03 agosto 2020

Logorroica italianità




Il tormentone nazionale riguardante l’immigrazione torna a farsi vivo con la solita logorroica ed inconcludente pantomima dell’italianità violata, succube, forzata. In realtà, il problema nasconde – ancora una volta, come se non bastassero altri pessimi “ricordi” – l’incapacità italiana di fare i conti con la propria Storia.

 

I numeri sono noti: già nel 1975 si superò la famosa “soglia” di 2,1 figli per donna – la quale segna il limite massimo, oltre il quale la popolazione tende a decrescere – che oggi s’attesta intorno ad 1,3. Il che, causa un decremento annuo pari a circa 200.000 italiani ogni anno, ossia come se una città come Padova, Brescia o Trieste non esistesse più. C’è, inoltre, il fenomeno dell’emigrazione italiana – un fenomeno più sfumato, più difficile da interpretare – che causa altre 150.000 partenze. In totale, se consideriamo la sola popolazione italiana, è come se una città come Bari o Firenze sparisse completamente. Ogni anno che passa.

E poi ci sono gli immigrati, una quota annua che in media è di circa 250.000 persone, una quota difficile da conteggiare con precisione e molto variabile di anno in anno: comunque, rispetto al primo decennio del secolo (2000-2010) l’immigrazione si è quasi dimezzata, passando da 500.000 ingressi annui agli attuali 200-250.000.

Come si può notare, il saldo demografico totale risulta di poco in calo: decine di migliaia rispetto alle centinaia di migliaia.

 

Comunque la pensiate, questo è il quadro generale di riferimento per il fenomeno: i dati sono stati presi da Wikipedia, dall’ISTAT e dal Ministero dell’Interno. Ora, bisogna analizzare i reali attributi dei fenomeni, sia l’immigrazione e sia l’emigrazione.

L’emigrazione italiana è più sfaccettata, perché composta da giovani (metà laureati e metà diplomati) che vanno in cerca di situazioni più soddisfacenti e da pensionati che cercano, in Paesi con un costo della vita inferiore, di vedere – in quel modo – la loro pensione “rivalutata”.

Il fenomeno dei pensionati è di minore importanza per numeri, ed è inutile contrastarlo: se una persona vuole andare a vivere alle Canarie, alle Azzorre o in Bulgaria, perché impedirglielo?

Anche il fenomeno dei giovani è, di per sé, difficilmente contrastabile: i ragazzi italiani sono molto ben preparati professionalmente da ottime scuole ed università. Aggiungiamoci un briciolo di “pizza e mandolino” ed i cuochi ed il personale alberghiero italiani sono i più richiesti nel mondo: non dimentichiamo ingegneri e medici, che trovano facilmente proposte più allettanti.

E veniamo all’immigrazione.

 

Molto spesso si sentono lamentele circa la scarsa cultura e scolarità degli immigrati – il che, spesso, è completamente falso, perché non abbiamo mezzi per valutarlo: la lingua, spesso, è un ostacolo insormontabile – ma la cruda realtà è che l’Italia d’immigrati con specifiche professionalità non ne ha bisogno.

L’Italia non necessita di personale di maggior professionalità, in quanto l’alta scolarità italiana fornisce – al netto dell’emigrazione – sufficienti quadri per i ruoli tecnici e dirigenziali del Paese: quello che manca sono elementi non molto specializzati per sopperire ai “vuoti” lasciati nelle mansioni più semplici dal calo demografico.

 

Personalmente, ho conosciuto due ingeneri senegalesi ed una laureata in Chimica ucraina, i quali si sono adattati a fare i muratori e la badante: le difficoltà nella padronanza della lingua – mi hanno spiegato – sono troppo elevate per rimettersi a studiare l’italiano scientifico/tecnico, che non è così semplice da imparare e l’inglese non basta.

Ma, le richieste italiane, quali sono?

 

Facciamo un piccolo esempio che riguarda un’impresa italiana dell’agroalimentare, sia essa di produzione agricola o d’allevamento: sono, in gran parte, aziende familiari. Poniamo che abbiano due figli (situazione molto comune)…ma uno dei due si laurea in Medicina (o Infermieristica, ecc), l’altro in Ingegneria (o Informatica, ecc)…che ci fanno fra pomodori e mucche? L’azienda, quando i genitori vanno in pensione, viene venduta od inglobata in consorzi più grandi d’aziende, le quali hanno però sempre bisogno di personale…e dove lo trovano?

Non dimentichiamo che l’Italia – nonostante si sentano qui e là le proteste per i pomodori olandesi o le albicocche spagnole – rimane la prima nazione europea esportatrice di beni alimentari di qualità o di produzione biologica. Sovente dobbiamo difenderci dalle imitazioni, ma questo avviene soltanto perché non produciamo abbastanza, da lì nascono le imitazioni. Qualcuno di voi ha mai visto una vera mozzarella di bufala salire oltre Roma? O trovare i famosi “ciccioli” emiliani fuori dai confini della regione? Riusciamo a malapena a produrre il 50% dell’olio d’oliva per il consumo nazionale!

 

Durante il lockdown, la mancanza degli immigrati ha fatto temere parecchio per le raccolte di fine Inverno e le semine primaverili, necessarie al ciclo biologico degli alimenti. Dov’è il vero problema?

 

L’italiano medio non ha una percezione sensata sul problema degli immigrati, bensì un falso e logorroico dibattito che sembra fatto apposta per non giungere mai ad una soluzione: da un lato quelli che difendono l’italianità “senza se e senza ma” e vorrebbero le cannoniere nel Canale di Sicilia, dall’altra chi ha un atteggiamento pietistico nei confronti dei migranti e confonde la carità cristiana con la realtà economica.

Ovvio che, le due fazioni, sono abilmente alimentate per scopi elettorali e quindi…guai a cercare di comprendere il problema, guai a “sgonfiarlo”! La gente comincerebbe a ragionare e ci mancherebbe l’argomento “principe” per le campagne elettorali! Dovremmo cominciare a parlare di cose serie, e non siamo capaci! Meglio le cannoniere (che non possono sparare) e le parrocchie che accolgono (magari vorrebbero, ma non lo fanno): insomma, non vogliamo uscire da lì!

Perché le altre nazioni europee hanno una percentuale maggiore della nostra d’immigrati e non si sente l’eterno piagnisteo italiano?

 

Per due semplici ragioni: perché hanno fatto meglio i conti con la loro Storia e, magari, sanno fare anche meglio i conti economici odierni. Oppure, sono completamente stupidi tedeschi ed inglesi che hanno il doppio degli immigrati italiani?

 

La differenza è tutta nel rapporto che le singole nazioni hanno avuto con il loro passato coloniale – che è stato certamente una iattura per i colonizzati! – ma che ha, forzatamente, insegnato ai colonizzatori a trattare: date un’occhiata alla colonizzazione di fine ‘800 nel Pianeta, e lo capirete da soli.

Africa, Sudamerica ed Asia erano colonizzate quasi soltanto da un pugno di nazioni: Gran Bretagna, Francia, Olanda, Spagna, Portogallo, Germania e Belgio. E l’Italia?

 

S’arrabattava, cercando di comprare un porto in Africa Orientale: quando l’ebbe, tentò di “allargarsi” ma, ad Adua, fu subito retrocessa nella serie C delle potenze coloniali. Sconfitta ed umiliata dalle tribù con archi e frecce, lance e scudi e pochi fucili ad avancarica.

Bene o male riuscimmo a rimanere in Somalia e l’unica personalità che i somali ricordano con affetto è il duca Amedeo D’Aosta, perché riuscì ad iniziare un percorso d’agricoltura più moderna e fondò fattorie sul modello europeo: conquistò i somali con l’evidenza dei fatti, non con i crocifissi o le boutade da operetta della diplomazia italiana. Quando fu preso prigioniero dagli inglesi (era il comandante supremo in Africa Orientale) fu trattato con i guanti dagli inglesi, che lo ritenevano più simile a loro che alle mezze cartucce del regime fascista.

 

Andammo in Libia, e per i primi vent’anni non sapemmo far altro che un milione di morti su una popolazione di 7-8 milioni di libici. Per loro fortuna una delle maggiori figure del Fascismo era un uomo diverso, che costruiva strade, case ed aeroporti senza vessare la popolazione locale: era Italo Balbo, che fu inviato in Libia. Balbo capì che, se voleva vivere in pace, non servivano i moschetti: attrasse intorno a sé la vecchia aristocrazia libica, degnandola di un ruolo anche nella nuova realtà ed il gioco gli riuscì.

Ma, Balbo, era contrario all’Asse con Berlino, era contrario ad una guerra contro l’Inghilterra e portava avanti, in Libia, una politica troppo personale, molto distante dalle velleità imperiali romane che non potranno – proprio per i vecchi problemi che Balbo indicava con arguzia – che arrendersi a centinaia di migliaia agli angloamericani, aprendo loro la via della Sicilia.

 

E’ interessante notare come, nel corso logorroico delle annose ed inconcludenti vicende italiane, le figure più nobili e lungimiranti scompaiano: è il caso del geologo Ardito Desio il quale, negli anni ’30, scoprì (lavorava per l’AGIP, appena fondata) in Libia enormi giacimenti d’acqua nel sottosuolo, che fu usata per l’irrigazione, poi Magnesio e Potassio e…petrolio. Portò a Mussolini la famosa “bottiglia” di petrolio – la ricerca del petrolio il Libia era iniziata nel 1929! – ma servivano trivelle più potenti, che gli americani già possedevano e che era possibile acquistare. Mussolini gli diede l’italianissima pacca sulla spalla e lo congedò con il fascistissimo “Bravo! Continua così!”. Ma non gli comprò le trivelle. La bottiglia di petrolio finì in qualche scantinato dimenticato, probabilmente insieme all’acqua di Lurisia ed al Barolo d’annata.

La politica italiana, in Libia, era una politica agricola che prevedeva di tornare al “granaio di Roma” d’imperial fascistissima memoria, e non contemplava che la Libia producesse petrolio: lo compravamo già dagli americani…

 

Non parliamo poi dell’Etiopia, dove riuscimmo veramente a farci odiare di un odio feroce, belluino: le violenze gratuite passarono il segno e, allo scoppio della guerra nel ’40, le tribù corsero ad ingrossare le file dei reggimenti coloniali inglesi. E ci resero, con gli interessi, tutte le violenze operate con sdegno e “virile consegna” da Badoglio e Graziani.

Fine del periodo coloniale italiano: cosa imparammo? Quasi niente. Cosa ricavammo? Poco o niente. Cosa spendemmo, in denaro e vite umane? Parecchio.

 

Se vogliamo cercare un paragone, riflettiamo che non ci fu nessuno che combatté il colonialismo inglese con la fermezza e l’astuzia di Gandhi: ma ci fu sempre, nelle sue parole, il riconoscimento d’aver ereditato dagli inglesi non solo ferrovie, scuole, porti, ospedali ed il sistema postale, bensì anche una classe di funzionari locali che lo resero in grado di far funzionare il Paese.

 

Potremmo continuare, ma non voglio tediare chi mi legge: ogni Paese trae oggi, nel suo rapporto con la migrazione, i concetti e gli insegnamenti che seppe apprendere durante la fase coloniale. Sembra quasi un ossimoro per le contrastanti vicende storiche, ma così appare dalla riflessione su quelle vicende.

In Iraq, ad esempio, gli inglesi s’accorsero a loro spese di quanto fossero incapaci ed inadatti gli americani in quel ruolo: essendo cresciuti con l’eroico ricordo della loro guerra anti-colonialista – proprio contro la Gran Bretagna! – non riuscivano ad entrare nel ruolo di chi doveva dirigere la ricostruzione dopo la guerra del 2003. Loro, erano andati lì a liberarli! Perché gli iracheni non li amavano? Contraddizioni del colonialismo.

In Tanzania, per molto tempo, gli abitanti ricordarono come efficienti ed umani i colonizzatori tedeschi, migliori degli inglesi che giunsero dopo il 1918, mentre gli olandesi, in Indonesia, riuscirono a farsi odiare al punto che gli indonesiani aprirono con gioia la porta ai giapponesi nel 1942.

 

Anche Francesi, Spagnoli e Belgi non hanno lasciato un buon ricordo dove sono stati, ma hanno – almeno – ricavato qualche esperienza da quelle lontane vicende, mentre l’Italia non sa nulla, non ha appreso nulla, non sa progettare nulla.

Eppure, gli esempi non mancano: negli anni, per far funzionare il suo apparato produttivo, la Germania (Ovest) attrasse milioni di turchi e di curdi (per antiche “vicinanze” diplomatiche) i quali, acerbissimi nemici in Patria, hanno vissuto in pace in Germania. In Germania è stata la potenza del welfare, sconosciuto nelle loro lande, a conquistarli.

Hindu e Sikh, in India, si “parlano” – ancora oggi – tramite attentati dinamitardi, mentre in Gran Bretagna vivono gli uni accanto agli altri: ma docenti di Matematica e di Fisica indiani insegnano ad Oxford, quando un indiano od un sikh non diventa un ottimo ed ascoltato esegeta shakespeariano. Se gli indiani non hanno certo abbandonato le basi ideali della loro cultura, apprezzano la cultura inglese e la affiancano alla loro.

 

Qualcuno dirà: già, ma il terrorismo islamico? Non ha forse colpito in Europa? Vero. Ma chi sono i nuovi terroristi islamici? Chi li sostiene? Chi li paga? Chi li prepara?

Il recente terrorismo islamico nasce sempre, come afflato ideale, dall’insoluta situazione della Palestina e di Israele, ma viene coordinato e scatenato dalle potenze del Golfo, le quali lo usano – anche in funzione anti-iraniana – per loro scopi di bottega (petrolifera).

Non confondiamo conflitti che nascono da radici ideali con altri, che sono soltanto trame di servizi segreti di mezzo mondo.

 

In sintesi: qual è stata e qual è la natura dell’immigrazione in Italia?

Dapprima albanese e marocchina, oggi senegalese, nigeriana, nigerina, malese, indonesiana…ed altre nazionalità.

Osserviamo, oggi, un cantiere stradale, oppure un grande cantiere come quello che ha ricostruito il ponte di Genova: chi c’è? Aprite gli occhi. Qualche italiano più anziano, soprattutto con compiti di caposquadra e di coordinamento, poi albanesi e rumeni (che sono bravi muratori) e, infine, tanti neri con compiti di manovalanza: grosso modo, le cose stanno così.

Se, invece, andiamo nei campi, sono quasi solo neri, mentre gli italiani usano le macchine agricole o si occupano dei trasporti.

Cosa diamo loro in cambio?

 

Se vengono qui per lavorare, come lavoratori avrebbero diritto ad un salario decente e, all’occorrenza, del relativo welfare: Germania, Francia e Gran Bretagna si comportano così, Spagna e Portogallo un po’ meno, ma nessuno giunge alle scene da “piantagione di cotone dell’Alabama” che si vedono in Italia.

Anzitutto, trattiamoli in modo da non dare loro delle ragioni per odiarci: lo facciamo continuamente, con la segregazione e l’abbandono in strutture che ricordano più dei campi-profughi che degli alloggi per lavoratori.

Soprattutto, ci mancano le idee per la convivenza, le idee che una nazione non colonialista (come l’Italia o gli USA) non può avere: allora, o li respingiamo (ma non possiamo farlo: li vedete i ragazzi italiani cresciuti a biscottini della mamma ed aperitivi con gli amici nei campi a sgobbare?) oppure, se li accettiamo dobbiamo creare un sistema nel quale abbiano il loro ruolo ed il loro posto dove stare. Sono esseri umani, non dimentichiamolo: e gli esseri umani, all’occorrenza, s’incazzano pure.

 

C’è, infine, la questione legale: ius sanguinis o ius soli?

Ho sempre nutrito molti dubbi sul “diritto del sangue” perché è un diritto che poggia sull’assioma che il “mio” sangue sia il più forte, colui che – solo – ha la spada in mano. E quando un altro “sangue”, più forte, s’attrezza e ti sconfigge? Torniamo alla schiavitù? Se ci pensate bene, è la legittimazione di una guerra perpetua.

Sull’altro versante, non riesco a comprendere perché un argentino che vive in Argentina da generazioni possa votare alle elezioni in Italia – dando, spesso, origine a dei commerci ignominiosi per quella manciata di voti che possono far ribaltare la politica nazionale – mentre un albanese che vive da vent’anni in Italia, che lavora stabilmente qui ed ha dei figli oramai irriconoscibili dai ragazzi italiani, non possa decidere niente.

Mistero.

 

Sono certo che, già da domani, torneremo ai soliti chiacchiericci logorroici: perciò, prendete queste riflessioni come semplice acqua che scorre. Ci vorrà tempo ma l’acqua, sempre, scava la pietra: non dimentichiamolo.



14 commenti:

ambrogio negri ha detto...

Benché io apprezzi e sostenga convintamente la democrazia, ne rilevo quello che a mio avviso ne è il limite.
Per ottenere la patente di guida è necessario sostenere un esame, mentre per accedere agli organi politici che guidano un paese basta molto poco. È vero che alternativa non ce n’è, ma è così che ci troviamo, specialmente negli ultimi 20/25 anni, sempre più spesso guidati da supercazzolari che hanno come unico e vero obiettivo quello di spararle sempre più grosse per screditare l’avversario e attribuirsi meriti inesistenti, per continuare a fruire di stipendi mica male e tutti gli annessi.
Il teatrino quotidiano sarebbe materia ghiotta per il teatro di Eduardo De Filippo, se fosse ancora vivo.
Capitan Fracassa, la donna madre italiana e cristiana, il bibitaro, l’avvocato del popolo, ecc., tutte macchiette da Carri di Tespi.
Come si può immaginare che sia pianificata una qualsiasi politica al di là delle prossime elezioni?
Chi mai chiede conto, a questi incapaci, del disastro in cui stanno spingendo il Paese?
Gli elettori? Ma qualcuno, prima di farli votare, non dovrebbe accertarne l’idoneità?
Ovviamente sono amare battute da disillusione.
Ciao

Carlo Bertani ha detto...

Vedi, Ambrogio, qui non è una questione di un politico o dell'altro, della maggiore o minore capacità d'analisi e di sintesi, bensì della colossale mancanza d'analisi storica da parte di un'intera generazione. Ossia, la Storia è passata "chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato": il che, nella sostanza, è vero, ma la Storia serve proprio a capire dove si è sbagliato, o mancato, per non ripetere gli errori.
Ciao
Carlo

ambrogio negri ha detto...

È proprio per questo che ho insinuato che sarebbe buona pratica approfondire che cosa sa chi si candida alla guida del Paese. I partiti, ormai praticamente scomparsi, non formano più la classe dirigente. Tutto è gestito a messaggi e video sui social e numero di like.
Però, celiando un po’, si potrebbe sostenere che qualcosa di storia sia noto a qualcuno:
L’avvocato del popolo sembra Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore – sfiancherà i suoi nemici.
Capitan Fracassa sembra Tiberio Sempronio Gracco – tribuno della plebe.
La donna madre italiana e cristiana sembra Giovanna d’Arco – pronta a scendere in armi contro l’invasore.
Il bibitaro pare Armand-Jean du Plessis de Richelieu - manovra per rafforzare l'assolutismo della Casaleggio spa.
Potrei andare avanti, ma temo di annoiare e, soprattutto, esagerare.
Ciao

spes ha detto...

"La Storia serve proprio a capire dove si è sbagliato, o mancato, per non ripetere gli errori"
La nostra pervicacia ci ha piazzato in un circolo vizioso per cui siamo sempre alle prese con i nodi irrisolti di un mondo che non riesce a diffondere una cultura capace di lasciarsi il medioevo alle spalle.
Da lì non usciamo,sarà la mancanza di “capa”(la nostra) ,di capi ,che non sono quelli che vorrebbero proporsi tali “accapigliandosi”,ma ormai ,peggio dei gamberi, non solo non facciamo i due classici passi in avanti per ritornare indietro di tre,ma giriamo perennemente in circolo e ,peggio ancora ,intorno ai tavolini dei bar in cui scarichiamo tutta la nostra competenza di boriosi.
Siamo tanto divisi nel modo di pensare che non ci troviamo nemmeno d’accordo con noi stessi,insomma la confusione regna sovrana.
Per non cadere nelle contraddizioni attuali del sovranismo scaduto a sovra- onanismo per certi discorsi da balcone di certi caporioni che sono rimasti incollati ,come mosche sul miele,a fasi storiche ormai bollite e da un bel pezzo.
Quando riusciremo a sentirci figli di questo tempo ,ad aprire gli occhi su situazioni reali e non nebulosamente virtuali che mi ricorda il quadro della parabola dei ciechi di Pieter Bruegel?.
Lo so è facile lamentarsi,fare i Gino Bartali fuori epoca ma come ritrovare un poco,almeno un poco,di ragionevolezza,di rispetto sociale per gli altri,di solidarietà che sono il cemento di una società invece che riproporci sempre come individui emotivamente instabili, incapaci alla compassione e all'empatia?
Sul post precedente “plotoni allo sbando” hai fatto una analisi di quel “fattaccio brutto “di Piacenza ma,senza giustificare nessuno(il fatto è troppo grave per cui bisogna intervenire tempestivamente e senza tremore di polsi) si può collocare ormai in qualsiasi Paese.
La “cultura” del denaro sopra tutto e con qualsiasi mezzo è tanto diffusa come la diffusissima massima “grandi benefici col minimo sforzo” per cui tutto è ribaltato:quelli che si comportano civilmente e onestamente sono da biasimare mentre i “guappi” sono da imitare......Mi ricorda qualcosa di certi circoli.
Forse questo consumismo inculcato attraverso una manipolazione onirica ci fa credere ciò che ci viene presentato con una semplicità infantile per cui siamo regrediti all’infanzia anche in vetusta età(che dovrebbe essere quella della saggezza).

Carlo Bertani ha detto...

Oggi, c'è stato un ulteriore esempio dell'ignavia storica italiana: il progetto di un museo sul fascismo è stato abbandonato. Ascoltando le motivazioni della relatrice (una storica) mi sono chiesto il perché di un rifiuto totale. Nessuno s'è posto il dilemma di porre delle domande oppure dei paletti...insomma, come farlo, senza diventare una réclame per i mussoliniani odierni e mantenendo equità ed equilibrio storico?
Niente: tutto da capo, sei della Roma o della Lazio...eh, beh, allora...
Carlo

Carlo Bertani ha detto...

Abdo Al-Amrawi dice: "Azienda Masa per il controllo dei parassiti in Dammam".
Contento per lui, ma che c'azzecca?

ambrogio negri ha detto...

Provo ad indovinare. Forse Abdo, dietro richiesta, sarebbe disposto a controllare i parassiti anche in Italia. Però, se così fosse, non mi spiego perché abbia usato l'arabo. A quali parassiti si riferisca ne ho una certa idea.
Ciao

Carlo Bertani ha detto...

Caro spes,
Non è una questione di mancanza di linee guida, bensì un sofisticato metodo d'ingannare la popolazione, operato da gente che sa bene quello che fa.
Prendi il caso delle foibe.
Lì, abbiamo fatto porcate noi, e loro hanno risposto con le medesime porcate. Perché non stringerci a mano, suggellando un patto di non farci più delle porcate?
Eppure, il Presidente (mi pare Napolitano), anni fa, fece una filippica contro i barbari slavi, che scatenò (giustamente) la risposta irritata del presidente croato dell'epoca.
Non dimentichiamo che fummo noi ad andare là, non loro a venire di qua.
Eppure, la retorica italiana si basa sempre su un assioma errato "Italiani brava gente" (falso storico), proprio per cercare due obiettivi:
a)Dare un senso generale di bontà intima del popolo italico
b)Nascondere le colpe del Fascismo per addossare tutto alla Germania.
Tutto questo, conduce a non avere coscienza nei nostri rapporti con l'altra sponda del Mediterraneo - "se siamo così bravi, perché ci vengono a scassare i maroni?" - mentre siamo ugualmente partecipi dei disastri causati in Africa dal colonialismo.
In Italia, ha avuto successo uno storico come De Felice - bravo, ma molto orientato politicamente - mentre il prof. Del Boca - altrettanto bravo, ma di una lucidità fulgida - non è quasi conosciuto.
La falsità, che passa di generazione in generazione, produce i suoi frutti. Ci lamentiamo (giustamente) di Marzabotto e di Sant'Anna di Stazzema, ma dimentichiamo sempre che, insieme ai crucchi, c'erano anche i "nostri".
La Storia va raccontata con equità, e la storiografia non deve diventare mezzo di dibattito politico: questo si è fatto in Italia, e questo ci distingue - nei rapporti con le migrazioni - dagli altri Paesi europei.
Ciao e grazie
Carlo

Carlo Bertani ha detto...

No, Ambrogio, probabilmente è un messaggio pubblicitario automatico, rimbalzato chissà come in un sito italiano...va a sapere...
Ciao

Eli ha detto...



L'unica cosa buona fatta da Virginia Raggi:

vietare il museo del fascismo, proposto da due grillini della giunta che puzzano di muffa stantia.
Un museo per fare cosa? Per vedere le code dei nipotini del Truce davanti all'ingresso?
Per dare loro uno spazio con rievocazioni e processioni il 28 ottobre come a Predappio?
Roma pullula di luoghi che ricordano che cosa è stato il fascismo per la città e per l'Italia.
C'è il museo di via Tasso, dove la Gestapo torturava i prigionieri, partigiani, ebrei e non, rievocato nel film di Rossellini "Roma città aperta".
C'è il Sacrario delle Fosse Ardeatine, dove 335 romani furono sterminati per ordine di Kappler, come rappresaglia per l'attentato di via Rasella, dove morirono 33 nazisti. Fu usata la proporzione 10:1, tanto per dire quanto fossero equi gli occupanti. E ne aggiunsero due per soprammercato.
Ci sono le Pietre d'inciampo nelle vie del vecchio Ghetto dei papi, dove gli ebrei furono rastrellati dai nazisti quel 16 ottobre. Ogni sampietrino metallico col nome e le date di nascita e di morte, davanti alle case di coloro che non tornarono dai lager.
E nelle notti limpide d'inverno, nelle vie del quartiere Garbatella, ancora si possono ascoltare i passi pesanti degli stivaloni nazisti che facevano rastrellamenti notturni nelle case, e dove mio nonno nascose nella sua cantina una famiglia ebrea di cinque persone.
E dove mio padre passava le sue giornate in una cabina elettrica, insieme ad un ebreo, perché richiamato, non volle mettersi al servizio della RSI.
C'è Porta san Paolo, accanto alla Piramide Cestia, una porta delle Mura Aureliane, dove il 10 settembre 1943 Granatieri di sardegna dell'esercito italiano, cattolici e comunisti portarono avanti una difesa strenua per evitare l'occupazione di Roma da parte dei nazisti, C'era pure Carlo Azeglio Ciampi. Mi pare ne morirono 225 , ma vado a memoria e potrei sbagliarmi.
Continuarono a combattere anche se alle 16:00 del pomeriggio il generale Giorgio Carlo Calvi di Bergolo aveva già firmato la resa della città.

Roma è medaglia d'Oro della Resistenza, non ha bisogno degli escrementi dei fasci.
Non li vogliono i cittadini romani sinceramente democratici, non li vuole la comunità ebraica romana, non li vuole l'ANPI.
Non si può essere democratici con chi non conosce il significato di questa parola, perché loro non lo sarebbero con te.
Non si può essere magnanimi con chi è feroce e spietato.
Non si possono mostrare aperture a chi, se s'impossessasse del potere, ti sbatterebbe in una cella buia e maleodorante, torturandoti senza ritegno. O abbiamo già dimenticato il franchismo in Spagna, il Cile di Pinochet, l'Argentina di Videla e Massera? E il Portogallo di Salazar? E i bambini strappati alle madri, cercati per trent'anni dalle Nonne di Plaza de Mayo, Buenos Aires?

Sono sempre meno d'accordo con te, ma stavolta non potevo tacere, l'hai sparata troppo grossa.

Carlo Bertani ha detto...

Cara Elisabetta,
francamente, sono io a non comprenderti più né a capire come il tuo equilibrio si sia diluito in una rabbia informe e senza senso: ma dove sei finita? Rifletti, su te stessa e sugli altri prima di scrivere certe cose, perché io non le merito proprio.
Dove sarebbe la tua Roma antifascista e combattiva, quella che sdegnava il fascismo e lo combatteva? Forse, pessimi informatori t’hanno annebbiato la mente? Via Rasella fu un errore, perché le leggi di guerra consentivano il diritto di rappresaglia nel rapporto fra belligeranti, se attaccati dalla popolazione civile: difatti, Kesserling – comandante delle forze germaniche in Italia – non fu possibile condannarlo. Kappler cadde solo per “eccesso di zelo” ossia perché fu lui ad approvare la lista, eccessiva, delle Ardeatine: in ogni modo, ci pensò la solita sudditanza romana verso gli eredi di Goethe a farlo fuggire dal Celio.
Io ricordo, e ci sono centinaia di documenti storici a provarlo, una Roma estatica e serena, adagiata come una vergine che si offre ai violentatori in camicia nera. Ricordo una Roma orgogliosa e felice per essere tornata ai suoi antichi fasti, per esser tornata la capitale dell’Impero. Perché prima di Porta Pia, era l’Impero del Papa a tenere in ginocchio i romani, che s’accontentavano delle Pasquinate e dei versetti del Belli come unica…consolazione? No, per i romani il Belli e Pasquino erano solo il Bagaglino dell’epoca.
I romani non hanno nemmeno avuto il coraggio dei napoletani: quelli sì che in 4 giorni si sono tolti i nazifascisti di torno, pagando un prezzo altissimo, mentre quattro romani hanno combattuto a Porta San Paolo un pomeriggio. Quel coraggio che poi ebbero torinesi, milanesi, veneziani, genovesi e fiorentini, ma che dai romani mai s’è visto il segno. Teatro a scena aperta di reazionari, questa è Roma: proscenio per vent’anni di tutte le protervie fasciste, osannanti il mattino col regime mentre il pomeriggio lo trascorrevano ad Ostia, al mare.
Ma che vai raccontando?

Carlo Bertani ha detto...

La prima repubblica italiana – la Repubblica Romana – fu la tomba di tanti idealisti italiani, mentre i romani aspettavano il ritorno del Papa, per genuflettersi ai suoi piedi e chiedere assoluzioni. Quelli che erano in Piazza Venezia il 10 Giugno del 1940, chi erano? Erano tutti fascisti? Non c’erano le moltitudini romane che osannavano il Dux del nuovo Impero Romano? Per favore, Elisabetta.
E ancora, Elisabetta, chi ha messo sul trono di Roma ancora una volta un fascista come Alemanno, genero di Rauti, il quale s’andò a riprendere tutti i vecchi amici – molti erano anche amici di Fioravanti, l’ennesimo assassino fascista a piede libero – per sistemarli in comode posizioni della burocrazia romana? Ma non ti accorgi che non cambiate mai, che commettete i medesimi errori che furono dei Cesari, rinnovati in salsa modernista?
L’ho fatta grossa? Io?!? Ma per carità…io sarei un sostenitore del Fascismo?
Tu non sai nulla della mia storia, non mi conosci nemmeno personalmente e ti permetti di darmi – sottilmente e sotto traccia – del fascista? Ma tu sei matta.
La famiglia di mia madre era una famiglia benestante d’agricoltori ferraresi, ma avevano due pecche: erano d’origine ebraica (come quella di mio padre) ed erano socialisti.
La prima volta confiscarono loro la casa per farne il dopolavoro fascista. Siccome erano benestanti, i loro parenti gliene comperarono un’altra, più distante. I fascisti tornarono, e la ri-confiscarono per farne il gioco per le bocce del dopolavoro. Distante alcuni chilometri.
Quella volta fu la fine: mia nonna, diciassettenne con una bambina appena nata, finì nelle botti di macerazione del tabacco, a lavorare come una schiava, due mie prozie emigrarono e poi la famiglia cambiò definitivamente aria. L’ultimo sberleffo fu l’eredità: il testamento, redatto dal parente che li aveva aiutati, fu fatto sparire dalla sorella, ex fascista.
Mio nonno paterno – uno dei maggiori restauratori italiani (Madonna di Oropa e cuspide della Mole Antonelliana, solo per citare due esempi dei suoi lavori) – fu inseguito durante una perquisizione da un fascista in fez e pistola in mano che gli urlava “Sporco ebreo marmista!”: lo fermò con un poderoso calcio mio padre, che poi dovette fuggire.
Perciò, abbi la decenza di tacere quando vai a toccare certi tasti, non conoscendo nemmeno i dolori che le persone si portano dietro. Scusami sai, ma il tuo m’è parso solo il solito comportamento da romana boriosa ed insipiente. D’altro canto, voi avete combattuto un pomeriggio: noi, quassù, due anni con tanti, troppi morti.
Permettimi, sai, ma nel mio inguaribile idealismo avevo immaginato un museo dove fossero esposte le cose buone che fece il Fascismo – L’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia, della quale nella scuola primaria italiana si sente la mancanza per gli aspetti sanitari, l’edilizia popolare fascista (ottima sotto tutti gli aspetti, copiata da quella inglese) ed altre come le bonifiche – ma anche i carri armati di latta e gli scarponi di cartone, con i quali gli italiani andarono a morire in guerra e le tabacchiere fatte con i testicoli degli etiopi (le vide mio padre) che i soldati italiani tagliavano ai mariti prima di violentare le loro mogli, e tanto altro. La retorica fascista, per quel che conta, non doveva nemmeno apparire: fatti, eventi, storie, documenti, non fez e camicie nere per i ragazzini di Casa Pound.
Pensavo che, forse, dopo un secolo dall’avvento del Fascismo, fossimo oramai in grado di fornire un’esposizione storica senza fronzoli né révanche, condanne sine die né perdoni ed assoluzioni fatte con troppa fretta. Ma il tuo intervento mi ha mostrato che sbagliavo: hai ragione, vedo sempre le cose troppo avanti, prima degli altri. Scusami.
Se vuoi scusarti io sono qui, se vuoi sparire, non sentirò la tua mancanza: era un’altra l’Elisabetta che conobbi e che difesi a spada tratta, tu sai ben quando. Ciao.
Carlo

Eli ha detto...



Forse del fascista te lo sei dato da solo, non sono stata di certo io.
Mi sono limitata ad elencare luoghi romani dove si possono studiare gli effetti del fascismo, la rabbia è tutta tua, ma dove sei finito tu, che non ti riconosco più.
Non devo scusarmi proprio di nulla. Se avessi avuto la lontana intenzione di darti del fascista, mi scuserei, ma non è così, questa è una tua proiezione.

Ti suggerisco la lettura di un interessante libretto, costa solo €11,40, dello storico Francesco Filippi, e sfata tutti i miti sul fascismo che aleggiano ancora oggi, con documenti e ricerche storiche: Titolo: Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo (italiano).

Eh certo, gli "eroi" che ci hanno liberato dal fascismo erano solo al nord.
Adesso mi sei diventato pure un campanilista piccolo piccolo. Ti si è rimpicciolito il cervello?

Di me ricorda solo una cosa: sono antifascista come la nostra Costituzione.

Carlo Bertani ha detto...

Non ho nulla da aggiungere, Elisabetta, fai buona vita.
Carlo