“Abbiamo imparato a portare le giarrettiere, a scrivere intelligenti articoli progressisti, a fare il caffé e la cioccolata Milka. Ma quando si tratta di affrontare seriamente il problema della convivenza di poche tribù in una fertile penisola dell’Europa, non sappiamo escogitare altro metodo che il reciproco sterminio su scala di massa.”
Lev Trotsky, corrispondente per la Kievskaja Mysl nel Kosovo, durante le guerre balcaniche del 1912-13.
E così siamo giunti all’epilogo: il Kosovo è diventato Kosova. Questi sono i “grandi temi” ai quali si applica la politica internazionale, gli obiettivi, i principi. Da oggi in poi, signori miei, ciascuno di noi potrà proclamare l’indipendenza di ciò che gli pare: non sarà più necessario concordare nulla, né avere l’assenso dell’unica organizzazione che (eventualmente) potrebbe sancirla, ovvero l’ONU. Ah, dimenticavo: procuratevi prima l’assenso del Segretario di Stato USA e della NATO. Quello europeo non serve, basterà – eventualmente – un’autocertificazione convalidata dal vostro segretario comunale (in procinto di diventare, probabilmente, Ministro dell’Interno).
All’occorrenza, potrete scaricare dal Web un fac-simile di quelli “milleusi”, nel quale dovrete sostituire le parole “residente nel comune di Pippolandia, Repubblica Italiana”, con “Repubblica di Pippolandia”. Siete a posto: fatto. Perché, sotto l’aspetto del diritto internazionale, questa è stata l’indipendenza del Kosovo.
Fra i tanti commenti che sono apparsi, nessuno ha citato il fatto che l’UE non è stata in grado di formulare un giudizio e d’avere una posizione univoca: avanti uniti, in ordine sparso. L’Italia – per non venir meno alla tradizionale “decantazione” prima di prendere decisioni importanti (si pensi alle due guerre mondiali…) – attende, per bocca del suo Ministro degli Esteri, che i partner europei “si pronuncino”.
“L'Italia è quindi pronta a riconoscere l'indipendenza del Kosovo, ma intende farlo assieme a Francia, Germania e Gran Bretagna e "senza strappi" con gli altri Paesi dell'UE.” Afferma una non dichiarata “fonte diplomatica” all’ANSA il 17 Febbraio, “perché Cipro, Spagna, Grecia, Bulgaria, Romania e Slovacchia sono fortemente critici sul nuovo status di Pristina.”
Notiamo che, a parte la Spagna – che in politica estera non è proprio il due di coppe – degli stati balcanici aderenti all’UE l’unica a pronunciarsi favorevolmente è stata la Slovenia. Che si trova a mille chilometri da Pristina.
Perché l’ostracismo delle repubbliche balcaniche?
L’ANSA brilla spesso per essere così “neutra” da diventare la semplice cassa di risonanza del Governo al potere, ma stavolta non s’è accorta di contraddirsi platealmente.
Massimo D’Alema definisce “ineluttabile” l’indipendenza del Kosovo – dimenticando che fu proprio lui uno degli artefici di questa “ineluttabilità”, quando inviò i cacciabombardieri italiani AMX a bombardare la Serbia – e incassa la solidarietà di Fini, il quale dichiara:
“In una politica che divide, su questa questione quello che ha fatto D'Alema è sostanzialmente anche da me condiviso. Proprio perché D'Alema si è mosso sulla scia di una precedente posizione assunta dal governo di centrodestra."
E, questo, la dice lunga sulle grandi “novità” dell’orizzonte politico italiano.
Purtroppo per lor signori, c’è una voce fuori del coro ed è quella del generale Fabio Mini, che comandò la forza NATO in Kosovo nel 2002 e nel 2003, il quale esprime ben altro giudizio.
Attenzione: qui non parla uno dei tanti sproloquiatori a vanvera del teatrino politico italiano, qui parla una persona che ben conosce la situazione.
Al Corriere della Sera, il generale Mini dichiara (e riporta l’ANSA):
“Il Kosovo indipendente serve solo ai clan che lo potranno utilizzare per le loro spregiudicate operazioni finanziarie, un "porto franco" che consentirà di farne la base di nuove banche per il denaro dell'Est perché "Montecarlo, Cipro, Madeira non sono più affidabili.”
In sostanza, mentre Montecarlo, Cipro, Madeira ed altre realtà sono espressamente dedicate al traffico internazionale occulto d’alto bordo, serve un luogo dove far crescere e prosperare la “piccola e media impresa” criminale, un posto dove anche chi può permettersi poco – magari solo la vendita di qualche carico d’armi in Africa, o un po’ di eroina dal nuovo Afghanistan “purificato” da USA e UE dai Talebani (che avevano fortemente represso la coltivazione dell’oppio) – potrà trovare banche accoglienti, finanziamenti discreti, amene località a basso costo per “fare impresa”.
Per preparare un simile “terreno di coltura”, però, è necessario tanto duro lavoro e gente volenterosa: si sa, fare l’imprenditore è un mestiere rischioso.
Per prima cosa era necessario togliere di mezzo i serbi – che hanno le loro responsabilità in quei luoghi, come tutti ne hanno nei Balcani – ed a questo pensarono le 19 aviazioni riunite del IV Reich, nel 1999.
Poi, c’erano dei fastidiosi strascichi da regolare…piccoli particolari, inezie…
Una era la presenza dei ROM, che vivevano – stanziali – da secoli in quelle terre. Quelli che lamentano la presenza dei ROM in Europa – penosa e criminale l’affermazione di Berlusconi, che ha promesso “tolleranza zero” per i ROM, soprattutto se riflettiamo che l’uomo si candida a governare uno dei più importanti stati del pianeta – dovrebbero conoscere un po’ meglio la storia di quel popolo, prima d’abbandonarsi alla voce delle viscere.
Per prima cosa, i ROM dovrebbero godere della stessa attenzione ampiamente riconosciuta agli ebrei per la Shoà: purtroppo, i ROM non hanno banche che finanziano Yad Yashem per fare ricerche sull’Olocausto. Così, a Tel Aviv, si è pensato che era meglio fare di tutta l’erba un fascio: chi è morto nella Shoà? Gli ebrei.
Non sappiamo quanti ROM finirono “su per il camino”, ma tanti sopravvissuti (di molte etnie e nazioni) raccontano quella che fu la loro triste odissea: razziati dagli italo-tedeschi (sì, anche dagli italiani, più i fascisti croati) finirono nei vagoni piombati per la Germania, magari dopo una “sosta” alla Risiera di Trieste.
E’ difficile fornire cifre attendibili al riguardo, poiché anche l’ultimo censimento statale jugoslavo ne contava approssimativamente 2 milioni, definendoli “jugoslavi”, perché non si sapeva quale nazionalità (serbi, croati, ecc.) attribuire loro.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, nessuno si prese la briga di risarcire in nessun modo un popolo che aveva subito la brutalità nazista al pari degli ebrei. I soliti due pesi e due misure.
Finirono per essere un “problema interno” jugoslavo, e moltissimi ROM divennero stanziali proprio in Kosovo, principalmente a Pristina, Kosovo Polje, Tavnik, Podujevo, Djakova…
Per raccontare la storia dei ROM in quella terribile estate del 1999 – quando, terminate le ostilità, in Italia si discuteva delle elezioni europee, oppure s’andava semplicemente al mare – è importantissimo un documento pubblicato sul Web da Roberto Giammanco e da Theo Fründt, dal titolo “Storia di Reska”, che troverete all’indirizzo http:www.kelebekler.com .
Roberto Giammanco è fine giornalista, uno dei tanti che scrivono benissimo (ve ne accorgerete da soli, se leggerete quelle pagine) e che non trovano – ovviamente – “grande accoglienza” nell’editoria di regime.
Ancora più sconvolgente la vicenda di Theo Fründt, che è un esperto d’aiuti umanitari ed era stato inviato dal suo governo per soccorrere i profughi albanesi.
Quando Fründt s’accorse che i più perseguitati erano invece i ROM, ne informò Berlino, la quale rispose che “il loro dramma non era politicamente interessante”.
Solo per ricordare brevemente il dramma dei ROM, bisogna sapere che – all’arrivo dei guerriglieri dell’UCK a Kosovska Mitrovica, a Graçanica, etc. – i comandanti albanesi avevano già le cartine delle città, dove erano indicate con precisione le varie etnie, casa per casa.
Semplicemente, diedero poche ore di tempo alla popolazione ROM per lasciare le case, altrimenti li avrebbero bruciati insieme ad esse. Sorte che toccò, a Mitrovica, ad Aziz Azemi – vecchio e zoppo imam della tekké (santuario) locale – che bruciò vivo nell’incendio delle 1.600 case non albanesi della città. Questa fu la pulizia etnica che avvenne in quella malsana estate, mentre D’Alema guidava il governo italiano e si scoprivano i mille rivoli di corruzione e di malaffare, compresi i traffici con la malavita albanese, che avevano intriso di veleno la “Missione Arcobaleno”.
Questa premessa era necessaria per comprendere le affermazioni del gen. Mini che, altrimenti, potrebbero essere travisate come uno sfogo personale per chissà quali motivi. Che sono, invece, ben fondate storicamente.
Per ottenere quella base per traffici d’ogni tipo, la vecchia dirigenza albanese di Ibrahim Rugova era troppo inaffidabile: era gente che desiderava sì l’indipendenza del Kosovo, ma in un quadro di condivisione con i serbi.
Ecco allora che sale al cielo la “stella” di Hashim Thaci, il comandante militare che diventa referente politico per gli USA e per alcuni paesi dell’UE (Italia compresa).
A dire il vero, si trattò di un’ascesa prevedibile e scontata, giacché lo stesso Thaci era stato il referente presso i clan albanesi di William Burns – inviato di Clinton in Albania per rassicurare i clan skipetari, per assicurare loro l’invio di armi e denaro, cosa che avvenne anche grazie all’invio diretto dall’Italia (in un carico della Caritas che, probabilmente, era all’oscuro di tutto, furono scoperti cannoni anticarro smontati) – e tanto lavoro “diplomatico” è stato oggi premiato.
Ascoltiamo cosa racconta il gen. Mini sulla nuova “dirigenza” albanese del “Kosova”:
“E’ il mandante di almeno 28 assassinati del partito di Rugova. Uno che, come molti capi dell'UCK, non ha mai spiegato la fine di un migliaio di rom, serbi e albanesi accusati di collaborazionismo, desaparecidos negli anni del primo dopoguerra".
Mini non cita apertamente Thaci (almeno, così parrebbe all’ANSA), ma un “presidente” è responsabile comunque dell’operato dei suoi Gauleiter.
La contrarietà di Mini è a tutto campo:
“Questi processi non si risolvono in pochi anni, e non si affidano a chi ha partecipato allo sfascio. Ci si rende conto che all'Aja non testimonierà più nessuno contro gente che comanda uno Stato?”
Certo, questa è la precisa volontà italo-britannica-franco-tedesco-statunitense, ovvero i soliti due pesi e due misure: Karadzic e Mladic devono essere processati all’Aja, Thaci, diventa invece presidente.
Il gen. Mini mostra poi ampie doti di giurista e diplomatico:
“Questa proclamazione fa saltare il diritto internazionale fondato sulla sovranità degli Stati. Uno scempio voluto dagli USA, che in questo diritto non credono e l'hanno dimostrato in Iraq. Sotto quest'aspetto, il Kosovo è l'altra faccia dell'Iraq.”
Riflettiamo che queste dichiarazioni non giungono da un Hugo Chavez oppure dall’Iran: sono l’espressione di un generale del nostro Esercito – finalmente qualcuno che ne ravviva l’onore con il coraggio, non solo con la triste conta dei morti – di una alto ufficiale italiano che ha comandato la forza NATO per due anni in Kosovo!
Pronto? Berlusconi, Fini, Veltroni, D’Alema, Casini, Diliberto? Come? Non vedo non sento e non parlo?
Ecco la contrarietà degli stati balcanici: signori, perché venite ad aprire il supermercato del crimine internazionale proprio sulla nostra porta di casa?
Fa parte del gioco, adesso, affermare che Serbia e Russia s’opporranno drasticamente. Sarà molto difficile farlo, perché non esiste nessun documento sul quale votare all’ONU! L’indipendenza del Kosovo sarà sancita da una semplice presa d’atto, proprio come un’autocertificazione.
Suggerirei ai sardi, corsi, nord-irlandesi, baschi, altoatesini, bretoni…ed a tutti coloro che voglio rendersi indipendenti, di firmare finalmente la benedetta autocertificazione – come ha fatto Pristina – e risolvere così i loro problemi.
Fuori della satira, i veri rischi che si corrono nei Balcani non sono oggi in Kosovo, bensì in Bosnia. Chi conosce la Jugoslavia, so già che assentirà, pensoso.
Di tutte le repubbliche ex-jugoslave, l’unica che non ha mai superato lo choc della guerra è la Bosnia. Rimangono sì altri problemi, strascichi…basti pensare che la Croazia, tuttora, rivendica l’aeroporto di Portroz (Portorose), che è in territorio sloveno, al confine.
Niente, però, che s’avvicini alla tragica inconsistenza politica bosniaca: il Ministero degli Esteri italiano – in una scala da 1 a 7 – assegna alla Bosnia un “7” per quanto riguarda l’affidabilità degli investimenti stranieri. Una nazione nella quale la moneta è rimasta il marco, “Marka convertible”, come al tempo della guerra.
E’ “convertible” perché la puoi convertire sul posto con quel che cazzo ti pare: corone croate, dinari di Belgrado, euro, dollari, una stecca di sigarette, una tanica di benzina.
La Bosnia è la vera polveriera della Jugoslavia, perché dalla separazione dall’Impero Ottomano – nel 1878, poi divenuta formale nel 1908 – non ha mai trovato equilibrio.
Grande “ventre” della Jugoslavia (basta osservare una cartina per rendersene conto) sopravvive politicamente con presidenze “a rotazione”: un ortodosso, un cristiano, un musulmano.
Viaggiando per la Bosnia musulmana, ci si rende conto che il tempo si è fermato con la fine della guerra, forse ancora prima, con la morte di Tito.
Nessuno sa come risolvere l’enigma, perché sullo stesso territorio convivono due repubbliche serbe (al nord ed al sud), mentre su una parte dell’Erzegovina ci sono tuttora rivendicazioni croate.
Niente di più facile, da parte di chi vorrà approfittare dell’indipendenza “on demand” del Kosovo, per accendere nuove micce: magari sacrosante, oppure truffaldine, in una terra dove il tanto vituperato l’Illuminismo non ha mai attecchito, dove ci si riconosce principalmente su base religiosa ed etnica.
Qualcosa Tito aveva cercato di fare per superare le mille divisioni interne: fu forse troppo poco? Sarebbe lungo affrontare un simile argomento, e ci vorrebbero ben altri spazi (e la pazienza dei lettori).
Tentai, però, nel 2000, di raccontare davvero cos’era successo fra le montagne del Kosovo, d’andare oltre le mille bugie raccontate mostrando sempre e soltanto il posto di frontiera di Morini. Ne nacque un libro, che intitolai “Kosovo e dintorni: la verità addomesticata”, che presentai a numerose case editrici. In quelle pagine, c’erano già i prodromi per raccontare l’oggi, questo oggi da operetta tragicomica.
Nessuno volle pubblicarlo: un altro punto d’onore per l’editoria italiana. Avanti coi carri, ed ogni carro ci porterà sempre la solita carrata di bugie.
Lev Trotsky, corrispondente per la Kievskaja Mysl nel Kosovo, durante le guerre balcaniche del 1912-13.
E così siamo giunti all’epilogo: il Kosovo è diventato Kosova. Questi sono i “grandi temi” ai quali si applica la politica internazionale, gli obiettivi, i principi. Da oggi in poi, signori miei, ciascuno di noi potrà proclamare l’indipendenza di ciò che gli pare: non sarà più necessario concordare nulla, né avere l’assenso dell’unica organizzazione che (eventualmente) potrebbe sancirla, ovvero l’ONU. Ah, dimenticavo: procuratevi prima l’assenso del Segretario di Stato USA e della NATO. Quello europeo non serve, basterà – eventualmente – un’autocertificazione convalidata dal vostro segretario comunale (in procinto di diventare, probabilmente, Ministro dell’Interno).
All’occorrenza, potrete scaricare dal Web un fac-simile di quelli “milleusi”, nel quale dovrete sostituire le parole “residente nel comune di Pippolandia, Repubblica Italiana”, con “Repubblica di Pippolandia”. Siete a posto: fatto. Perché, sotto l’aspetto del diritto internazionale, questa è stata l’indipendenza del Kosovo.
Fra i tanti commenti che sono apparsi, nessuno ha citato il fatto che l’UE non è stata in grado di formulare un giudizio e d’avere una posizione univoca: avanti uniti, in ordine sparso. L’Italia – per non venir meno alla tradizionale “decantazione” prima di prendere decisioni importanti (si pensi alle due guerre mondiali…) – attende, per bocca del suo Ministro degli Esteri, che i partner europei “si pronuncino”.
“L'Italia è quindi pronta a riconoscere l'indipendenza del Kosovo, ma intende farlo assieme a Francia, Germania e Gran Bretagna e "senza strappi" con gli altri Paesi dell'UE.” Afferma una non dichiarata “fonte diplomatica” all’ANSA il 17 Febbraio, “perché Cipro, Spagna, Grecia, Bulgaria, Romania e Slovacchia sono fortemente critici sul nuovo status di Pristina.”
Notiamo che, a parte la Spagna – che in politica estera non è proprio il due di coppe – degli stati balcanici aderenti all’UE l’unica a pronunciarsi favorevolmente è stata la Slovenia. Che si trova a mille chilometri da Pristina.
Perché l’ostracismo delle repubbliche balcaniche?
L’ANSA brilla spesso per essere così “neutra” da diventare la semplice cassa di risonanza del Governo al potere, ma stavolta non s’è accorta di contraddirsi platealmente.
Massimo D’Alema definisce “ineluttabile” l’indipendenza del Kosovo – dimenticando che fu proprio lui uno degli artefici di questa “ineluttabilità”, quando inviò i cacciabombardieri italiani AMX a bombardare la Serbia – e incassa la solidarietà di Fini, il quale dichiara:
“In una politica che divide, su questa questione quello che ha fatto D'Alema è sostanzialmente anche da me condiviso. Proprio perché D'Alema si è mosso sulla scia di una precedente posizione assunta dal governo di centrodestra."
E, questo, la dice lunga sulle grandi “novità” dell’orizzonte politico italiano.
Purtroppo per lor signori, c’è una voce fuori del coro ed è quella del generale Fabio Mini, che comandò la forza NATO in Kosovo nel 2002 e nel 2003, il quale esprime ben altro giudizio.
Attenzione: qui non parla uno dei tanti sproloquiatori a vanvera del teatrino politico italiano, qui parla una persona che ben conosce la situazione.
Al Corriere della Sera, il generale Mini dichiara (e riporta l’ANSA):
“Il Kosovo indipendente serve solo ai clan che lo potranno utilizzare per le loro spregiudicate operazioni finanziarie, un "porto franco" che consentirà di farne la base di nuove banche per il denaro dell'Est perché "Montecarlo, Cipro, Madeira non sono più affidabili.”
In sostanza, mentre Montecarlo, Cipro, Madeira ed altre realtà sono espressamente dedicate al traffico internazionale occulto d’alto bordo, serve un luogo dove far crescere e prosperare la “piccola e media impresa” criminale, un posto dove anche chi può permettersi poco – magari solo la vendita di qualche carico d’armi in Africa, o un po’ di eroina dal nuovo Afghanistan “purificato” da USA e UE dai Talebani (che avevano fortemente represso la coltivazione dell’oppio) – potrà trovare banche accoglienti, finanziamenti discreti, amene località a basso costo per “fare impresa”.
Per preparare un simile “terreno di coltura”, però, è necessario tanto duro lavoro e gente volenterosa: si sa, fare l’imprenditore è un mestiere rischioso.
Per prima cosa era necessario togliere di mezzo i serbi – che hanno le loro responsabilità in quei luoghi, come tutti ne hanno nei Balcani – ed a questo pensarono le 19 aviazioni riunite del IV Reich, nel 1999.
Poi, c’erano dei fastidiosi strascichi da regolare…piccoli particolari, inezie…
Una era la presenza dei ROM, che vivevano – stanziali – da secoli in quelle terre. Quelli che lamentano la presenza dei ROM in Europa – penosa e criminale l’affermazione di Berlusconi, che ha promesso “tolleranza zero” per i ROM, soprattutto se riflettiamo che l’uomo si candida a governare uno dei più importanti stati del pianeta – dovrebbero conoscere un po’ meglio la storia di quel popolo, prima d’abbandonarsi alla voce delle viscere.
Per prima cosa, i ROM dovrebbero godere della stessa attenzione ampiamente riconosciuta agli ebrei per la Shoà: purtroppo, i ROM non hanno banche che finanziano Yad Yashem per fare ricerche sull’Olocausto. Così, a Tel Aviv, si è pensato che era meglio fare di tutta l’erba un fascio: chi è morto nella Shoà? Gli ebrei.
Non sappiamo quanti ROM finirono “su per il camino”, ma tanti sopravvissuti (di molte etnie e nazioni) raccontano quella che fu la loro triste odissea: razziati dagli italo-tedeschi (sì, anche dagli italiani, più i fascisti croati) finirono nei vagoni piombati per la Germania, magari dopo una “sosta” alla Risiera di Trieste.
E’ difficile fornire cifre attendibili al riguardo, poiché anche l’ultimo censimento statale jugoslavo ne contava approssimativamente 2 milioni, definendoli “jugoslavi”, perché non si sapeva quale nazionalità (serbi, croati, ecc.) attribuire loro.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, nessuno si prese la briga di risarcire in nessun modo un popolo che aveva subito la brutalità nazista al pari degli ebrei. I soliti due pesi e due misure.
Finirono per essere un “problema interno” jugoslavo, e moltissimi ROM divennero stanziali proprio in Kosovo, principalmente a Pristina, Kosovo Polje, Tavnik, Podujevo, Djakova…
Per raccontare la storia dei ROM in quella terribile estate del 1999 – quando, terminate le ostilità, in Italia si discuteva delle elezioni europee, oppure s’andava semplicemente al mare – è importantissimo un documento pubblicato sul Web da Roberto Giammanco e da Theo Fründt, dal titolo “Storia di Reska”, che troverete all’indirizzo http:www.kelebekler.com .
Roberto Giammanco è fine giornalista, uno dei tanti che scrivono benissimo (ve ne accorgerete da soli, se leggerete quelle pagine) e che non trovano – ovviamente – “grande accoglienza” nell’editoria di regime.
Ancora più sconvolgente la vicenda di Theo Fründt, che è un esperto d’aiuti umanitari ed era stato inviato dal suo governo per soccorrere i profughi albanesi.
Quando Fründt s’accorse che i più perseguitati erano invece i ROM, ne informò Berlino, la quale rispose che “il loro dramma non era politicamente interessante”.
Solo per ricordare brevemente il dramma dei ROM, bisogna sapere che – all’arrivo dei guerriglieri dell’UCK a Kosovska Mitrovica, a Graçanica, etc. – i comandanti albanesi avevano già le cartine delle città, dove erano indicate con precisione le varie etnie, casa per casa.
Semplicemente, diedero poche ore di tempo alla popolazione ROM per lasciare le case, altrimenti li avrebbero bruciati insieme ad esse. Sorte che toccò, a Mitrovica, ad Aziz Azemi – vecchio e zoppo imam della tekké (santuario) locale – che bruciò vivo nell’incendio delle 1.600 case non albanesi della città. Questa fu la pulizia etnica che avvenne in quella malsana estate, mentre D’Alema guidava il governo italiano e si scoprivano i mille rivoli di corruzione e di malaffare, compresi i traffici con la malavita albanese, che avevano intriso di veleno la “Missione Arcobaleno”.
Questa premessa era necessaria per comprendere le affermazioni del gen. Mini che, altrimenti, potrebbero essere travisate come uno sfogo personale per chissà quali motivi. Che sono, invece, ben fondate storicamente.
Per ottenere quella base per traffici d’ogni tipo, la vecchia dirigenza albanese di Ibrahim Rugova era troppo inaffidabile: era gente che desiderava sì l’indipendenza del Kosovo, ma in un quadro di condivisione con i serbi.
Ecco allora che sale al cielo la “stella” di Hashim Thaci, il comandante militare che diventa referente politico per gli USA e per alcuni paesi dell’UE (Italia compresa).
A dire il vero, si trattò di un’ascesa prevedibile e scontata, giacché lo stesso Thaci era stato il referente presso i clan albanesi di William Burns – inviato di Clinton in Albania per rassicurare i clan skipetari, per assicurare loro l’invio di armi e denaro, cosa che avvenne anche grazie all’invio diretto dall’Italia (in un carico della Caritas che, probabilmente, era all’oscuro di tutto, furono scoperti cannoni anticarro smontati) – e tanto lavoro “diplomatico” è stato oggi premiato.
Ascoltiamo cosa racconta il gen. Mini sulla nuova “dirigenza” albanese del “Kosova”:
“E’ il mandante di almeno 28 assassinati del partito di Rugova. Uno che, come molti capi dell'UCK, non ha mai spiegato la fine di un migliaio di rom, serbi e albanesi accusati di collaborazionismo, desaparecidos negli anni del primo dopoguerra".
Mini non cita apertamente Thaci (almeno, così parrebbe all’ANSA), ma un “presidente” è responsabile comunque dell’operato dei suoi Gauleiter.
La contrarietà di Mini è a tutto campo:
“Questi processi non si risolvono in pochi anni, e non si affidano a chi ha partecipato allo sfascio. Ci si rende conto che all'Aja non testimonierà più nessuno contro gente che comanda uno Stato?”
Certo, questa è la precisa volontà italo-britannica-franco-tedesco-statunitense, ovvero i soliti due pesi e due misure: Karadzic e Mladic devono essere processati all’Aja, Thaci, diventa invece presidente.
Il gen. Mini mostra poi ampie doti di giurista e diplomatico:
“Questa proclamazione fa saltare il diritto internazionale fondato sulla sovranità degli Stati. Uno scempio voluto dagli USA, che in questo diritto non credono e l'hanno dimostrato in Iraq. Sotto quest'aspetto, il Kosovo è l'altra faccia dell'Iraq.”
Riflettiamo che queste dichiarazioni non giungono da un Hugo Chavez oppure dall’Iran: sono l’espressione di un generale del nostro Esercito – finalmente qualcuno che ne ravviva l’onore con il coraggio, non solo con la triste conta dei morti – di una alto ufficiale italiano che ha comandato la forza NATO per due anni in Kosovo!
Pronto? Berlusconi, Fini, Veltroni, D’Alema, Casini, Diliberto? Come? Non vedo non sento e non parlo?
Ecco la contrarietà degli stati balcanici: signori, perché venite ad aprire il supermercato del crimine internazionale proprio sulla nostra porta di casa?
Fa parte del gioco, adesso, affermare che Serbia e Russia s’opporranno drasticamente. Sarà molto difficile farlo, perché non esiste nessun documento sul quale votare all’ONU! L’indipendenza del Kosovo sarà sancita da una semplice presa d’atto, proprio come un’autocertificazione.
Suggerirei ai sardi, corsi, nord-irlandesi, baschi, altoatesini, bretoni…ed a tutti coloro che voglio rendersi indipendenti, di firmare finalmente la benedetta autocertificazione – come ha fatto Pristina – e risolvere così i loro problemi.
Fuori della satira, i veri rischi che si corrono nei Balcani non sono oggi in Kosovo, bensì in Bosnia. Chi conosce la Jugoslavia, so già che assentirà, pensoso.
Di tutte le repubbliche ex-jugoslave, l’unica che non ha mai superato lo choc della guerra è la Bosnia. Rimangono sì altri problemi, strascichi…basti pensare che la Croazia, tuttora, rivendica l’aeroporto di Portroz (Portorose), che è in territorio sloveno, al confine.
Niente, però, che s’avvicini alla tragica inconsistenza politica bosniaca: il Ministero degli Esteri italiano – in una scala da 1 a 7 – assegna alla Bosnia un “7” per quanto riguarda l’affidabilità degli investimenti stranieri. Una nazione nella quale la moneta è rimasta il marco, “Marka convertible”, come al tempo della guerra.
E’ “convertible” perché la puoi convertire sul posto con quel che cazzo ti pare: corone croate, dinari di Belgrado, euro, dollari, una stecca di sigarette, una tanica di benzina.
La Bosnia è la vera polveriera della Jugoslavia, perché dalla separazione dall’Impero Ottomano – nel 1878, poi divenuta formale nel 1908 – non ha mai trovato equilibrio.
Grande “ventre” della Jugoslavia (basta osservare una cartina per rendersene conto) sopravvive politicamente con presidenze “a rotazione”: un ortodosso, un cristiano, un musulmano.
Viaggiando per la Bosnia musulmana, ci si rende conto che il tempo si è fermato con la fine della guerra, forse ancora prima, con la morte di Tito.
Nessuno sa come risolvere l’enigma, perché sullo stesso territorio convivono due repubbliche serbe (al nord ed al sud), mentre su una parte dell’Erzegovina ci sono tuttora rivendicazioni croate.
Niente di più facile, da parte di chi vorrà approfittare dell’indipendenza “on demand” del Kosovo, per accendere nuove micce: magari sacrosante, oppure truffaldine, in una terra dove il tanto vituperato l’Illuminismo non ha mai attecchito, dove ci si riconosce principalmente su base religiosa ed etnica.
Qualcosa Tito aveva cercato di fare per superare le mille divisioni interne: fu forse troppo poco? Sarebbe lungo affrontare un simile argomento, e ci vorrebbero ben altri spazi (e la pazienza dei lettori).
Tentai, però, nel 2000, di raccontare davvero cos’era successo fra le montagne del Kosovo, d’andare oltre le mille bugie raccontate mostrando sempre e soltanto il posto di frontiera di Morini. Ne nacque un libro, che intitolai “Kosovo e dintorni: la verità addomesticata”, che presentai a numerose case editrici. In quelle pagine, c’erano già i prodromi per raccontare l’oggi, questo oggi da operetta tragicomica.
Nessuno volle pubblicarlo: un altro punto d’onore per l’editoria italiana. Avanti coi carri, ed ogni carro ci porterà sempre la solita carrata di bugie.
Quello che mi sembra più preoccupante è il fatto che nel paese manchino voci dissenzienti ufficiali di qualche “peso” (inteso nel senso di risonanza e non di autorevolezza). Solo in internet si può ancora leggere qualche nota stonata, almeno fino a quando tali voci si limiteranno ad essere poche e a non disturbare quindi il manovratore. In altri paesi, se anche i governi sono proni al sistema dominante, il dissenso esiste con un peso certamente alquanto maggiore del nostro.
RispondiEliminaPrendendo spunto dalla mancata pubblicazione del Suo libro sul Kosovo, una semplice ricerca in internet mostra la scarsità di pubblicazioni italiane “contro” (fa bella mostra di se un libro del 1999 di D’Alema sull’argomento!), al contrario di quanto avviene fuori confine. Così come mancano voci critiche sul revisionismo italiano che sta sproloquiando a tutti i livelli (probabilmente con qualche interesse concreto, così come concreti furono probabilmente gli interessi che ci mossero ai “bombardamenti umanitari” nella ex Jugoslavia) sulla questione – esecrabile, tristissima e dolorosa – delle foibe, dimenticando tout court le atrocità italiane commesse negli anni immediatamente precedenti dagli italiani nei territori della ex Jugoslavia.
Non è un caso che in Italia Fascist Legacy, il documentario di Ken Kirby prodotto dalla BBC sulle atrocità fasciste nelle colonie italiane, sia uscito solo in canali “semiclandestini" e che pertanto al Paese sia rimasto oscuro lo “scarso” milione di morti provocato dalle occupazioni coloniali fasciste – per inciso tale numero, a fronte dei milioni di morti dei campi di sterminio nazisti, è stato imputato dallo studioso Michael Palumbo (consulente storico del documentario), soltanto alla nota italica inefficienza.
E non è un caso che sia finito in clandestinità il film “Il Leone del deserto” (con un cast internazionale di altissimo livello), contro il quale vi fu addirittura un procedimento per "vilipendio delle Forze Armate”: e pensare che in Germania è dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale che si analizzano le cause che portarono al nazismo, per evitare il ripetersi di certi orrori, mentre da noi il fascismo, fenomeno per lunghi anni condiviso da pressoché l’Italia intera, è stato liquidato come un fenomeno di poche mele marce, perché gli Italiani sono in realtà “brava gente”.
Con queste premesse, analisi storiche oneste possono trovare spazio solo in (pochi) siti come il Suo - che esista un militare intellettualmente onesto come il generale Fabio Mini ho potuto apprenderlo grazie a questo post (comprerò subito il suo libro), e non penso che lo stesso abbia potuto esprimere il proprio pensiero a “Porta a porta” o “Matri(x)llarò” varie - per cui mi auguro di poter continuare a leggerLa. Con stima
E' un "buco nero" dei Balcani che non ha un'industria, non ha praticamente un'agricoltura, vive di traffici d'armi e di droga e di lenocinio... e gli USA gli dànno la sovranità nazionale. Boh...
RispondiEliminaA ogni modo, dovrebbe essere un monito su quel che hai scritto di recente sui rischi a cui va incontro anche l'integrità nazionale italiana. Se quell'integrità è minacciata, dalle plausibili ragioni che tu hai indicato a tempo e luogo, un bel giorno anche noi rischiamo la medesima sorte (speriamo senza bombe e senza sangue sparso, ma chi può garantirlo?).
Come nell'ex Jugoslavia, le regioni del Nord agganciate all'Europa ricca, e quelle del Sud a vivere (si fa per dire...) di traffici di droga e di armi, di lenocinio e di sversamento di monnezza.
Certo, adesso sembra un quadro ridicolo, ma anche nel 1980 se ai bosniaci gli avessi detto che sarebbero stati ridotti come sono oggi si sarebbero messi a ridere.
Luca
Per valerio:
RispondiEliminaSo che non fa piacere leggere 'questo è per addetti ai lavori'. La Storia (quella vera) è una cosa che ti devi cercare da te. A me piace leggere libri di storia la sera come fosse un romanzo; inoltre riesco a capire le varie 'cause e conseguenze' di determinati fatti e questo mi stimola molto a saperne di più. Non sono un professore di storia, sono solo un 'maestrino' di scuola dell'infanzia con l'hobby della Storia. Forse a differenza tua, da quel che scrivi, ho avuto l'immensa fortuna di avere (soprattutto all'università) dei Professori di Storia da leccarsi i baffi. Ma questo non vuol dire essere per forza interessato a questo tipo di Scienza. Anzi, avevo di quelle Capre in aula...!
René.
P.S. Ricorda che l'ignoraza è una costante dell'Umanità.
You have a most interesting blog.
RispondiEliminaStay on groovin' safari,
Tor
Molto interessante in riferimento al documentario fascist Legacy ed al fil Il Leone del Deserto. Io li ho entrambi: il primo, purtroppo, necessiterebbe di una "pulizia" fonica perché s'accavallano tre traduzioni.
RispondiEliminaImmorale che un film come il Leone del Deserto non sia stato doppiato.
L'aspetto curioso ed inquietante, è che abbiamo doppiato tutti i film autocritici tedeschi (la Rosa Bianca, Amen, ecc) ma niente per comprendere le tragedie causate dagli italiani!
Se vogliamo metterci in pace l'animo, ricordiamo Sciascia: "Questo è un Paese senza memoria e senza verità". Che si può ancora dire?
Speriamo, con il tempo, di riuscire a mettere insieme alcuni ottimi scrittori per avere un sito espressamente dedicato all'analisi politica e storica. Ci sto lavorando: spero di riuscirci.
Per quanto riguarda l'espressione "gli addetti ai lavori", non voleva essere in nessun modo offensiva nei confronti di chicchesia.
Era solo per dire che non sono molte le persone le quali conoscono i "retroscena" diplomatici di Pearl Harbour, così come questioni complesse come la NEP, o altro ancora.
Era una semplice presa di coscienza della realtà: non è assolutamente necessario conoscere queste cose per "sentirsi vivi": come ricordava Amleto: "Ci sono più cose fra cielo e terra - Orazio - che in quel che racconta la tua filosofia".
Ciascuno, quindi, è libero di spaziare su diversi orizzonti: quando, però, un orizzonte è "poco battuto", non è una bestemmia affermare che si tratta di cose per pochi.
Constatazione, e basta.
per il futuro del Kosovo, non immagino sfracelli, ma le ripercussioni in Bosnia sono un rischio concreto: ho viaggiato in Bosnia nel 2006, e mi sono reso conto - per ricordare De André - che là è "soltanto un discorso sospeso".
Una miccia come quella del Kosovo, non può non generare frutti, soprattutto perché la Russia non può fare nulla in Kosovo, ma può - se lo desidera - incendiare la Bosnia.
Staremo a vedere.
Un caro saluto a tutti
Carlo Bertani
ciao carlo,ti leggo da un po'.ti mando questo scritto cosa ne pensi.
RispondiEliminaUn appello per la svolta
Questo appello per le prossime elezioni vuole essere soltanto una indicazione per tentare una svolta.
Facciamo un'ipotesi che ci si rechi alle urne lasciando la scheda in bianco,come segno di protesta.
Cosa succederebbe se tanti cittadini manifestassero in questo modo il loro disagio e disapprovazione verso queste classi dirigenti che si alternano ad ogni elezione dimostrando soltanto incapacita' di mettersi a disposizione del popolo.Ipotizziamo che questi cittadini siano una percentuale molto significativa a tal punto che le elezioni verrebbero considerate non valide.Ipotizziamo che a questo punto si formi un'Assemblea Costituente formata da cittadini onesti e senza scopi personali che si impegnino per un periodo di tempo per capire e gettare le basi per farci uscire da questo modo si 'essere' in cui siamo piombati.
ciao carlo,e' da un po' che ti leggo.cosa ne pensi di questo scritto.
RispondiEliminaUn appello per la svolta
Questo appello per le prossime elezioni vuole essere soltanto una indicazione per tentare una svolta.
Facciamo un'ipotesi che ci si rechi alle urne lasciando la scheda in bianco,come segno di protesta.
Cosa succederebbe se tanti cittadini manifestassero in questo modo il loro disagio e disapprovazione verso queste classi dirigenti che si alternano ad ogni elezione dimostrando soltanto incapacita' di mettersi a disposizione del popolo.Ipotizziamo che questi cittadini siano una percentuale molto significativa a tal punto che le elezioni verrebbero considerate non valide.Ipotizziamo che a questo punto si formi un'Assemblea Costituente formata da cittadini onesti e senza scopi personali che si impegnino per un periodo di tempo per capire e gettare le basi per farci uscire da questo modo si 'essere' in cui siamo piombati.
forse non e' arrivato un'altro post....comunque volevo dire che purtroppo questi movimenti internazionali nei balcani sono collegati in questi giorni alla diatriba greca sul nome che vogliono imporre a Skopye-FYROM,come macedonia che non ha nulla a che vedere con la vera Macedonia greca.
RispondiEliminaInoltre e' deludente vedere che il ns governo,addirittura dimissionario, tramite D'alema dice si a tutte le volonta' oltre atlalantico,e per ultimo non dimentichiamo,che in questo pacchetto giornaliero,ci sono oggi le elezioni presidenziali a Cipro,che gia'nel primo giro hanno sganciato l'attuale pres.Papadopoulos poco filo americano.
Vorrei fare qui una errata corrige, perché devo delle scuse a Miguel Martinez. La "Storia di Reska" è sua, e Giammanco e Frundt ne hanno solo curato la revisione.
RispondiEliminaPurtroppo, questi errori capitano per la fretta: mica ho il tempo degli apparatcik di regime, che fanno un copia/incolla ogni tanto ed acchiappano soldi a palate.
La mia realtà, come presumo la vostra, è quella di chi deve anche svolgere un altro lavoro per campare.
Anzi, scappo perché devo correggere una ventina di verifiche.
Ciao a tutti
Carlo Bertani
Ciao,
RispondiEliminaSiamo qui ancora una volta per acquistare il rene per i nostri pazienti e hanno accettato di pagare una buona somma di denaro a tutti coloro che vogliono donare un rene per risparmarli e quindi Se sei interessato ad essere un donatore o se vuoi salvare una vita, ti preghiamo di contattarci via e-mail qui sotto.
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