08 febbraio 2006

Pioggia di bombe in arrivo

Con il deferimento dell’Iran al Consiglio di Sicurezza dell’ONU è iniziato il percorso che condurrà gli USA allo scontro con l’Iran: morte, sofferenza, sangue, vedove ed orfani sono già annunciati nel documento firmato a Vienna. Perché?
Anzitutto la ragione ufficiale – come sempre debole ed evanescente – degli impianti nucleari: non esiste nessun trattato internazionale che proibisce lo sviluppo del settore nucleare ad uso civile, e nessuno può dimostrare che Teheran compia il passo per scopi militari.
E se anche così fosse? L’Iran è oramai uno dei pochi stati dell’area a non possedere armi nucleari: se Teheran viene considerata inaffidabile, quanto può esserlo il Pakistan di Musharraf?
La questione delle armi nucleari è vecchia quanto il mondo: se io soltanto possiedo una lancia, tutti dovranno sottomettersi; se invece tutti possediamo una lancia, ciascuno riporrà la propria e si guarderà bene dall’usarla.
Le ragioni che conducono Washington allo scontro con l’Iran sono altre, riassumibili in due motivazioni, entrambe economiche.
La prima è la stessa che condusse – nel 1991 – alla prima Guerra del Golfo: nessun paese con ricchezze petrolifere può permettersi il lusso di trasformare i proventi energetici in un apparato industriale, giacché lo sviluppo economico e tecnologico indebolirebbe il controllo imperiale su quel paese.
L’Arabia Saudita è un lampante esempio di questo concetto: il primo produttore di greggio al mondo – che subdolamente sostiene Al-Qaeda – viene considerato “alleato” giacché i proventi petroliferi sono investiti nella finanza internazionale, pura e semplice carta “garantita” dalle Banche Centrali.
Se – invece di pura e semplice carta – qualcuno inizia a costruire industrie, quelle non sono più carta ma beni, ovvero qualcosa che ha un valore d’uso – e non di pura imputazione – e quindi non soggetto al controllo imperiale.
La seconda ragione deriva dalla prima; per sfuggire al controllo imperiale Teheran ha promosso l’avvio della Borsa Petrolifera: un mercato del petrolio in euro, come già tentò di fare Saddam Hussein pretendendo il pagamento del petrolio con la moneta europea.
L’attuale prezzo del greggio racconta non una, bensì due vicende: l’esaurimento delle risorse ma anche il deprezzamento del dollaro, “scaduto” in cinque anni rispetto all’euro di un buon 35%. Se il greggio iraniano fosse commercializzato in euro, sarebbe un’ulteriore batosta per la Federal Reserve del fuggitivo Greenspan, ed il biglietto verde accentuerebbe la ripida china che lo sta conducendo al disastro.
L’attacco all’Iran è quindi inevitabile – costi quel che costi sul piano politico – anche se ciò significherà la completa deflagrazione dell’Iraq, dell’Afghanistan ed una completa destabilizzazione dello scenario asiatico.
L’alternativa? La destabilizzazione interna USA, con un dollaro da repubblica di Weimar. Oramai, il treno dell’economia liberista richiede interventi radicali e non bastano più le operazioni di maquillage: non serve sostituire il conducente, dobbiamo proprio cambiare treno.

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