La notizia più interessante, nel panorama politico, è
senz’altro l’inizio delle indagini sui (presunti) trascorsi affaristico/politico/stragisti
di Silvio Berlusconi con la mafia. Qualcuno griderà al complotto: libero di
farlo, però, prima, dovrebbe tenere in conto alcune cosette.
La vicenda, di per sé, non è nuova: già Paolo Borsellino –
che s’aspettava d’essere ammazzato (1992) – ne parlò in una serie d’interviste,
nelle quali tracciava i primi lineamenti della nuova strategia dei rapporti
stato/mafia risultante dal crollo dei vecchi equilibri politici della prima
Repubblica.
La “sospetta” tempistica? Non so se sia un esempio di
giustizia ad orologeria, come qualcuno sospetterà, e domando: e se fosse
capitato tre mesi fa, in pieno crisi politica? Oppure fra tre mesi, quando ci
saranno i definitivi “allineamenti” per le elezioni amministrative di
Primavera?
Il vero problema italiano è che la classe politica vive
continuamente in uno stato di fibrillazione: dunque, qualsiasi novità, notizia
di reato o semplice inchiesta giudiziaria, scuote i palazzi della politica come
un uragano.
La notizia, di per sé, è vecchia e parecchio strana: un uomo
che decide d’entrare in politica e ne scalerà i vertici, come Silvio
Berlusconi, si tiene in casa – con la pietosa scusa dello “stalliere” – un
personaggio come Vittorio Mangano, capo-mandamento della cosca di Porta Nuova a
Palermo, pluriomicida e più volte condannato? Oppure era obbligato?
Oggi, le accuse che sono state rivolte a Berlusconi sono di
una certa gravità e, cosa importante, tutte non-prescrivibili grazie alle leggi
varate dai suoi governi, data la pesantezza delle accuse.
Insomma, questo è soltanto l’epilogo di fatti già
annunciati, già noti ma complessi, zeppi di contraddizioni e di accuse portate
e poi ritirate, com’è usuale nelle indagini su Cosa Nostra, che muove pedine,
pizzini e pentiti, falsi, veri, oppure ad intermittenza. Per questa ragione,
l’accusa di “giustizia ad orologeria” non ha senso e costrutto interni, giacché
se fosse avvenuta un anno fa o fra un anno, per la classe politica, avrebbe
avuto la stessa valenza.
La classe politica non sopporta d’essere chiamata a
rispondere di reati – anche gravissimi – e si ritiene al di sopra d’ogni
giudizio da parte della Magistratura. Insomma, la tripartizione dei poteri non
è mai stata pienamente accettata nell’ordinamento italiano: siamo rimasti
legati al vecchio concetto di “intangibilità” dei potenti, che Alberto Sordi
ben evidenziò nel Marchese del Grillo
con la vicenda del povero Aronne, oppure lo sberleffo di Don Raffaé da parte di
de André. Come disse il Belli: Io so io,
e voi non siete un cazzo, continua ad imperare.
Ciò non esime la Magistratura dalle sue responsabilità, come ha
dimostrato la penosissima vicenda del CSM: anche qui, il connubio intrinseco
fra potere giudiziario e potere politico.
Più interessante, invece, è la strategia che le forze
politiche assumeranno di fronte alla prossima, evidente “defenestrazione” di
Berlusconi a quasi un trentennio dalla sua comparsa nell’agone politico. Oddio,
il vecchio capataz di Arcore in qualche modo doveva finire: anche se
pesantemente truccato, gettato in scena come un ectoplasma e sempre sorretto da
parlamentari (femmine) “badanti”, faceva più sorridere che paura.
Con lui, però, scompare dalla scena politica quel concetto
di centro-destra di sapore post-montanelliano, che si nutriva di forze fresche
prelevate dalla Destra più intransigente per convogliarle verso un centro più
dialogante. Che, però, metteva in crisi le forze di Destra più intransigenti e
“nutriva” in modo asfittico il Centro cattolico e legato all’Oltretevere.
Oggi, quale di queste strategie è attuabile per la
coalizione di Destra?
Se è vero che Salvini è riuscito a costruire, grazie ad una
notevole e ben gestita campagna mediatica, una figura di riferimento forte e
attraente, è anche vero che quella figura risulta “ingombrante” per molti
aspetti: è visto con sospetto dalla destra tradizionale, figlia o nipote di
Almirante, ed anche da quella meno pretenziosa, che ha conosciuto la penosa vicenda
di Fini, terminata con la sua sconfitta, personale e politica.
Anche nel partito di Berlusconi, però, i “mal di pancia” non
si sono fatti attendere: tanto è vero che il tentativo di Toti di fondare
“qualcosa” di “vicino ma non uguale” a Forza Italia, e di “amicizia ma non
sudditanza” verso la Lega,
è abortito con uno 0,qualcosa nei sondaggi elettorali. Non che i sondaggi
elettorali siano oro colato, però quando si prende lo 0,qualcosa il significato
è chiaro. Come, del resto, avviene da anni per formazioni d’estrema Destra
quali Forza Nuova o per i partitini che la Sinistra sforna ogni due per tre.
Di primo acchito, verrebbe da pensare ad un “soccorso” alla
Lega dopo l’abbandono del governo ed al superamento (indolore? quanto?) del
lungo periodo d’interregno che ci separa dalle elezioni del 2023. Perché è
chiaro, sin da oggi, che le forze politiche attualmente al governo vorranno
nominare il nuovo Presidente della Repubblica (previste per il 2022) – questo è
più che ovvio – e non ci sarà manovra di palazzo capace di schiodarle da questo
obiettivo, di primaria importanza.
Allora, forse, l’attuale “downgrading” di Forza Italia
(conseguente alle vicende giudiziarie di Berlusconi) non è un inutile soccorso
alla Lega, quanto una apertura verso nuovi equilibri che segneranno – veramente
– l’ingresso nella Terza Repubblica. E, qui, la “chiamata” al Bildenberg – per
quanto squalificato e ridotto ad un mero evento di costume – di Matteo Renzi
qualche significato l’ha.
L’uomo di Rignano non ha dato gran prova di sé: partito dal
40% di consensi ha dilapidato velocemente un simile vantaggio, finendo
intrappolato da una riforma costituzionale mal gestita e, peggio ancora,
finendo pugnalato da inchieste giudiziarie – legittimissime! - che avevano coinvolto i genitori e parenti
vari.
Il ragazzotto, di per sé, vanta una lunga frequentazione con
il capataz di Arcore, si dai tempi nei quali Mediaset gli fece un “regalo”
corposo (o pagamento occulto?) con la vincita ad un gioco a premi: viste le
mille “provvidenze” di Berlusconi, a pensar male non si fa peccato.
Le recenti vicende (ed elezioni) avevano lasciato l’uomo di
Rignano confinato, a rigor di logica, al suo scranno di senatore – ma la
logica, in Italia, non è molto aristotelica e più legata agli empirismi di
palazzo – e, dunque, il senatore controllava e controlla un buon numero di
deputati, tanti da creare un nuovo soggetto politico.
Non ci si lasci abbindolare dalle difese in extremis nei
confronti di Berlusconi (“stupito”, “senza prove”, ecc): sono soltanto dei
segni d’omaggio e formali ringraziamenti. In realtà, il guitto della politica
italiana, vuole ereditare: nient’altro. E, qui, si apre un bel dilemma al
quale, però, l’inossidabile trasformismo della politica nazionale saprà fornire
risposte.
Per prima cosa, Renzi ha dipinto un acquerello dalle modulazioni
tenere: Italia viva sarà la ripulita e profumata casa dei veri “centristi”
obbligati, obtorto collo, ad entrare, silenti, nel truce maniero dei
bolscevichi rampanti dal Veltroni-pensiero. Una sorta di “nuovo CCD”? Il
sospetto viene, ma non addossiamo al monello di Rignano pensieri e parole
impure, come il copione della trattazione richiede.
La strada è stretta, inutile raccontarselo, però Renzi non
pone fine al tempo: è giovane, ha rottamato in LeU i vecchi apparatcik del partito e, dunque, può
divertirsi nel gioco del trasformismo senza temere trasformazioni troppo
veraci. In altre parole, sarà capace di fingersi il grande nemico di Salvini
fin quando gli servirà. Dopo? Eh, dopo…e chi lo sa quali bischerate
m’inventerò? Fossi al posto di Conte – dopo le formali rassicurazioni di
appoggiare il governo sine die – farei un salto a trovare Enrico Letta. Credo
che insegni a Parigi: vuole il telefono? Ah, già lo tiene.
Eppure, quello di Renzi è un gioco pericoloso, e lui lo sa
bene, perché oggi è assolutamente sprovvisto di sufficienti “scorte” politiche
per affrontare il drago rampante padano ma, da bravo politico qual è, sa
benissimo che dopo un’ascesa senza limiti non puoi che aspettarti due cose: un
crollo rovinoso oppure una discesa lenta ed inesorabile. Salvini si nutre di
promesse: fino a quando il suo elettorato s’accontenterà e non dirà “vedo”?
Qui è il nocciolo della questione – non Conte, i 5Stelle o
robetta del genere, questi trastulli lasciamoli pure al PD – bensì come, da una
stretta e poco confortevole poltrona da senatore, potrà diventare – chiamato a
gran voce! – il difensore dei valori europei, globalismi, eccetera eccetera…e
dovrà scendere nell’arena solo, ad incontrare il suo nemico. Il Salvinardo.
Come Macron debellò la Le
Pen, questa è l’opera che nella sua stamberga di Rignano
legge e rilegge, alternandola al Principe,
del quale ha letto e capito qualcosa solo fino al capitolo settimo, saltando
poi l’ottavo – Di quelli che per scelleratezze sono
pervenuti al Principato – e
finendo di non capire una mazza nei capitoli inerenti i costi per ottenerlo.
Però, sette capitoli li ha letti: dai, che oggi è già tanto.
Da buon toscano, il Renzino, è una persona furba e schietta: quello che
si trasforma rapidamente nel tombarolo il quale s’appropria d’altrui tesori e
poi li rivendica come, da sempre, propri. Perché toscano, e dunque etrusco.
In altre parole, Renzi è il miglior avvocato di se stesso che sia
riuscito a trovare e, mettergli in bocca futuri intrallazzi o trappoloni
farseschi, è come attendersi risposte limpide dal pappagallo di un pirata (i
pappagalli sono molto longevi) che risponderà sempre “un giro di chiglia!”
(1). Che ne farai di Conte? “Un giro di chiglia”. Cosa aspetta Salvini?
“Un giro di chiglia!”. Cosa vorresti dal papa? “Un giro di chiglia!”.
Perché?
Poiché, nell’immaginario che lui stesso ha creato di se stesso – oggi
si va per ectoplasmi viventi e saltellanti sul Web, gli impegni politici sono
fanfaluche – c’era soltanto la necessità di rientrare in gioco, non altro.
Quando si è alzato in Senato per parlare, ed esprimere appoggio al
Conte2, era l’avvocato Matteo Renzi che difendeva il nuovo governo nascente ma
senza attaccare troppo il vecchio, perché nei confronti di Salvini non è mai
stato brutale od offensivo: “sono il tuo futuro avversario, ma (per ora) ti
rispetto”, pareva dire.
Renzi sa benissimo che iniziare il gioco delle minacce, del
“stacca/attacca” la fiducia al governo gli darebbe una pessima notorietà: è un
avvocato, sa benissimo quali sono i rischi di un’arringa troppo veemente, come,
del resto, sono avvocati Conte, Bonafede, Toninelli, Bongiorno…e tanti altri.
Solo Salvini non lo è, e si vede: ottimo comunicatore, è una “bestia” da Web come
Di Battista, ma non sa mediare e contrattare un accordo. O sfonda, o perde.
Di Maio, invece, non è avvocato ma non ha nemmeno una comunicazione
molto efficace: ha doti di mediazione naturali (s’è visto nell’accordo con
Arcelor per Taranto) ma, più di tanto, non riesce a combinare: probabilmente,
proprio per questa ragione fu scelto da Beppe Grillo per guidare il Movimento,
un elemento di mediazione che previene scissioni? Probabile: difatti, in tutto
il trambusto che c’è stato, pochissimi hanno lasciato il Movimento e, passato
il momento “clou”, non lo lasceranno.
In definitiva, l’unica strategia di Matteo Renzi, oggi, è quella di
“ereditare” qualche parlamentare (da Forza Italia, principalmente), una è
arrivata dal M5S, qualcuno può darsi si muoverà dal PD o dalle forze di centro
sempre molto “mobili”. Ma, oggi, la sua strategia è attendista: vuole logorare
Salvini sulla lunga distanza, aspettando il momento giusto per avere sufficienti
forze parlamentari e mettere un piede “pesante” nella coalizione di governo.
Quasi sicuramente, quel momento verrà con l’elezione del Presidente della
Repubblica, nel 2022.
Conte, oggi, non ha molte scelte di fronte: ha una buona immagine
nell’elettorato, che sa difendere bene, e dunque sa che – in futuro – la sua
immagine sarà sempre molto “spendibile” per richiamare consensi: la strategia
del governo è di basso profilo. Sparita la contrapposizione a muso duro con
l’Europa, scomparse tutte le velleità “no-euro” e “no-Europa” – sulle quali, in
realtà, nemmeno Salvini premette molto sull’acceleratore, difatti i suoi due
“alfieri” (Borghi e Bagnai) sono sempre rimasti nell’ombra – quindi, molto
della partita sarà vissuta dal governo per ottenere qualcosa di “sostanzioso”
dalla nuova commissione, viste anche le pessime condizioni tedesche.
La strategia di Salvini dovrà essere riveduta, per due ragioni: la
vicenda dei migranti non è molto cambiata, prima arrivavano di nascosto, oggi
arrivano alla luce del sole, però con un accordo europeo di redistribuzione
che, per oggi, è solo provvisorio ma esiste. La seconda è la strategia di
volere elezioni ad ogni costo, che è svanita e, dunque, si tratterà di
correggere la sua esposizione politica e, soprattutto, mediatica, per far
fronte alla nuova situazione. E’ molto difficile cambiare la strategia
d’attacco su tutta la linea di Salvini, la sua totale esposizione mediatica,
perché l’elettorato di Salvini vuole “risultati subito” e Salvini, oggi, non è
in grado d’offrirli.
Difatti, il “boom” elettorale dei sondaggi scende, proporzionalmente
all’esposizione mediatica di Salvini: non sono io a dirlo, bensì Libero, il
quotidiano che gli è più vicino. Ed anche Il Giornale titola più su faccende
europee che sulle vicende italiane, vale a dire glissa, sospende, non
s’azzarda.
Vedremo come se la sfangherà, perché è difficile mutare una strategia
per lo sfondamento in una per l’attesa: è come passare da Germanico a Quinto
Fabio Massimo, e non sempre riesce.
Certamente, il vero sconfitto, oggi, è il M5S che era partito come
colui che avrebbe mutato non la pelle, bensì l’intero organismo della politica
italiana: va bene il taglio dei parlamentari, ma il continuo bisogno di
alleanze (prima la Lega,
poi il PD) per stare al governo cancella molte delle promesse e delle speranze
iniziali. Hanno tentato, fallendo, la via delle alleanze e, oggi, se ne vedono
i frutti.
La sua immagine è appannata, anche il consenso è intorno al 20%: questo
accade a chi promette la luna e, dopo, non può fornirla. D’altro canto, la
stessa parabola che ha obbligato Sryza e poi Podemos ad accettare più miti
consigli e abbandonare le posizioni più estreme.
“Il poco è sempre meglio del nulla”, rammentava
Parmenide…già…però, oggi, nel clamore mediatico del Web, ogni ridimensionamento
è considerato un fallimento, ogni parola data ed impossibile da realizzare un
tradimento. D’altro canto, è la sempiterna vicenda fra chi vuole innovare e chi
desidera, invece, mantenere. E’ la molla che spinge la Storia verso una risultante
che è sempre una mediazione fra opposti, non la volontà rivoluzionaria o
reazionaria. Facciamocene una ragione.
(1) Giro di chiglia: punizione molto usata nella marineria
velica, consisteva nel legare il malcapitato con due funi ai polsi. Poi,
gettato a babordo, veniva recuperato a tribordo compiendo un giro subacqueo
della parte immersa (opera viva). Se sopravviveva…