorevole alla pena di morte, se accettiamo questo concetto.
RispondiEliminaQuesta gente, credetemi, sa pochissimo della scuola e dei suoi veri problemi e promuove riforme/spettacolo come attua una politica/spettacolo. Poi, se discutiamo fra noi questi argomenti - come ricordavo a Luca - avremmo bisogno di una sala e di starci magari tutto il giorno. Ma, le persone che frequentano questi blog, sono persone serie.
Cosa dire, quando tutta la frittata è destinata soltanto a portar soldi per coprire i buchi della finanza pubblica? La quale, si guarda bene dal toccare i capitoli di bilancio che la riguardano, fa riforme/spettacolo e tira avanti. Noi, intanto, tiriamo la cinghia.
Sic stantibus rebus...
Ciao a tutti
Carlo Bertani
PS. Fra un paio di settimane partirà Italianova. Lì ci saranno tantissime proposte da discutere: andremo "sul concreto".
Un particolare che forse val la pena di ricordare è che attualmente è stato completamente "congelato" il reclutamento del corpo docente.
RispondiEliminaLe domande di supplenza di terza fascia non si fanno più almeno da due anni, e non so se le graduatorie scadute siano state prorogate.
I bandi per la Ssis quest'anno non sono stati avviati. Per quanto mi riguarda non credo che sia un gran male, perché facevano spendere un sacco di soldi e sfornavano solo precari.
D'altra parte qualcosa dovranno inventarsi, se non altro perché i docenti presto o tardi vanno in pensione, o muoiono.
Faranno nuovamente i concorsi, magari per meno posti? Oppure apriranno anche per la scuola pubblica ai contratti a progetto?
Conoscendo un po' i miei polli, direi più la seconda. Specialmente se, come la ministra Gelmini promette, si perverrà alla trasformazione delle scuole in fondazioni, e all'abolizione del valore legale del titolo di studio.
Ciao
Luca
Caro carlo potresti gentilmente introdurmi qualcosa su questo progetto di Italianova?
RispondiEliminaCredo anch'io la seconda, Luca, perché qualcosa sta trapelando dal disegno di legge che ha presentato Valentina Aprea alla Camera. Roba all'americana, contratti diretti, ecc. Malatempora currunt.
RispondiEliminaNon dire che i docenti "meno giovani" muoiono - Luca - mi fai accapponare la pelle...-))
Italianova sarà on line fra un paio di settimane: ci stiamo lavorando da Febbraio. Chi vuole saperne di più o partecipare al progetto, mi mandi un mail all'indirizzo posta@carlobertani.it
Ciao a tutti
Carlo Bertani
"BUON ANNO A TUTTI... meno che a uno, anzi mezzo"!
RispondiEliminaCome sarà il 2009? Non c’è nessuno - ma per chi ci crede ci sono i soliti oroscopi - che abbia le carte in regola per formulare previsioni attendibili circa il nostro futuro prossimo. Non sappiamo se ci sarà un collasso dell’economia. Non sappiamo se la crisi durerà uno o più anni. Non sappiamo se il prezzo del petrolio salirà o scenderà. Non sappiamo se ci sarà inflazione o deflazione, se l’euro si rafforzerà o si indebolirà. Non sappiamo se gli Usa del nuovo-Presidente saranno diversi da quelli del Presidente-guerrafondaio. Non sappiamo se Istraele e Palestina continueranno a scannarsi per tutta la vita. Non sappiamo nada de nada! La stampa, i politici, i sindacati, tacciono! Stra-parlano soltanto di federalismo, riforma della giustizia, cambiamento della forma dello Stato, grandi temi utopici che vengono quotidianamente gettati ad una stampa famelica di pseudo-notizie, mentre i veri cambiamenti si stanno preparando, silenziosamente, nelle segrete stanze. Comunque, anche se i prossimi anni non ci riservassero scenari drammatici, e la crisi dovesse riassorbirsi nel giro di un paio d’anni, non è detto che l’Italia cambierà davvero sotto la spinta delle tre riforme di cui, peraltro, si fa fino ad oggi solo un gran parlare. Del resto, non ci vuole certo la palla di vetro per intuire che alla fine la riforma presidenzialista non si farà (e se si farà, verrà abrogata dall'ennesimo referendario di turno), mentre per quanto riguarda le altre due riforme - federalismo e giustizia - se si faranno, sarà in modo così... all'italiana che porteranno più svantaggi che vantaggi: dal federalismo è purtroppo lecito aspettarsi solo un aumento della pressione fiscale, perché l’aumento della spesa pubblica appare il solo modo per ottenere il consnenso di tutta "la casta", e poi dalla riforma della giustizia verrà soltanto una "comoda" tutela della privacy al prezzo di un'ulteriore aumento della compra-vendita di politici, amministratori e colletti bianchi. Resta difficile capire, infatti, come la magistratura potrà perseguire i reati contro la pubblica amministrazione se "la casta" la priverà del "fastidioso" strumento delle intercettazioni telefoniche. Così, mentre federalismo, giustizia, presidenzialismo, occuperanno le prime pagine, è probabile che altre riforme e altri problemi, certamente più importanti per la gente comune, incidano assai di più sulla nostra vita. Si pensi alla riforma della scuola e dell’università, a quella degli ammortizzatori sociali, a quella della Pubblica Amministrazione. Si tratta di tre riforme di cui si parla poco, ma che, se andranno in porto, avranno effetti molto più importanti di quelli prodotti dalle riforme cosiddette maggiori. Forse non a caso già oggi istruzione, mercato del lavoro e pubblica amministrazione sono i terreni su cui, sia pure sottobanco, l’opposizione sta collaborando più costruttivamente con il governo. Ma il lato nascosto dei processi politici che ci attendono non si limita alle riforme ingiustamente percepite come minori. Ci sono anche temi oggi sottovalutati ma presumibilmente destinati ad esplodere: il controllo dei flussi migratori, il sovraffollamento delle carceri e l'emergenza salari. Sono problemi di cui si parla relativamente poco non perché siano secondari, ma perché nessuno ha interesse a farlo. Il governo non ha interesse a parlarne perché dovrebbe riconoscere un fallimento: gli sbarchi sono raddoppiati, le carceri stanno scoppiando esattamente come ai tempi dell’indulto e gli stipendi degli italiani sono i più bassi d'europa. L'opposizione non può parlarne perché ormai sa che le sue soluzioni-demagogiche - libertà, tolleranza, integrazione, solidarietà - riscuotono consensi solo nei salotti intellettuali. Eppure è molto probabile che con l’aumento estivo degli sbarchi, le carceri stipate di detenuti, i centri di accoglienza saturi, ed il mondo del lavoro dipendente duramente provato da un caro prezzi che non accenna a deflazionare, il governo si trovi ad affrontare una drammatica emergenza. Intanto, in Italia prosegue la propaganda dell'ottimismo a tutti i costi: stampa, sindacati e politica ci fanno sapere solo ciò che fa più comodo ai loro giochi, e "noi"- a forza di guardare solo dove la politica ci chiede di guardare - rischiamo di farci fottere. Buon Anno!