07 dicembre 2007

Poveri noi

Dimenticata e negletta, la nostra povera scuola torna a far parlare di sé soltanto in due occasioni: quando vengono pubblicati sul Web filmati di dubbia provenienza e liceità, oppure quando arrivano le “pagelle” europee. Il discorso, come vedremo in seguito, tocca sì la scuola, ma varca il portone di tutti gli istituti dello Stivale e s’espande nelle strade.
Quando giungono le “pagelle” dall’Europa, ogni Ministro della (Pubblica) Istruzione trema, come se si trovasse – imberbe diciannovenne – di fronte alla commissione di maturità.
Purtroppo, il nostro candidato sa di non aver studiato molto e dunque spera, tremante, nella Dea Bendata e nella benevolenza (o distrazione) della commissione.
I risultati, però, sono sempre deludenti: 33° nella lettura, 26° nelle scienze, 38° nella matematica…
A fronte di una simile débacle, l’attuale inquilino di Viale Trastevere ha escogitato di ripristinare i vecchi esami di riparazione, poiché – a suo dire – la situazione era intollerabile. Mi sa che, se non prenderà presto altri provvedimenti, fra pochi anni sarà ancora peggio.
Non è questo però l’aspetto che mi ha colpito nell’azione di Fioroni – ossia la questione di merito, pur discutibile – ma il metodo.
Con una circolare ministeriale, sono stati surrettiziamente reintrodotti gli esami di riparazione, che il ministro D’Onofrio aveva abolito nel 1994.
Non entriamo, per ora, nel merito del provvedimento ma fermiamoci al metodo, perché la forma è anche sostanza.
La riforma D’Onofrio ebbe un regolare passaggio parlamentare, mentre l’opposto percorso è stato attuato con una semplice circolare: a sua giustificazione, il Ministro Fioroni ha opposto l’argomentazione giuridica che non si trattava di reintrodurre gli esami di riparazione, bensì di modificare soltanto il sistema di recupero dei debiti scolastici. Il tutto – chi ha seguito un poco gli interventi dell’attuale governo sulla scuola lo sa – fa parte della cosiddetta “strategia del cacciavite”, tesa a cambiare le cose senza chiedere nulla al Parlamento perché – questo Fioroni lo sa benissimo – su molti provvedimenti l’attuale governo non avrebbe una maggioranza sufficiente per approvarli.
Ora, se per un solo debito non saldato si dovrà ripetere l’anno scolastico, chi ancora ha vissuto la stagione degli esami di riparazione non trova sostanziali differenze. Un bel ritorno al passato.
L’aspetto più curioso, nelle giustificazioni addotte da Fioroni per l’insolita via giuridica scelta, consentirebbe, ad un ipotetico governo che volesse ripristinare la pena di morte, d’usare il medesimo approccio.
Basterebbe cambiare il regolamento carcerario con una circolare interna del Ministero di Grazia e Giustizia, nella quale s’afferma che i condannati per omicidio – primo del loro ingresso in carcere – dovranno essere allineati di fronte ad un muro ed un plotone di guardie dovrà collaudare i mitragliatori in dotazione sparando loro nel petto. Fra l’altro, era il metodo usato nel Giappone medievale per collaudare le migliori spade.
Come si potrà notare, nessuno menziona la pena di morte. E gli esami di riparazione.
Ora, uscendo di metafora, rimane il problema di decisioni prese senza l’intervento del Parlamento, passate dall’Esecutivo e giunte sulle nostre teste senza il minimo controllo. E, in aggiunta, spesso alcuni ministri non partecipano nemmeno ai lavori di preparazione di tali provvedimenti: i ministri della sinistra radicale, ad esempio, non furono mai “invitati” alle trattative che sfociarono nell’accordo del 23 Luglio sul welfare. Una “dimenticanza” provvidenziale? Oppure consapevole?
Ecco, allora, che una decisione (ripeto: non stiamo parlando di merito) così importante per milioni di studenti, è stata partorita da un ristretto numero di persone (il Ministro, il Consiglio Superiore d’Istruzione e qualcuno del suo staff, presumiamo), è transitata in Consiglio dei Ministri praticamente “sulla fiducia” ed è giunta a modificare profondamente la scuola italiana. Senza discussione, senza confronto, senza dibattito né approvazione: questa è democrazia?
Ritorniamo allora per qualche istante ad analizzare come sono partorite le leggi: se hai una solida maggioranza parlamentare – come Berlusconi nella scorsa legislatura – ti puoi permettere il lusso del passaggio parlamentare. Non dimentichiamo, però, che la maggioranza di Berlusconi viveva in un Parlamento coatto, reso schiavo dai diktat di un padre-padrone che poteva – in qualsiasi momento – rovinarti vita e reputazione agendo su ben sei reti televisive, come le recenti inchieste hanno dimostrato. Solo poche settimane or sono, le reti Mediaste partirono all’attacco di Fini e Casini, tirando in ballo le loro vite private per screditarli e cercare di ricattarli sotto l’aspetto politico.
Se, invece, la maggioranza è risicata o – ancor peggio – divisa al suo interno, ecco che lo strumento principe per legiferare diventa il decreto, splendida “scorciatoia” istituzionale.
Si parla poco di questo aspetto, ma è molto, molto importante.
La Costituente, nella stesura della massima carta giuridica, previde come mezzo principe per legiferare il percorso ordinario, ossia l’approvazione da parte d’entrambi i rami del Parlamento. Oggi, possiamo discutere se sia ancora attuale avere due Camere “fotocopia”, ma dal punto di vista giuridico l’approvazione di una legge in Parlamento garantisce (almeno, dovrebbe…) che i rappresentanti eletti ne prendano visione, discutano, modifichino, approvino.
Siccome i Costituenti erano persone di grande equilibrio, compresero che – in particolari situazioni – quel percorso sarebbe stato troppo lungo: fu affiancato quindi dal Decreto Presidenziale e dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa approvazione del Parlamento entro (se ben ricordo) 60 giorni.
La ragione di tale impostazione è chiara: se devo stanziare delle risorse per un terremoto od un’alluvione, lo farò immediatamente ed il Parlamento – trattandosi di norme di buon senso – approverà.
La Decretazione, nella Costituzione Italiana, prevede l’esistenza di un’urgenza, ossia che lo stesso provvedimento – con il normale passaggio parlamentare – giungerebbe “fuori tempo massimo”.
Notiamo che, oramai, si legifera quasi esclusivamente per decreto, e se non giunge in tempo l’approvazione del decreto si reitera lo stesso, fino all’approvazione. Alcuni decreti legge, si trascinano da una legislatura a quella successiva.
Così, provvedimenti come il riassetto del welfare e delle pensioni, nascono con un decreto, un collegato alla Finanziaria, e vengono approvati senza discussione, con un semplice voto di fiducia.
Tutti usano ed hanno usato, da decenni, questo metodo, soprattutto dopo il 1994. In quale democrazia viviamo, allora?
Viviamo da molto tempo in una sorta di “Colpo di Stato” strisciante, nel quale i rappresentanti eletti non hanno voce in capitolo e, talvolta, non sono nemmeno chiamati a votare. Secondo Fioroni, un aspetto importante come la valutazione di milioni di studenti non vale nemmeno una discussione.
Per questa (ed altre) ragioni – non sussistendo mai una vera discussione di merito – viviamo una continua stagione di “riforme” laddove, in realtà, non si cambia mai nulla o molto poco, per tornare domani all’altro ieri.
Ecco perché le leggi appena emanate iniziano quasi sempre con “Visto il Regio Decreto numero…”: altro che futuro, altro che democrazia. Regi Decreti: accontentati e corri.

3 commenti:

  1. Purtroppo ha pienamente ragione: siamo il Paese dei decreti - legge e dei ricatti morali, che si tratti di governo Berlusconi o di governo Prodi. Berlusconi era un sostanziale dittatore, che adesso infatti rischia di ritrovarsi solo, perché ha perso parte di quel potere; Prodi è un re Travicello,costretto a sopravvivere ogni volta con l'escamotage della fiducia.
    Da insegnante, sulla scuola e sul crollo della nostra istruzione (privata e pubblica) ho una sola idea: in un paese che porta in palmo di mano chi delinque, ovviamente per noi docenti diventa difficile fornire modelli adeguati e far capire quanto sia importante lo studio. Del resto, quando in tv c'è gente che bolla Leopardi come "uno sfigato" o ammette di non leggere libri perchè "sono noiosi", noi prof ci sentiamo tanto Don Chisciotte...
    Cortesi saluti, Massimo.
    http://libertasincazzandi.splinder.com

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  2. Come si può notare, questo post ha ricevuto la sola risposta di un collega, di un insegnante. A dimostrare che, della nostra scuola, non frega più un accidente a nessuno.
    Eppure, gran parte di ciò che siamo lo diventiamo fra i banchi, dalla prima elementare fino alla cena della maturità.
    Mala tempora currunt.

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  3. Anonimo7:44 PM

    Caro collega,
    Hai ragione... purtroppo non viene neanche più da commentare.
    René.

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