Qualcuno afferma che non si dovrebbe scrivere nei giorni delle feste comandate, tanto meno a Natale, ma è pomeriggio, ho pranzato abbondantemente ed ho un bel peso sullo stomaco. Il cibo ingurgitato? No, ho ancora “sullo stomaco” l’articolo che il Times ha dedicato all’Italia pochi giorno or sono. A dire il vero, non ho sullo stomaco l’articolo in sé, ma la risposta che lei ha dato – presidente Prodi – a quelle righe.
Alcune frasi – riportate dai media nazionali – mi hanno colpito non perché raccontassero chissà quali novelle, ma per la capacità – in poche righe – di tratteggiare la nostra realtà. Pare quasi che, su una nave che affonda, gli ultimi ad accorgersene siano proprio quelli che ci stanno sopra.
Che la “Perfida Albione” non sia tenera con l’Italia lo sappiamo, che i tedeschi non aspettino altro che un fatto di sangue per gettare sui rotocalchi una pizza con una pistola nel mezzo, è altrettanto vero, ma le parole del Times sono pietosamente, intrinsecamente, ferocemente vere. Di là delle possibili interpretazioni e dietrologie.
"Gli italiani sono i meno felici d'Europa" afferma il quotidiano inglese. Sentenza dura: gettata con troppa approssimazione?
L’imprecisione è intrinseca in ogni universale, in quanto generalizzazione di un’entità composita – tutti lo sanno – ma ci sono dati che è difficile “dribblare” perché riportano a realtà comuni, espanse nella società che si esamina.
La prima è la natalità: che piaccia o non piaccia, il trend demografico è un numero che qualcosa indica. Gli italiani sono i meno prolifici d’Europa, e si “salvano” soltanto per la maggior prolificità degli immigrati: il 10% dei nuovi nati, secondo l’ISTAT, ha genitori stranieri, quando gli immigrati sono il 5% della popolazione. Esattamente il doppio.
La natalità è un indice da “prendere con le molle”, ma da non sottovalutare: proviamo ad “incrociare” il dato con altri, questa volta pubblicati dalla rivista RIZA psicosomatica.
“La forza di volontà si spegne a 30 anni: ben 6 giovani su 10 confessano di non sentirsi abbastanza coraggiosi e volitivi…Secondo i dati della ricerca, ben il 62% degli intervistati ritiene di non essere abbastanza dotato di forza di volontà…E a ben vedere è proprio la fascia che va dai 25 ai 40 anni a dare maggiori segni di cedimento…”
Se riflettiamo che la fascia d’età compresa fra i 25 ed i 40 anni è proprio quella che dovrebbe “reggere” la natalità, il dato si spiega da sé: quando mai, persone sfiduciate e dalla volontà appannata, fanno figli con ardore?
Interessante è anche la risposta – in qualche modo autocritica – che gli italiani forniscono: quel 62% che affermano di non aver sufficiente volontà, sembrano volerci raccontare la loro inadeguatezza, il non sentirsi all’altezza dei compiti richiesti.
La stessa rivista approfondisce le motivazioni della sfiducia:
“Per i più giovani gli insuccessi negli studi (22%), genitori incapaci di incoraggiare (20%) e i fallimenti con l'altro sesso (18%). Fra i 30 e i 40 anni a falciare la forza di volontà ci pensano l'insoddisfazione sul lavoro (27%), un matrimonio rivelatosi troppo presto sbagliato (24%) o l'ambiente di lavoro troppo competitivo (23%).”
La principale causa di guai – si evince da questi dati – è da ricercare nell’ambiente esterno, ossia nei rapporti sociali, soprattutto sul lavoro.
Qui, gli italiani, compiono una troppo frettolosa autocritica: sono proprio così certi d’essere intrinsecamente “inadeguati”?
A volte mi giungono alle orecchie storie di ex allievi. Altre di conoscenti, lontani parenti, amici.
Il denominatore comune di queste storie è l’incertezza: sento raccontare di “posti di lavoro” nei quali si “lavora”, nella stessa settimana, due giorni nel profondo Sud e tre a Milano. Oppure si fanno turni obbligatori (pena il licenziamento) e continuativi di 12 ore, alla faccia della legge 626 e di tutte le normative sulla sicurezza: poi ci stupiamo dei poveri morti della Thyssen-Krupp. Anche trascorrere due notti la settimana sul treno, dormendo in cuccetta per presentarsi al lavoro il giorno seguente, non è proprio uno scherzetto.
Sarebbe giusto sentirsi “adeguati” al confronto di simili trattamenti? L’unica persona che si sente “adeguata” a simili violenze, si fa presto a definirla: lo schiavo.
Ma ritorniamo al Times.
“Il problema non riguarda solo prezzi e salari, con un 'mood' che raggiunge il cuore del dibattito dell'Italia con se stessa sulla propria anima e identità”
La frase – un po’ contorta (dove sono finiti i buoni traduttori?) – sembrerebbe affermare che gli italiani sono afflitti oltre misura, anche rispetto al cattivo andamento economico. Qui, c’è una percezione diversa fra realtà ed aspettative.
Oggi è Natale e credo che quasi tutti l’abbiano trascorso in famiglia: di là delle diverse tradizioni, s’è cucinato parecchio, s’è riempito il frigorifero d’avanzi e in qualche angolo della cucina sono rimasti “fondi” di vino nelle bottiglie.
Apparentemente, siamo ancora benestanti: rispetto a gran parte del pianeta, è senz’altro vero.
Il problema inizierà domani: Adusbef, Codacons, Adoc e Federconsumatori hanno già stilato la “tabella di marcia” dei rincari per il prossimo anno. Considerando generi alimentari, energia, mutui e quant’altro, per ogni nucleo familiare è previsto un aumento di spesa di circa 800 euro. Una mazzata.
Mi passano nella memoria le immagini delle tante “nonnine” italiane, pensionate fra i 500 ed i 700 euro il mese: come faranno? Già oggi fanno i salti mortali e, talvolta, campano a caffelatte. Eppure, forse perché nella vita hanno visto di peggio, si fanno forza e cercano ancora – come possono – di rendersi utili per figli e nipoti.
Anche “figli e nipoti”, però, non se la passano certo allegra: per tantissimi giovani che – per amore o per forza – vivono da soli, l’aumento di 800 euro di bollette varie rappresenta circa una mensilità. Hai voglia di metterti a fare figli.
Anch’io – che sono un “privilegiato”, con stipendio fisso e ruolo a tempo indeterminato – inizio a sentire il “peso” di quei 60 euro circa che ogni mese si prendono Regioni, Province e Comuni, sullo stipendio o nella bolletta dell’ENEL: 720 euro l’anno per che cosa? Per fare una carta d’identità che potrei ricevere on-line? Per realizzare opere pubbliche, nelle quali la metà dei costi sono tangenti mascherate? Per mantenere in vita evanescenti “progetti di avviamento” al lavoro?
I fattori economici non sono, da soli, determinanti (come si sopravvive alle guerre?) ma contribuiscono ad acuire i naturali problemi familiari: se, quando c’è “maretta”, ci sono i soldi per “staccare” un momento e prendersi un pausa – magari una semplice vacanza in un fine settimana – ci sono più possibilità di capire la persona che vive con noi, di comprendere, anche di perdonare se ci sembra d’aver subito un torto.
Se, invece, il “forcing” del lavoro è costante, martellante e senza gratificazioni (bassi stipendi) si generano sempre più tensioni interne alla famiglia: nei casi “limite”, assistiamo alle tragedie. Cosa che, peraltro, ci viene “passata” oramai come un fatto comune: è “normale” sgozzare il cane, uccidere a martellate la moglie e poi impiccarsi. E’ “comune” sparare a moglie e figli nei loro letti, per poi puntare il fucile sotto il mento e premere il grilletto. Questa è oramai la cronaca di un giorno qualsiasi: siamo diventati “inadeguati” alla vita? Svegliamoci dal sogno, anzi: dall’incubo.
Le ragioni che il Times indica come i “mali” dell’Italia sono fotografati con impietosa precisione:
“Il passato é la gloria dell'Italia, ma ne è anche la sua prigione, con la politica e l'economia dominate da una gerontocrazia, mentre gli imprenditori e i politici più giovani sono tenuti a freno…Sebbene ci siano buoni registi, non c'é nessuno che possa essere paragonato a Fellini o Visconti…”
A parte il fatto che in Italia ci sono tuttora ottimi attori e registi – Giovanna Mezzogiorno, Margherita Buy, Stefano Lo Cascio, Sergio Rubini, la Archibugi, Soldini (svizzero-italiano), ecc – e che la critica è quindi errata alla base, ossia scambia la presunta mancanza d’artisti con le carenze della classe politica nei confronti dell’arte, il resto è quasi drammaticamente vero. Quasi perché la differenza non è tanto fra giovani e vecchi imprenditori, ma fra coloro che vivono all’ombra della Casta e quelli che credono, coraggiosamente, di vivere in un paese normale.
Sulla gerontocrazia esistente, nulla da eccepire: dal Quirinale fino ai consigli comunali.
Laddove il Times sbaglia (?) clamorosamente è nell’affidare il “controcanto” a Lucherino da Montezemolo, che si lancia in una ricetta, a suo dire, vincente per il nostro paese:
“Il nostro paese non si è solo fermato, ma sta andando indietro…Siamo un paese pieno di eccellenze e di energie positive. Possiamo invertire questo declino aprendo il paese al mercato, sbarazzandoci della burocrazia e liberando il talento dei giovani…”
Insomma, la ricetta è sempre la stessa: meno Stato e più mercato. Il che, potrebbe essere discusso ed approfondito, se non fosse clamorosamente inaffidabile il pulpito dal quale viene la predica.
Vogliamo ricordare i tanti “salvataggi” della FIAT, pagati con i soldi dell’aborrito Stato? Oppure, scivolando nel tempo, le tante vite di giovani piloti italiani, morti sbucazzati dagli Spitfire mentre combattevano su antiquati biplani CR-42 FIAT? Ancora indietro: le colossali e marcescenti commesse di guerra della Prima Guerra Mondiale, quando gli Agnelli s’arricchirono consegnando autocarri che si rompevano ad ogni passo? Peccato che l’autiere che “abbandonava il mezzo” – all’epoca – fosse immediatamente fucilato: così, durante la ritirata di Caporetto, tanti poveri autieri italiani pagarono con la vita le “combine” fra lo Stato e gli Agnelli.
Decenza, Montezemolo, decenza.
Da ultimo, il quotidiano inglese cita il “sorpasso” che la Spagna ha compiuto nel PIL pro-capite nei confronti dell’Italia. Non che questi arzigogoli dei banchieri c’impressionino più di tanto: basta essere passati per la Spagna negli ultimi anni per rendersi conto che laggiù campano meglio.
E, questo, è ciò che l’ha fatta inalberare – presidente Prodi – che non le è proprio andato giù: non il resto, non prendere coscienza dell’infelicità degli italiani, della vostra pochezza, che siete diventati oramai un inutile peso. Voi, compresa quella massa informe che oggi si ritiene “opposizione”: in realtà, siete gli uni i supplenti degli altri.
Lei non si è limitato a minimizzare, bensì ha contrattaccato:
“E' singolare che questo articolo esca proprio quando i dati sull'export evidenziano come l'Italia avrebbe superato la Gran Bretagna.”
Per prima cosa – lei m’insegna – sui condizionali non si gioca manco un’unghia: l’Italia “avrebbe” superato nell’export la Gran Bretagna? Cos’è, una nuova moda? Dopo le “scommesse” sui future, scommettiamo anche sui dati macroeconomici?
Anche scambiando quel condizionale con un più rassicurante indicativo presente, la risposta non c’azzecca per niente. Lo sa che, nel 1914, la Russia zarista superò la Gran Bretagna imperiale nella produzione di ghisa?
A quel tempo, le produzioni di ghisa e d’acido solforico erano considerate – con qualche approssimazione – una sorta di “PIL” dell’epoca. Eppure, come la storia ha evidenziato, la Russia del 1914 – per citare Marx (non Karl) – “non stava troppo bene”, tanto che precipitò nel volgere di pochi anni.
Anche la sua ostinata sicumera nel propagandare come riesca a governare con un solo voto di maggioranza – al suo posto – la risparmierei: e questo, vale anche per i divertenti “saltafossi” come Fini, Casini e Veltroni che stanno confezionando le strenne per il nuovo anno, ossia una sorta di legge elettorale/pateracchio per “blindare” ancor più la Casta al potere. Presentandola, ovviamente, come il non plus ultra della democrazia.
Il problema centrale di una classe politica è l’identificare correttamente la propria funzione, ossia stabilire con certezza gli obiettivi da raggiungere, i mezzi per attuarli ed i tempi. Questa è la vera politica, che non si sottrae con dei mezzucci al giudizio degli elettori, scrivendo ogni giorno che passa una nuova legge elettorale per fregarli, oppure medita di tappare la bocca alla gente con il Decreto Levi. Peggio ancora, la tappa a due magistrati coraggiosi come la Forleo e De Magistris.
Quando una classe politica smette di svolgere queste funzioni, si trasforma nel vuoto simulacro di se stessa, diventa un carapace senza cuore e cervello, un inutile orpello. Invece di svolgere una funzione, inizia a praticare la finzione della sua realtà, di ciò che dovrebbe essere e dovrebbe fare. Finisce per avvitarsi tragicamente su se stessa, per chiudersi a tutte le critiche, per incensarsi negli agoni televisivi, per essere – sintetizzando – completamente auto-referente. E boriosa.
Stupisce osservare che, nel nostro idioma, le due realtà siano separate da una sola vocale: funzione e finzione. Curioso, vero? Una vocale che finisce per essere la maledizione di noi tutti.
Mi torna allora alla mente cosa rispose Luigi XVI, quando gli fu comunicato che Parigi era in rivolta: «Che problema c’è: schierate il reggimento delle Fiandre!»
Poco tempo dopo, cercava lui stesso di raggiungere le Fiandre, camuffato, su una carrozza: tutti sappiamo cosa successe a Varennes.
La Storia è allo stesso tempo prodiga ed avara, poiché ci racconta come le situazioni, giunte al loro limite, trovino in qualche modo soluzione. A volte in modo cruento, altre con passo più lieve, ma ci racconta che gli equilibri divenuti troppo instabili hanno già in sé il seme dell’evoluzione. Esempi a decine: da Cesare all’URSS. L’avarizia della Storia è che non ci può dire quando, ma la Storia è Storia, non profezia.
Chissà che nome avrà, quale sarà il luogo della vostra Varennes: magari una sola vocale, o una consonante, faranno la differenza. Chissà.
Alcune frasi – riportate dai media nazionali – mi hanno colpito non perché raccontassero chissà quali novelle, ma per la capacità – in poche righe – di tratteggiare la nostra realtà. Pare quasi che, su una nave che affonda, gli ultimi ad accorgersene siano proprio quelli che ci stanno sopra.
Che la “Perfida Albione” non sia tenera con l’Italia lo sappiamo, che i tedeschi non aspettino altro che un fatto di sangue per gettare sui rotocalchi una pizza con una pistola nel mezzo, è altrettanto vero, ma le parole del Times sono pietosamente, intrinsecamente, ferocemente vere. Di là delle possibili interpretazioni e dietrologie.
"Gli italiani sono i meno felici d'Europa" afferma il quotidiano inglese. Sentenza dura: gettata con troppa approssimazione?
L’imprecisione è intrinseca in ogni universale, in quanto generalizzazione di un’entità composita – tutti lo sanno – ma ci sono dati che è difficile “dribblare” perché riportano a realtà comuni, espanse nella società che si esamina.
La prima è la natalità: che piaccia o non piaccia, il trend demografico è un numero che qualcosa indica. Gli italiani sono i meno prolifici d’Europa, e si “salvano” soltanto per la maggior prolificità degli immigrati: il 10% dei nuovi nati, secondo l’ISTAT, ha genitori stranieri, quando gli immigrati sono il 5% della popolazione. Esattamente il doppio.
La natalità è un indice da “prendere con le molle”, ma da non sottovalutare: proviamo ad “incrociare” il dato con altri, questa volta pubblicati dalla rivista RIZA psicosomatica.
“La forza di volontà si spegne a 30 anni: ben 6 giovani su 10 confessano di non sentirsi abbastanza coraggiosi e volitivi…Secondo i dati della ricerca, ben il 62% degli intervistati ritiene di non essere abbastanza dotato di forza di volontà…E a ben vedere è proprio la fascia che va dai 25 ai 40 anni a dare maggiori segni di cedimento…”
Se riflettiamo che la fascia d’età compresa fra i 25 ed i 40 anni è proprio quella che dovrebbe “reggere” la natalità, il dato si spiega da sé: quando mai, persone sfiduciate e dalla volontà appannata, fanno figli con ardore?
Interessante è anche la risposta – in qualche modo autocritica – che gli italiani forniscono: quel 62% che affermano di non aver sufficiente volontà, sembrano volerci raccontare la loro inadeguatezza, il non sentirsi all’altezza dei compiti richiesti.
La stessa rivista approfondisce le motivazioni della sfiducia:
“Per i più giovani gli insuccessi negli studi (22%), genitori incapaci di incoraggiare (20%) e i fallimenti con l'altro sesso (18%). Fra i 30 e i 40 anni a falciare la forza di volontà ci pensano l'insoddisfazione sul lavoro (27%), un matrimonio rivelatosi troppo presto sbagliato (24%) o l'ambiente di lavoro troppo competitivo (23%).”
La principale causa di guai – si evince da questi dati – è da ricercare nell’ambiente esterno, ossia nei rapporti sociali, soprattutto sul lavoro.
Qui, gli italiani, compiono una troppo frettolosa autocritica: sono proprio così certi d’essere intrinsecamente “inadeguati”?
A volte mi giungono alle orecchie storie di ex allievi. Altre di conoscenti, lontani parenti, amici.
Il denominatore comune di queste storie è l’incertezza: sento raccontare di “posti di lavoro” nei quali si “lavora”, nella stessa settimana, due giorni nel profondo Sud e tre a Milano. Oppure si fanno turni obbligatori (pena il licenziamento) e continuativi di 12 ore, alla faccia della legge 626 e di tutte le normative sulla sicurezza: poi ci stupiamo dei poveri morti della Thyssen-Krupp. Anche trascorrere due notti la settimana sul treno, dormendo in cuccetta per presentarsi al lavoro il giorno seguente, non è proprio uno scherzetto.
Sarebbe giusto sentirsi “adeguati” al confronto di simili trattamenti? L’unica persona che si sente “adeguata” a simili violenze, si fa presto a definirla: lo schiavo.
Ma ritorniamo al Times.
“Il problema non riguarda solo prezzi e salari, con un 'mood' che raggiunge il cuore del dibattito dell'Italia con se stessa sulla propria anima e identità”
La frase – un po’ contorta (dove sono finiti i buoni traduttori?) – sembrerebbe affermare che gli italiani sono afflitti oltre misura, anche rispetto al cattivo andamento economico. Qui, c’è una percezione diversa fra realtà ed aspettative.
Oggi è Natale e credo che quasi tutti l’abbiano trascorso in famiglia: di là delle diverse tradizioni, s’è cucinato parecchio, s’è riempito il frigorifero d’avanzi e in qualche angolo della cucina sono rimasti “fondi” di vino nelle bottiglie.
Apparentemente, siamo ancora benestanti: rispetto a gran parte del pianeta, è senz’altro vero.
Il problema inizierà domani: Adusbef, Codacons, Adoc e Federconsumatori hanno già stilato la “tabella di marcia” dei rincari per il prossimo anno. Considerando generi alimentari, energia, mutui e quant’altro, per ogni nucleo familiare è previsto un aumento di spesa di circa 800 euro. Una mazzata.
Mi passano nella memoria le immagini delle tante “nonnine” italiane, pensionate fra i 500 ed i 700 euro il mese: come faranno? Già oggi fanno i salti mortali e, talvolta, campano a caffelatte. Eppure, forse perché nella vita hanno visto di peggio, si fanno forza e cercano ancora – come possono – di rendersi utili per figli e nipoti.
Anche “figli e nipoti”, però, non se la passano certo allegra: per tantissimi giovani che – per amore o per forza – vivono da soli, l’aumento di 800 euro di bollette varie rappresenta circa una mensilità. Hai voglia di metterti a fare figli.
Anch’io – che sono un “privilegiato”, con stipendio fisso e ruolo a tempo indeterminato – inizio a sentire il “peso” di quei 60 euro circa che ogni mese si prendono Regioni, Province e Comuni, sullo stipendio o nella bolletta dell’ENEL: 720 euro l’anno per che cosa? Per fare una carta d’identità che potrei ricevere on-line? Per realizzare opere pubbliche, nelle quali la metà dei costi sono tangenti mascherate? Per mantenere in vita evanescenti “progetti di avviamento” al lavoro?
I fattori economici non sono, da soli, determinanti (come si sopravvive alle guerre?) ma contribuiscono ad acuire i naturali problemi familiari: se, quando c’è “maretta”, ci sono i soldi per “staccare” un momento e prendersi un pausa – magari una semplice vacanza in un fine settimana – ci sono più possibilità di capire la persona che vive con noi, di comprendere, anche di perdonare se ci sembra d’aver subito un torto.
Se, invece, il “forcing” del lavoro è costante, martellante e senza gratificazioni (bassi stipendi) si generano sempre più tensioni interne alla famiglia: nei casi “limite”, assistiamo alle tragedie. Cosa che, peraltro, ci viene “passata” oramai come un fatto comune: è “normale” sgozzare il cane, uccidere a martellate la moglie e poi impiccarsi. E’ “comune” sparare a moglie e figli nei loro letti, per poi puntare il fucile sotto il mento e premere il grilletto. Questa è oramai la cronaca di un giorno qualsiasi: siamo diventati “inadeguati” alla vita? Svegliamoci dal sogno, anzi: dall’incubo.
Le ragioni che il Times indica come i “mali” dell’Italia sono fotografati con impietosa precisione:
“Il passato é la gloria dell'Italia, ma ne è anche la sua prigione, con la politica e l'economia dominate da una gerontocrazia, mentre gli imprenditori e i politici più giovani sono tenuti a freno…Sebbene ci siano buoni registi, non c'é nessuno che possa essere paragonato a Fellini o Visconti…”
A parte il fatto che in Italia ci sono tuttora ottimi attori e registi – Giovanna Mezzogiorno, Margherita Buy, Stefano Lo Cascio, Sergio Rubini, la Archibugi, Soldini (svizzero-italiano), ecc – e che la critica è quindi errata alla base, ossia scambia la presunta mancanza d’artisti con le carenze della classe politica nei confronti dell’arte, il resto è quasi drammaticamente vero. Quasi perché la differenza non è tanto fra giovani e vecchi imprenditori, ma fra coloro che vivono all’ombra della Casta e quelli che credono, coraggiosamente, di vivere in un paese normale.
Sulla gerontocrazia esistente, nulla da eccepire: dal Quirinale fino ai consigli comunali.
Laddove il Times sbaglia (?) clamorosamente è nell’affidare il “controcanto” a Lucherino da Montezemolo, che si lancia in una ricetta, a suo dire, vincente per il nostro paese:
“Il nostro paese non si è solo fermato, ma sta andando indietro…Siamo un paese pieno di eccellenze e di energie positive. Possiamo invertire questo declino aprendo il paese al mercato, sbarazzandoci della burocrazia e liberando il talento dei giovani…”
Insomma, la ricetta è sempre la stessa: meno Stato e più mercato. Il che, potrebbe essere discusso ed approfondito, se non fosse clamorosamente inaffidabile il pulpito dal quale viene la predica.
Vogliamo ricordare i tanti “salvataggi” della FIAT, pagati con i soldi dell’aborrito Stato? Oppure, scivolando nel tempo, le tante vite di giovani piloti italiani, morti sbucazzati dagli Spitfire mentre combattevano su antiquati biplani CR-42 FIAT? Ancora indietro: le colossali e marcescenti commesse di guerra della Prima Guerra Mondiale, quando gli Agnelli s’arricchirono consegnando autocarri che si rompevano ad ogni passo? Peccato che l’autiere che “abbandonava il mezzo” – all’epoca – fosse immediatamente fucilato: così, durante la ritirata di Caporetto, tanti poveri autieri italiani pagarono con la vita le “combine” fra lo Stato e gli Agnelli.
Decenza, Montezemolo, decenza.
Da ultimo, il quotidiano inglese cita il “sorpasso” che la Spagna ha compiuto nel PIL pro-capite nei confronti dell’Italia. Non che questi arzigogoli dei banchieri c’impressionino più di tanto: basta essere passati per la Spagna negli ultimi anni per rendersi conto che laggiù campano meglio.
E, questo, è ciò che l’ha fatta inalberare – presidente Prodi – che non le è proprio andato giù: non il resto, non prendere coscienza dell’infelicità degli italiani, della vostra pochezza, che siete diventati oramai un inutile peso. Voi, compresa quella massa informe che oggi si ritiene “opposizione”: in realtà, siete gli uni i supplenti degli altri.
Lei non si è limitato a minimizzare, bensì ha contrattaccato:
“E' singolare che questo articolo esca proprio quando i dati sull'export evidenziano come l'Italia avrebbe superato la Gran Bretagna.”
Per prima cosa – lei m’insegna – sui condizionali non si gioca manco un’unghia: l’Italia “avrebbe” superato nell’export la Gran Bretagna? Cos’è, una nuova moda? Dopo le “scommesse” sui future, scommettiamo anche sui dati macroeconomici?
Anche scambiando quel condizionale con un più rassicurante indicativo presente, la risposta non c’azzecca per niente. Lo sa che, nel 1914, la Russia zarista superò la Gran Bretagna imperiale nella produzione di ghisa?
A quel tempo, le produzioni di ghisa e d’acido solforico erano considerate – con qualche approssimazione – una sorta di “PIL” dell’epoca. Eppure, come la storia ha evidenziato, la Russia del 1914 – per citare Marx (non Karl) – “non stava troppo bene”, tanto che precipitò nel volgere di pochi anni.
Anche la sua ostinata sicumera nel propagandare come riesca a governare con un solo voto di maggioranza – al suo posto – la risparmierei: e questo, vale anche per i divertenti “saltafossi” come Fini, Casini e Veltroni che stanno confezionando le strenne per il nuovo anno, ossia una sorta di legge elettorale/pateracchio per “blindare” ancor più la Casta al potere. Presentandola, ovviamente, come il non plus ultra della democrazia.
Il problema centrale di una classe politica è l’identificare correttamente la propria funzione, ossia stabilire con certezza gli obiettivi da raggiungere, i mezzi per attuarli ed i tempi. Questa è la vera politica, che non si sottrae con dei mezzucci al giudizio degli elettori, scrivendo ogni giorno che passa una nuova legge elettorale per fregarli, oppure medita di tappare la bocca alla gente con il Decreto Levi. Peggio ancora, la tappa a due magistrati coraggiosi come la Forleo e De Magistris.
Quando una classe politica smette di svolgere queste funzioni, si trasforma nel vuoto simulacro di se stessa, diventa un carapace senza cuore e cervello, un inutile orpello. Invece di svolgere una funzione, inizia a praticare la finzione della sua realtà, di ciò che dovrebbe essere e dovrebbe fare. Finisce per avvitarsi tragicamente su se stessa, per chiudersi a tutte le critiche, per incensarsi negli agoni televisivi, per essere – sintetizzando – completamente auto-referente. E boriosa.
Stupisce osservare che, nel nostro idioma, le due realtà siano separate da una sola vocale: funzione e finzione. Curioso, vero? Una vocale che finisce per essere la maledizione di noi tutti.
Mi torna allora alla mente cosa rispose Luigi XVI, quando gli fu comunicato che Parigi era in rivolta: «Che problema c’è: schierate il reggimento delle Fiandre!»
Poco tempo dopo, cercava lui stesso di raggiungere le Fiandre, camuffato, su una carrozza: tutti sappiamo cosa successe a Varennes.
La Storia è allo stesso tempo prodiga ed avara, poiché ci racconta come le situazioni, giunte al loro limite, trovino in qualche modo soluzione. A volte in modo cruento, altre con passo più lieve, ma ci racconta che gli equilibri divenuti troppo instabili hanno già in sé il seme dell’evoluzione. Esempi a decine: da Cesare all’URSS. L’avarizia della Storia è che non ci può dire quando, ma la Storia è Storia, non profezia.
Chissà che nome avrà, quale sarà il luogo della vostra Varennes: magari una sola vocale, o una consonante, faranno la differenza. Chissà.
Ottima analisi Carlo.
RispondiEliminaD'accordo sul senso del limite, implicito in tutti i processi storici e sociali. Fai benissimo a sottolinearlo. E visti i tempi,
coraggiosamente. Di più: parlerei di coraggio "metodologico".
Credo però che il male sia europeo. Molto diffuso quindi. Non c'è una Reggia, ben precisa, da conquistare. Il che rende tutto più vischioso... Credo.
Buon Santo Stefano,
Carlo G.
Buo 2008 a tutte le persone oneste.
RispondiEliminaNon comprendo il vezzo di scrivere commenti firmandoli con il mio nome, e per questo li elimino. Che ragione c'è, se il nick compare, evidente?
RispondiEliminaSaluti a tutti e auguri
Carlo Bertani (quello vero)
chiedo venia per l'errore informatico, tradito dal fervore cardiaco suscitato dall'articolo.
RispondiEliminale faccio i complimenti per "la penna" e la ringrazio per le informazioni e la coscienza che riesce a smuovere.
distinti saluti
akille