26 dicembre 2015

Anche i ritardi, a volte, ritornano




Finalmente qualcuno c’è arrivato, ma non per chissà quali ragionamenti o scelte consapevoli: semplicemente, perché sono spariti i soldi, non ci sono più. E, allora, ci si arrangia come si può.
Tutto ciò fa avvertire la propria completa inutilità, in un Paese come l’Italia soprattutto, d’esser stato una cassandra inascoltata e derisa da tutto il mondo politico ed amministrativo. Poteva essere diverso? Da gente affaccendata a succhiar soldi alle banche, per poi chiederli a noi, ci si può aspettare altro? “Non ti curar di lor ma guarda e passa”: già, dobbiamo passare in mezzo ad un mucchio di m...e far finta che sia un profumato roseto. Adesso vi spiego.

La Provincia di Lodi ha finito i soldi. Ma, non doveva finire anche la provincia di Lodi, insieme alle province? Boh...
Cosa fa allora?
Le province avevano delle competenze, principalmente su caccia e pesca, strade, lavoro e scuole (manutenzione degli edifici e spese ordinarie).
Non abbiamo notizie su caccia e pesca, le strade sono lasciate (sempre più scassate) all’abbandono, il lavoro è sparito e la scuola, la scuola...eh, quella sì che dà dei grattacapi...
Perché ogni anno, che piova o faccia sole, bisogna riempire le cisterne del riscaldamento invernale di gasolio, cippato, pellet...eccetera...oppure pagare la bolletta del metano.

Un liceo di Lodi ha accettato la “sfida” (1) – ossia la necessità di risparmiare, visti i chiari di luna sui bilanci – ed ha deciso di chiudere la scuola fino al 10 Gennaio, spegnendo l’impianto di riscaldamento. La Dirigente Scolastica ha comunque garantito le 200 giornate annue d’insegnamento, come prevede la normativa.
E io che c’entro? In due parole ve lo spiego.

Per ricordarmi di quando affrontai la questione, ho dovuto ricorrere a memorie lontane: che automobile avevo? Era il periodo del mal di schiena? Del dentista?
Sono riuscito ad inquadrare gli eventi intorno al 2005, ma potrebbe essere anche un po’ prima...dopo no, e vedremo perché.

Stimolato dai discorsi di un amico termotecnico (purtroppo, già scomparso, era nel “libro nero” del tumore dell’amianto...eh, come passa il tempo per gli umili mortali...gli altri non crepano mai, vedi Gelli) m’accorsi che scaldare le scuole nel periodo delle vacanze invernali era un costo mica da ridere. Lo scrivevo il 14 Dicembre del 2005 (2): ne riporto un breve estratto:

“Quanto si spende per scaldare queste scuole vuote? Ho eseguito un rapido calcolo, considerando cubature medie di 4.500 m3, un coefficiente medio di 50 Kcal per m3/h e la presenza sul territorio italiano di circa 25.000 istituti scolastici. Un calcolo con alcune approssimazioni, ma che conduce a valutare l’importo fra i 200 ed i 250 milioni di euro l’anno...”

Se ci avessero pensato all’epoca, oggi avremmo risparmiato circa 2-3 miliardi di euro: poco, tanto? E’ la stessa cosa: tanto, se li sarebbero mangiati ugualmente in tangenti, cene, viaggi e puttane.

Non contento d’averlo scritto e ben documentato, approfittai di un evento che considerai fausto: alla presentazione di un mio libro, a Prato, sarebbe stato presente un gran farfallone dell’ambientalismo italiano – che tutti, ovviamente, conoscerete – tale Fabrizio Vigni, senese, di professione funzionario di partito. Quale? Ma dai...PCI, PDS, DS...si chiamano ancora così? Non ricordo.

Perché non “passare la palla” ad uno del palazzo, affinché realizzi l’impresa? In fin dei conti, si trattava di una piccola “riforma” a costo zero, anzi, a guadagno certo: un ambientalista serio l’avrebbe senz’altro colta al volo. Ingenuo, vero? Eh sì: ancora credevo di vivere in un Paese normale, mica nel Renzistan!
Così feci. Gli spiegai in due parole l’arcano di spegnere il riscaldamento durante le vacanze...si risparmia tot...per il personale si fa...eccetera...

Mi fissò con due occhi liquidi, da pesce bollito ma senza sale, sfatto: dopo due minuti m’accorsi che aveva una gran voglia d’andarsene, e in fretta.
Ma che vole ‘sto rompihoglioni? Maremma maiala...proprio stasera lo dovevo trovare sulla mi straha? Ciò gli amici o l’amichetta che m’aspettano, per la partita a scopetta o scopone...

Ecco quel che lessi in quegli occhi: l’unica soddisfazione – proprio magnum gaudium – fu leggere che alle elezioni del 2006 fu trombato. Mal me n’accorsi: passò immediatamente nella giravolta dei consigli d’amministrazione delle “partecipate” toscane: fra un bicchiere di Chianti ed una sagra del baccello, il nostro tornò a sedersi in quelle sale anonime dove crescono il grano ed il vino per, allegramente, vignare. Vero Vigni? Eh, nomen omen...

Se avete qualche curiosità, lascio in nota (3) la folgorante carriera del nostro “ambientalista” ed anche un bello “spaccato” dell’ambientalismo “monnezzaro” del PD toscano (tratto dal blog di Grillo) (4) ma tanto, trastullandosi fra l’inceneritore di Scarlino (consigliere) e Sienambiente (ex presidente), il nostro giunge alla pensione (è del ’56) e il prossimo anno – in barba a quelli inchiappettati senza ritegno, avvalendosi di “diritti acquisiti” ad altri negati dalla legge Fornero – andrà ad incassare il frutto di tanto impegno, di tante fatiche, di tanti sforzi compiuti per l’ambiente italiano e dintorni.
Quanto prenderà?

Non lo so: Cicciolina – una sola legislatura – prende 3.330 euro...lui ne ha fatte tre...facciamo un cinquemila? E vai con l’ambiente...
Che ci volete fare...più ne fai e più prendi, sono come Cicciolina, più ne prendi e più soldi fai...e chi se lo prende nello stoppino? Ma dai, non indovinate?

Un ultimo saluto per la Dirigente Scolastica di Lodi – prof.ssa Giusy Moroni – la quale ha avuto coraggio, e gliene rendiamo merito. Nella mia bozza, però, non prevedevo telelavoro o roba del genere, bensì un semplicissimo escamotage: metà delle ore “a disposizione” (come per il personale docente) e metà sarebbero confluite in un “monte” ore da utilizzare nei momenti di maggior bisogno.

Perché – Preside Moroni – entrambi sappiamo che, se hai tre persone in segreteria, nei tempi più “tranquilli” ne basta ed avanza una sola, mentre nei periodi “caldi” – esami, iscrizioni, ecc – ce ne vorrebbero sei.
In questo modo, tutti contenti: il personale ATA che si riposa qualche giorno sotto le feste senza ricorrere alle ferie e lei, che quando ce n’è veramente bisogno, soprattutto per tener aperta la scuola il pomeriggio, non sente più il coro delle lamentele, dei “distinguo”, dei “però la Rossi...”, “ma proprio oggi che ho il dentista...” “e il bambino, a chi lo lascio?”...eccetera, eccetera...che ben conosciamo. Per tacitare i “legislatori”, basta un numero telefonico per le emergenze (sotto Natale?!?) e tutto si risolve.
A volte, le cose semplici sono quelle che funzionano meglio.

Non vede come hanno funzionato per Vigni? Non ha mai fatto niente e, questo res nullius, si porterà a casa un bel gruzzoletto, alla faccia mia, sua e di tutti noi che abbiamo lavorato o ancora lavoriamo.
Capito come si fa?

(4) http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/follonica/2013/11/le-scatole-cinesi.html

10 dicembre 2015

Olive, navi e pensioni









Osservate ben questa fotografia perché non so se si nota chiaramente: a parte le olive abbandonate sulla pubblica via, o quelle che nessuno raccoglierà sulla scarpata, sulla strada si notano migliaia di noccioli. Si tratta della “nuova usanza” di fare l’olio direttamente sull’asfalto: pratica, oltretutto, assai pericolosa, perché passare in moto sopra quel “mix” di olio e minuscoli noccioli è rischioso. Non fa niente: se avrete un incidente, potrete fare causa al Comune il quale (con comodo, ovvio) sarà obbligato a risarcirvi.
Questa è la situazione di chilometri di strade liguri: accanto, ci sono gli oliveti abbandonati con strati d’olive che marciscono, qualche (raro) podere con le reti stese (ma troppo tardi, sotto le reti c’è già una strato d’olive marce) e le cunette per il deflusso dell’acqua intasate da chili e chili di olive.
Ho cercato dotte informazioni sulla situazione olivicola italiana e sono state tutte rassicuranti: tranquilli, ragazzi...sì, in un decennio hanno chiuso i battenti più di 200.000 piccole aziende...ma la superficie coltivata ad olivo è diminuita solo di un’inezia%. Sarà.

Si legge, però, che l’olio d’oliva italiano è solo un ricordo: grazie ai “saggi” provvedimenti dell’UE, soltanto una percentuale inferiore al 10% è sufficiente per qualificarlo come “olio d’oliva italiano”...cioè...olio comunitario con presenza d’olio italiano. Quanto? Ah, difficile dirlo...l’Italia produce circa la metà dell’olio necessario al consumo interno, la Spagna 4 volte l’Italia – ed ha il controllo dei mercati del Nord Africa, Marocco ed Algeria – ma l’olio spagnolo, e quello che diventa tale appena sbarca ad Alicante, è una schifezza rispetto all’olio italiano. Per due motivi: le cultivar, molto inferiori per qualità, ed il sistema di raccolta, che è molto diverso da quello italiano (gli spagnoli “ammucchiano” le olive sotto l’albero, quando hanno terminato la raccolta le portano al frantoio...immaginate che “fragranza”...).
Qui, entrano in gioco i chimici, i quali sono in grado di farvi diventare qualsiasi schifezza almeno accettabile, quanto basta per stare, con accattivante etichetta e smaglianti luci, sullo scaffale di un supermercato.

La questione, però, è un’altra: di tutti gli olivicoltori che conosco, nessuno è sotto i 60 anni, ovvero sono quasi tutti pensionati che...fin che ce la faranno, dicono, poi...qualche santo sarà per il podere e per le olive. Quelle olive pestate sulle strade, però, già raccontano come la pensa il santo.
L’olivicoltura è solo un settore dell’agricoltura italiana: il divario con Francia e Germania è abissale. In Germania, per 8 agricoltori sopra i 65 anni ce ne sono 8,1 sotto i 35, in Francia, per gli stessi 8 agricoltori ce ne sono 7,9 sotto i 35: c’est pareille, direbbe un francese. In Italia, sempre riguardo a quegli 8 agricoltori over 65, ce n’è solo uno sotto i 35 anni: un divario abissale.
Le ragioni? Decenni di disinteresse, tagli verticali ed orizzontali ad ogni sostegno, menefreghismo da parte di tutte le parti politiche...chi se ne frega della terra? Pare che la terra produca così, da sola, semplicemente guardandola.

Per le olive, tanto per citare un dato, molti anni fa c’era un sussidio di 1000 lire (o 1 euro, non ricordo) per ogni litro d’olio che usciva dal frantoio: era poco, ammettiamolo, ma il costo di molitura, almeno, lo pagava lo Stato. Il quale, in questo modo, aveva anche dati precisi per quanto riguarda la produzione italiana...adesso? Tutto sta in quel che dichiarerà il frantoio il quale, beninteso, fra qualche settimana (conclusa la raccolta), riprenderà in mano le sanse che ogni olivicoltore ha lasciato, le sottoporrà ad una nuova estrazione intorno ai 60° – la prima è sui 28°, il cosiddetto “olio a freddo” – e venderà, poi, l’olio extra vergine super a freddo incontaminato con garanzia biologica che gli allocchi correranno a comprare, a costi superiori ai 10 euro il litro. Quindi, estraendo nuovamente quasi all’ebollizione, verrà fuori una delle tante schifezze che i chimici metteranno a posto.
I chimici? Questi novelli maghi della frode? E che ci possono fare...fanno il loro mestiere, sono altri che dovrebbero spiegare perché ordinano loro di “nobilitare” certe schifezze.

Molti anni or sono, mi venne ordinato di valutare il contenuto di acido oleico (ossia se c’erano state sofisticazioni con altri oli non d’oliva) nell’olio di una grande marca: mi misi al lavoro – per gli addetti: saponificazione, idrolisi acida, estrazione dell’acido oleico, rotazione, mediante Mercurio, cis/trans del doppio legame e trasformazione in acido elaidinico (solido), pesata finale – e vidi che il risultato era circa il 50% di quello atteso, ossia del titolo in acido oleico che avrebbe dovuto avere quell’olio d’oliva.
“Professore, devo aver sbagliato...mi viene la metà del previsto...”
Il professore solleva gli occhi dal giornale “No, Bertani, è giusto, è giusto così...”
“Ma come, la metà!”
“E dai, Bertani, dattela...non farmi dire altro va...il voto sarà alto, tranquillo: consegni il risultato?”
Oggi, dopo aver fatto un poco il contadino, capisco perché il mio olio è denso e verde, mentre quello della “grande marca” era (ed è) una bagnarola giallognola.

Non voglio, però, tediarvi oltre perché il “Fatto Quotidiano” ha recentemente pubblicato una lunga inchiesta (più articoli, che tutti potrete trovare facilmente) sulle frodi in campo oleario: sono le implicazioni sociologiche che m’interessano e ci torneremo. Andiamo avanti.

Proseguendo su queste strade dell’interno, ciascuna con il suo “tappeto” di noccioli d’oliva, si giunge alla periferia della grande Genova: Sestri, dove c’è l’aeroporto e ci sono i cantieri navali Fincantieri – ultimo ricordo dell’IRI – i quali, insieme al Muggiano, Riva Trigoso, Castellammare, Palermo e Monfalcone sono le principali sedi italiane. All’estero, Fincantieri lavora anche in Norvegia, Romania, Croazia, USA, Brasile, India, Emirates e Vietnam: ovviamente, con una galassia di compartecipazioni ed accordi commerciali d’ogni tipo.
La loro specialità?
Navi da crociera costruite con un sistema modulare che all’estero c’invidiano, perché i moduli vengono costruiti a terra e poi assemblati sulla nave, con precisione millimetrica: un lavoro di grande perizia e precisione, per i progettisti e per le maestranze. Non disdegnano poi di costruire portaerei, fregate e sottomarini, ma anche comuni navi mercantili, soprattutto nei cantieri delle “controllate” estere.
Come va Fincantieri?

Per dare una risposta sensata bisogna prima valutare il sistema di riferimento: gli ordinativi sono al loro massimo storico e, dunque, sono necessari aumenti di capitale per far fronte all’espansione del lavoro conseguente alle commesse. Almeno, in un’economia sana così stanno le cose: hai più ordini e lavoro? Devi acquistare più materiali e pagare più maestranze? Ti servono dei capitali, che saranno remunerati con gli utili. Invece, pare di no: “Crisi di Fincantieri”, “Problemi a Fincantieri”, eccetera...questi sono i titoli sulla stampa.
Perché?

Poiché l’unico fondo ancora nelle mani (parzialmente) del Tesoro è la Cassa Depositi e Prestiti, ossia la cassa che riceve il risparmio postale ed essendo Fincantieri ancora in mani statali, è giocoforza prenderli da lì.
Ci sono, però, due ragioni che s’oppongono a questa semplice soluzione – prestarli ad un’azienda che ha un portafoglio ordini come quello di Fincantieri non è come darli alla banche, dal Monte Paschi in poi, che s’è “beccato” subito la prima rata dell’IMU da 3,9 miliardi, per poi restituirli e creare un “buco” di bilancio di 5 miliardi (1), ossia peggio di prima – però, proprio per questa ragione, tutti gli avvoltoi bancari e finanziari sono contrari a finanziare del semplice “lavoro”.
Oddio, questi parvenu...perché non investirli sui future del petrolio che promettono così bene? Compro petrolio per 5 milioni di dollari stasera...domani li rivendo ad un centesimo di più ed o guadagnato 50.000 dollari! Perché bisogna lavorare? Salvo poi, quando il giochino non riesce, scaricare tutto sulle spalle degli azionisti – a volte circuiti, altre inconsapevoli: ho amici che mi hanno raccontato i raggiri per poi fare loro firmare le famose “obbligazioni subordinate” – ed oggi si osserva una cosa mai vista: per sanare i folli giochi dei banchieri, si prendono i soldi delle persone. Anche quelli di chi ha un conto sopra i 100.000 euro? Il governo deve decidere.

La seconda, è che tanti aspettano una privatizzazione di Fincantieri – i francesi ci provano dai tempi di Ateliers et Chantiers de Normandie – per “buttarci un piede” e poi...chissà...insomma, se questi rastrellano commesse ovunque, e poi non hanno soldi per costruirle...e se premessimo sui politici italiani e sulle banche di riferimento? Eppure, Fincantieri resiste (ed “esiste”) proprio per la tenacia della sua dirigenza e per le alte qualità delle maestranze: oggi, sono i francesi a temere una “cannibalizzazione” da parte italiana.
C’è dunque una convergenza da molte parti su Fincantieri: basta “consumare” risorse! Il governo vuole avere libertà sulla Cassa Depositi e Prestiti per gestire i suoi affari – debito, “mance” elettorali, buchi di bilancio, ecc – insomma: ma cosa vuole questa gente? Lavorare? Eh sì, ma per lavorare ci vogliono soldi...in mano alle banche, investiti sui mercati emergenti, rendono di più...(quando rendono).

Il paradosso del “turbo” capitalismo – che assomiglia molto all’imperialismo di leninista memoria: vedi le guerre e le imprese neocoloniali – è che il denaro deve rendere profitti nel minor tempo possibile, e il lavoro ne richiede troppo. Ma – direte voi – per fare soldi bisogna che qualcuno produca (ossia lavori) ma per questo ci sono le economie emergenti...non la Cina o l’India, no...oramai si parla d’Indonesia...200 milioni di potenziali lavoratori...gente che lavora per un pezzo di pane...e cosa credete sia l’Ucraina, una semplice storia di missili? Per averli 500 chilometri più avanti quando la loro gittata è di 15.000? No, l’Ucraina è un posto dove, attualmente, la gente lavora per il corrispettivo di 100 euro il mese: piatto ricco, mi ci ficco! Solo che, lassù, è roba per i tedeschi, che non vogliono altri rompiscatole. Sentito parlare di Lebensraum d’hitleriana memoria?

La soluzione da trovare riguarda le popolazioni: come si può fare per tenere buona gente che non ha un reddito sicuro, o scarso, o nullo? La soluzione l’ha suggerita, a suo tempo, George W. Bush: lo stato sociale “caritatevole”, il welfare della mano tesa. Se non basta, ci sono i lacrimogeni e, se non bastano i lacrimogeni, si spara. Si noti: Padoan (sul decreto “Salva banche”): “non daremo rimborsi, bensì aiuti umanitari”. Carità.
L’Italia è straordinariamente avanti su questa strada, poiché è l’unico Stato europeo a non avere separazione fra assistenza e previdenza. Non c’è mai stata! Ci ha sempre pensato e ci pensa l’INPS!

Pensioni, sussidi, cassa integrazione, mobilità, pre-pensionamenti...tutto nel gran calderone di Tito Boeri! E il governo, grazie alla “riforma” dell’INPS cominciata da Tremonti – ossia la soppressione di qualsiasi controllo interno sull’attività dell’ente – può fare tutta la “carità” che vuole, compresa la carità “pelosa” in tempo d’elezioni!
Sulla “anomalia” italiana – negli altri Paesi l’assistenza ricade sul bilancio statale – c’è un vulnus giuridico enorme, lapalissiano: come si fanno a con-fondere due diritti, quello previdenziale (individuale) e quello all’assistenza (collettivo)? Soprattutto in tempi di sistema contributivo, quando “prendi quel che versi”, ma cosa “prendo”...il “mio” meno la cassa integrazione di qualcuno, il “mio” meno la mobilità di un altro...che senso ha?
Invece, in Italia, si prende una cassa qualunque e, con essa, si finanzia l’assistenza: domani potrebbe toccare alla Cassa Depositi e Prestiti...basta che ci siano soldi da rastrellare...ricordate le famose “cartolarizzazioni” di Tremonti? Ovvio che hanno lasciato buchi di bilancio enormi, perché era sbagliata la premessa di vendere il Colosseo (cartolarizzandolo) per far quadrare il bilancio.

D’altro canto, quando un Paese vive per anni governato da una classe dirigente completamente fuorilegge – non perché dichiarato dall’Arcivescovo di Costantinopoli, ma dalla sua, stessa Corte Costituzionale! – cosa c’è ancora da spiluccare sul fronte del Diritto? Sono degli abusivi, dei portoghesi (in senso calcistico), dei falsari...gente che andrebbe giudicata e condannata, non osannata e riverita!

Il tirapiedi che hanno sistemato all’INPS, adesso, lancia allarmi ai giovani – andrete in pensione a 70 anni! Con 350 euro! – nella speranza che gli diano una mano non per “tagliare le unghie” alla classe politica & aggregati, che fanno il “sacco” della provvista previdenziale, ma a coloro che prendono una pensione di 2.000 euro (lordi) – 1.600 netti – per portare anche questi nella fascia di povertà. Poveri è bello, soprattutto dopo aver lavorato una vita.
D’altro canto, la Corte Costituzionale ha già sancito la correttezza che gente come Amato incassi 31.000 euro e rotti il mese e che Ilona Staller (Cicciolina) prenda più di 3.000 euro per una sola legislatura, sponsorizzata da Pannella. All’epoca, gliel’avrà data? Mah...

Il problema di Boeri è recuperare (al voto, al consenso, ecc) quella larga fascia (milioni di persone) che è rimasta nel “limbo” della riforma Fornero: ossia coloro che, oggi, hanno dai 60 ai 66 anni: ah, se potesse dare loro qualcosa (sempre nell’ottica caritatevole di Bush II) e portarli a Renzi in dono! Perché Renzi un po’ disperato lo è: mica per nulla fa gli occhi dolci alla mafia siciliana per il Ponte sullo Stretto, che è ricomparso dal libro dei sogni! Altrimenti, non basta più Berlusconi come soccorso in Parlamento...B. oramai se ne frega, basta almeno “vederla” ogni tanto, bei tempi quelli del bunga-bunga...e non ce la fa più a tenere insieme che qualche voto...qui, il M5S va a vincere! (Poi, vedremo cosa saranno capaci di fare...)

Così, il buon Boeri s’è studiato di tagliare le pensioni più “ricche” – ossia di quelli che almeno campano – per fare una sola classe di pauperes, quelli dai 500 ai millecinque: dai tremila-quattromila in su bisogna lasciarli tranquilli...eh, sono quel che rimane dell’elettorato di Forza Italia...
Combinate i dati che abbiamo citato.

Le olive non s’hanno da raccogliere, perché ci conviene di più fare affari con gli spagnoli & company – e si dimentica che in Francia si va ancora in pensione a 61-62 anni, ma molti non sapranno che la Francia è principalmente un Paese agricolo, non industriale – mentre le navi non sono da costruire perché costa troppo fornire capitali a Fincantieri, quei soldi ci servono per tamponare mille altre cose...comprese le pensione d’oro a migliaia di persone, altrimenti si crea un buco di bilancio.
E, per risolvere l’arcano, si tagliano (con la scusa del contributivo, come se i boiardi di Stato avessero versato tutti quei contributi!) le pensioni intorno ai 2.000 euro (lordi) e si fa un po’ di carità (Bush II) a coloro che vanno avanti a pane e latte.

In altre parole, ci si dimentica di un assioma dl capitalismo “sano”: investimento di capitali, maestranze, materie prime e lavoro. Quindi, profitti e salari, sui quali poi si va a discutere per la loro divisione, ma quella è ancora una discussione “sana”, perché basata su ricchezza creata, non sulla fuffa.
Non si capisce più quale tipo di capitalismo sia quello di Renzi & Co...capitalismo “magico”? “stordito”? “fantasioso”? “deliquescente”? “brigantesco”? Ma lo sapranno quali sono le regole del capitalismo?

Tutto bene? Ok, magari ci salta fuori anche il Ponte sullo Stretto: avanti tutta!