Ricevo messaggi ed interventi sul mio blog da parte di persone che m’accusano d’essere fili-arabo e di non considerare le cosiddette “ragioni del terrorismo”, ovvero le responsabilità degli arabi per l’attuale situazione: vorrei chiarire una volta per tutte questo nodo, per non lasciare “scheletri nell’armadio” che non m’appartengono.
Sfido chiunque a dimostrare ch’io abbia difeso le sole ragioni di una parte a scapito dell’altra, ammesso che si possa semplificare il problema ad un semplice scontro fra “parti”.
L’incomprensione nasce proprio dal solco che si è scavato fra chi crede ad una guerra fra un ipotetico “Oriente” ed un altrettanto fumoso “Occidente” (anche se, per comodità, usiamo i due termini): una posizione che finisce per risultare non anti-storica, bensì a-storica, ossia estranea alla storia.
Guerre ed imperialismi sono avvenuti all’interno del mondo musulmano per secoli (l’impero Ottomano, ad esempio) così come in Europa: purtroppo, conosciamo bene la storia europea, mentre in genere sappiamo assai poco di ciò che avvenne nel mondo musulmano, ed ancor meno della storia del più antico regno del pianeta, ossia della Cina.
Oggi, la globalizzazione dei mercati ed un possente sviluppo tecnologico hanno – apparentemente – avvicinato realtà che si sono evolute quasi separatamente, ovvero con pochi scambi con il resto del pianeta.
L’ansia che ci pervade dopo l’11 settembre ci porta a cercare soluzioni rapide ed efficaci, mentre possiamo osservare che gran parte delle scelte operate (ad esempio la guerra in Iraq) hanno scatenato altri problemi invece di risolverli.
Il mio modesto contributo è sempre stato quello di far conoscere le pieghe, i meandri di culture che conosciamo assai poco – con le quali però dobbiamo trovare soluzioni – a meno di non continuare nella solita, tragica conta dei morti, di qualsiasi parte essi siano e chiunque li abbia uccisi.
Il problema non è decidere se un morto vale di più o di meno di un altro, non è definire ciò che è e ciò che non è terrorismo, giacché quando l’avremo definito gli avvenimenti non prenderanno, grazie al nostro lodevole sforzo, una nuova piega: il vero problema è porre fine alla conta dei morti.
Ritengo che, prima di decidere cosa fare per sanare recenti ed antiche fratture, bisogna conoscerle per trovare insieme dei rimedi e finirla con i litigi sulla conta dei morti: si può configurare a dovere un computer solo se si conoscono approfonditamente il suo funzionamento e quello dei programmi che lo gestiscono.
Altrimenti, usando il martello, riempiremo soltanto il pianeta di computer scassati.
Sfido chiunque a dimostrare ch’io abbia difeso le sole ragioni di una parte a scapito dell’altra, ammesso che si possa semplificare il problema ad un semplice scontro fra “parti”.
L’incomprensione nasce proprio dal solco che si è scavato fra chi crede ad una guerra fra un ipotetico “Oriente” ed un altrettanto fumoso “Occidente” (anche se, per comodità, usiamo i due termini): una posizione che finisce per risultare non anti-storica, bensì a-storica, ossia estranea alla storia.
Guerre ed imperialismi sono avvenuti all’interno del mondo musulmano per secoli (l’impero Ottomano, ad esempio) così come in Europa: purtroppo, conosciamo bene la storia europea, mentre in genere sappiamo assai poco di ciò che avvenne nel mondo musulmano, ed ancor meno della storia del più antico regno del pianeta, ossia della Cina.
Oggi, la globalizzazione dei mercati ed un possente sviluppo tecnologico hanno – apparentemente – avvicinato realtà che si sono evolute quasi separatamente, ovvero con pochi scambi con il resto del pianeta.
L’ansia che ci pervade dopo l’11 settembre ci porta a cercare soluzioni rapide ed efficaci, mentre possiamo osservare che gran parte delle scelte operate (ad esempio la guerra in Iraq) hanno scatenato altri problemi invece di risolverli.
Il mio modesto contributo è sempre stato quello di far conoscere le pieghe, i meandri di culture che conosciamo assai poco – con le quali però dobbiamo trovare soluzioni – a meno di non continuare nella solita, tragica conta dei morti, di qualsiasi parte essi siano e chiunque li abbia uccisi.
Il problema non è decidere se un morto vale di più o di meno di un altro, non è definire ciò che è e ciò che non è terrorismo, giacché quando l’avremo definito gli avvenimenti non prenderanno, grazie al nostro lodevole sforzo, una nuova piega: il vero problema è porre fine alla conta dei morti.
Ritengo che, prima di decidere cosa fare per sanare recenti ed antiche fratture, bisogna conoscerle per trovare insieme dei rimedi e finirla con i litigi sulla conta dei morti: si può configurare a dovere un computer solo se si conoscono approfonditamente il suo funzionamento e quello dei programmi che lo gestiscono.
Altrimenti, usando il martello, riempiremo soltanto il pianeta di computer scassati.