29 luglio 2014

il ponte della concordia


Mentre a Gaza gli israeliani massacrano deliberatamente (job is usually, la scadenza è bi o triennale) bambini israeliani, oppure si disserta sulla futura guerra mondiale sui confini orientali europei di là da venire o, ancora, si riconosce che Schettino ha fatto meglio di Renzi – lui sì che ha creato migliaia di posti di lavoro, altro che Bangladesh o Turchia per la demolizione della Concordia – anche qui a Savona (nel suo piccolo, ovvio) si lavora alacremente per costruire e demolire, com’è d’uso oggi – nel fulgore dell’iperliberismo – per fare i soldi.


Qui, i dollaroni si fanno costruendo ponti e demolendo quelli vecchi. Che male c’è, direte voi. Aspettate.



Intanto, scorporiamo i ponti romani perché quelli, da duemila anni, se la ridono e campano d’ottima salute: con le loro “schiene d’asino” al vento di Tramontana, osservano i poveri ponti moderni che le alluvioni si portano via.

Il problema, quando per un po’ di anni non vengono alluvioni e Giove Pluvio sta calmo, è come costruire ponti nuovi! Altrimenti? Gli appalti? Come avevo preannunciato, si demolisce.

Cosa si demolisce? I vecchi ponti, ovvio. Già, ma quelli antichi stanno in piedi per secoli, quelli di qualche decennio crollano da soli quando c’è un’alluvione...non rimangono che i ponti nuovi.



Il ponte nuovo che andrà demolito è un modesto ponticello levatoio che conduce da una riva all’altra del vecchio porto, sfruttando un punto dove le acque si restringono: il guaio è che ha solo 16 anni. E’ scassato? Fatiscente? Non funziona?

Niente di tutto questo: non va bene per i disabili.

Costruite i montascale! Ci sono già, ma non funzionano.



A questo punto, le persone con ancora un po’ di sale in zucca se la sono grattata: chiamate la ditta e fateli riparare...no, “non vale la pena”. Riparare due montascale per le carrozzelle?!?

Gratta gratta e la verità salta fuori.



I croceristi della Costa si sono lamentati perché devono trascinare i trolley su per l’ardua scalinata del ponte: ben trenta scalini! Ma si sa: Costa chiama e Casta risponde. Come sa fare, ovviamente.



A parte tre quisquilie:

a) i croceristi della Costa arrivano in gran parte a Savona con gli autobus, quelli che arrivano via treno trovano il bus navetta. Insomma, è solo qualche turista “fai da te” che si trova quella specie di “Everest” da 30 scalini, che comunque possono evitare facendo il giro della darsena, 500 metri.



b) Non è, per caso, che è possibile costruire sull’altro lato dove non ci sono i montascale due “monta-trolley”?



c) A chiudere il porto, hanno costruito un mega-palazzo a forma d’anfiteatro con scaloni (per arrivarci) veramente mozzafiato: lì, nessuno fa questioni di handicap. Tanto non c’è nessuno: la costruzione megalitica è praticamente vuota – adesso, visto che è stato un fallimento immobiliare, ne costruiscono un’altra – come il grattacielo che osservate sullo sfondo: costo di un appartamento di 3 stanze, 1,3 milioni di euro. Mia figlia l’ha ribattezzato “La tomba di famiglia più grande del mondo”.



La soluzione trovata è stata di costruire un secondo ponte e demolire il primo: tutto normale, niente da dire, i soldi li ha messi l’Ente Porto e via così. Ma chi comanda all’Ente Porto? Le solite propaggini della Casta.



Veniamo ai conti.

Il nuovo ponte (che potete osservare nella fotografia sullo sfondo, dove c’è la ruspa gialla ferma) fu appaltato ad una ditta di Parma per 1,2 milioni di euro. Il vecchio, generosamente, lo regalarono al Comune che fece marameo, così ci saranno anche 200.000 euro per la demolizione.

E veniamo ai tempi.

Il nuovo ponte è “partito” nel 2012, doveva essere pronto nella Primavera del 2013, ma...

All’inizio del 2013, la Cometal di Parma (ditta vincitrice dell’appalto) presenta i libri in Tribunale e la procedura fallimentare impone lo stop a qualsiasi attività fino a Giugno 2013. Attualmente, sembra che i lavori dovranno riprendere, ma...nel guazzabuglio delle carte, della gare d’appalto e tutto il resto nulla è certo...insomma, il solito pasticcio italiano.



Dulcis in fundo, quando sarà terminato, il nuovo ponte sarà molto basso sull’acqua ed avrà un “tirante d’aria” (lo spazio fra la superficie del mare ed il piano del ponte) insufficiente per far passare anche le barchette da pesca. Prima, invece, con il “vecchio” ponte levatoio, era necessario aprirlo solo quando transitava una barca a vela oppure un grande cabinato.

Siccome, in passato, ci sono state polemiche sulla “solerzia” di chi doveva aprire il ponte...apriti cielo, quando dovranno aprirlo ogni mezzora!



Chissà perché, gli inglesi costruirono il Tower Bridge in 8 anni e lo inaugurarono nel 1896: il ponte, dopo numerosi ammodernamenti, è ancora oggi un elemento importantissimo per il traffico stradale e quello fluviale.

Soprattutto, non ci sono pazzi in giro che lo vogliono demolire per far posto ad un ponte girevole: quello di Taranto è molto diverso per funzione, poiché usato soltanto per far transitare dal Mar Piccolo al Mar Grande (e, quindi, al mare aperto) le grandi navi della Marina Militare o poco altro. E’ l’unico in Italia.



Dopo questa istruttiva storiella (tutta verificabile, basta buttare due parole su Google) ci rendiamo conto del livello organizzativo/amministrativo della nostra classe politica, locale e nazionale?

Tralasciando che erano fondi dell’Ente Porto, con quei soldi si sarebbe potuto fornire – per un anno – un reddito di cittadinanza (o di disoccupazione) di 500 euro mensili per 233 persone.

Perché “il ponte della concordia”? Perché – almeno fino a quando qualcuno non ha cominciato a ridere loro dietro – erano tutti d’accordo, destra, sinistra, alto, basso, ex di tutte le parti...non so come abbia votato (se era già in Comune all’epoca) il M5S, immagino contro, gli unici.



Questa vicenda potrebbe addirittura essere definita banale – 1,4 milioni di euro – poiché gli scandali ai quali ci hanno abituati sono colossali: l’EXPO, il Mose, la TAV e tutto il resto di grandi dimensioni.

Però sono tante ruberie: una per ogni città, piccole o grandi che siano, ci sono le piccole e le grandi corruzioni. Riflettiamo che, quando per far soldi si giunge a demolire ciò che funziona col solo scopo d’avere la possibilità di un nuovo appalto, abbiamo superato Kafka, probabilmente anche Orwell, giacché nessuno fiata.



Cadono come la neve, su di noi, nuove teorie economiche “facili” e risolutive: m’astengo dal commentarle perché non sono un economista, però non ho gran fiducia nei miracoli. Ad esempio: il reddito del signoraggio può essere goduto da due soggetti diversi, ossia dalle banche private oppure dalla banca statale pubblica. Già: e chi governa la banca pubblica? I cognati, i figli, i fratelli, gli amici di quelli che fanno i MOSE, l’EXPO e via discorrendo.



Altri economisti sostengono che la situazione italiana è senza sbocco perché il prelievo truffaldino (il teorema di Craxi, su ogni appalto il 30%) è troppo alto e ampio, diffuso sul territorio. Ciò ha condotto il rapporto debito/PIL al 135%. Perché le cosiddette “riforme” di Monti non hanno dato nessun frutto? Poiché, parallelamente all’aumento dei gettiti (Equitalia, leggi Fornero, ecc) sono aumentati gli appetiti. In altre parole, ci hanno tosati per far soldi: la Casta, nessun altro, ha goduto.



Si torna da capo: come sbarazzarci di questa gentaglia che s’è impossessata del potere e lo sta consolidando, grazie a manovre di palazzo che esauriranno qualsiasi spazio di democrazia? Siamo tornati ai “senatori” (e deputati) “del Re”, in una situazione ben peggiore del 1861, quando nacque il Regno d’Italia. Paradossalmente – se i senatori erano di nomina regia – almeno i deputati erano eletti (con modalità diverse da oggi, si rifletta sul non voto alle donne), però qualcuno li sceglieva.



Per qualche tempo s’è pensato che il M5S ce l’avrebbe fatta a sgominare la Banda Bassotti al potere, invece la Banda ha serrato i ranghi ed ha messo in difficoltà il M5S stesso, poiché digiuno di politica. Quando hanno iniziato a “macinare” meglio ciò che succedeva, oramai l’asse di ferro fra il PD e Berlusconi era cosa fatta e non ci sarà più spazio per nessuno.



Ci vuole un “cambio di passo” all’interno del movimento stesso, un mutamento lento e sostanziale: non servono le chiamate alle armi e nemmeno le sterile polemiche, anche se condite con molto umorismo.

Se si desidera andar oltre, e fare in modo che un plafond più ampio della popolazione comprenda, bisogna iniziare a presentare situazioni, problemi, malgoverno, idiozie, ecc...ed indicare le soluzioni.

A fianco del “popolo” incazzato del M5S, servono persone esperte che sappiano indicare le soluzioni dei problemi: basta con ‘ste teorie monetarie che un altro contesta e non si giunge mai alla fine. Meno Wall Street e più Main Street.



In tutta Europa (mettiamo il naso fuori, ogni tanto) non si discute sulla forma di governo o su quella delle assemblee elettive: si dà per scontato che le assemblee sono elette – con preferenze – da apposite liste. Sbagli le persone che metti in lista? Perdi voti.

In Europa il dibattito che tiene banco è (soprattutto dopo Fukushima) quello dell’energia, accoppiato al clima, che sembra mutare con una velocità impressionante. Vi siete accorti che il 2014 sarà un anno senza Estate? Un altro dibattito è la produzione agricola, gli OGM...per noi italiani sarebbe meglio riflettere sulla principale industria italiana, il turismo.



Tutto questo deve essere presentato, spiegato, scritto per gli italiani dal M5S – perché è l’unica forza politica in grado di farlo – e allora i consensi non saranno più “ballerini” e non soffriranno per il mutar del vento politico, per i bei faccioni dei giovanottoni simpatici che piacciono tanto, oppure per le belle donnine che li circondano. Che, a volta, fanno addirittura i ministri.



Smontare e rimontare una cultura di governo, è l’unica strada da seguire: ci vorrà tempo, certo, ma non vedo altra soluzione.

21 luglio 2014

Un copione già visto


L’abbattimento dell’aereo di linea della Malaysian Air Line è uno di quei casi che terranno banco per molto tempo, e così scivoleranno nella Storia con le pantofole di velluto, senza disturbare nessuno: a differenza dell’altro incidente dell’8 Marzo – quando un aereo scompare, pare riapparire per poi scomparire del tutto (a ben vedere, un nuovo copione) – l’aereo caduto in Ucraina ha un illustre precedente, ossia Ustica.


Di tutta la tragedia restano tre vagoni refrigerati carichi di morti, di pezzi di morti, di bambini dilaniati: tutta gente che – almeno – non dovrebbe aver sofferto giacché l’improvvisa depressurizzazione dovrebbe aver almeno fatto perdere loro i sensi. Speriamolo, per quella gente innocente.



Visto che, attualmente, siamo preda della disinformazione più bieca, mentre saltano fuori sistemi missilistici, alquanto vecchiotti, che pare – e sottolineo pare – non abbiano agganciato il missile al radar d’inseguimento, basandosi solo – per il lancio – sul radar di scoperta (come abbia fatto, allora, a colpire rimane un mistero) oppure pochi fotogrammi di un sistema SA-11 che rientra in Russia con un missile mancante (io, confesso, dalle immagini non l’ho notato) o ancora una bella chiacchierata fra miliziani ed ufficiali russi dove confessano in diretta planetaria d’aver abbattuto un aereo civile.

Come se i servizi russi ed ucraini non parlassero la stessa lingua, non conoscessero come il proprio palmo la disposizione delle forze avversarie, gli ucraini non avessero anch’essi in dotazione l’SA-11...qualche fotogramma d’archivio ce l’hanno tutti...la giustificazione per il missile che non ha rilevato l’IFF del Boeing (If Friend or Foe, ma nei modelli civili è chiamato transponder) perché non ha agganciato il missile al bersaglio. Va beh, tutto fa brodo: un missile viene lanciato alla cieca nel cielo e, 10 km più in alto, colpisce un aereo civile. Mah.



Nelle primissime ore, qualcuno aveva menzionato anche la contemporanea caduta di un aereo militare, poi sparito nel tritatutto dell’informazione usata come arma: per subissarti di input e non darti il tempo di ricostruire nessun puzzle.

Forse, quel caccia scomparso – del resto, nel silenzio più assoluto dei media, gli ucraini bombardano ogni giorno i separatisti con i loro velivoli – racconterebbe più cose di tante notizie frullate alla svelta e presentate nei Tg all’ora di cena. Se esiste per davvero, ovvio.

Dobbiamo, però, prima fare un salto all’indietro, al momento della “separazione”.



Che la Crimea prendesse la via della Russia non era un mistero per nessuno: le basi della Flotta sono tutte lì, la popolazione è in gran parte d’etnia russa (sempre per la stessa ragione, sono marinai e tecnici di manutenzione della grande flotta del Mar Nero) che si spinge, talvolta, nel Mediterraneo facendo base a Tartus, in Siria.

A dire il vero, i russi avrebbero l’alternativa di Nikolaev – sulla costa est del Mar Nero – ma, da sempre, Nikolaev è un enorme cantiere di costruzioni navali: sarebbe difficile farci stare anche la base per una flotta.



Se qualcuno riteneva che la questione fosse conclusa con la Crimea (tacitamente accettata dalle diplomazie internazionali) c’era un altro “bubbone” che sarebbe scoppiato: l’ho sempre sostenuto e (forse) anche scritto tempi addietro, il Donbass.

Il Donbass è un’area ricchissima di carbone (e, pare, anche di gas e petrolio), abitato da etnie prevalentemente russe, che mal hanno accettato la “nuova” Ucraina, ritenendo la “fratellanza” con la Russia di primaria importanza.

Del resto, sono popolazioni di confine – alcuni con doppio passaporto – oppure russi trasferitisi lì al tempo dell’URSS: insomma, questi hanno tutto da guadagnare a stare dalla parte del più forte (oltre che a sentirsi parte della nazione più forte) ed abbandonare il Paese che si regge sul lavoro all’estero degli emigranti.

Da qui, la guerra: prima strisciante, poi guerreggiata.



E torniamo agli strani parallelismi con Ustica.

Sul cielo di Varsavia, mezzora prima della tragedia, s’incrociano l’aereo presidenziale di Putin ed il Boeing della Malaysia Air Line: questo è un dato di fatto, certificato dai controllori di volo polacchi. Ovviamente, le rotte sono diverse: l’IL-96 torna dai Carabi ed è diretto a Mosca, l’altro è partito da Amsterdam e va in Malesia.

Se osservate una cartina dell’area, potrete notare che l’aereo di Putin non sorvolerà mai l’Ucraina, avendo come rotta quasi una retta che lo conduce verso Minsk, nel Belarus, e poi direttamente a Mosca. I velivoli, spesso, sono obbligati a volare all’interno delle aerovie e, quindi, non possono sfruttare a pieno i vantaggi di una rotta ortodromica. Al più, lo fanno sugli oceani o sulle rotte polari.

Il Boeing, invece, riceve l’assenso a volare per “waypoint diretti” e – diretto a Kuala Lumpur – scende verso Sud-Est allontanandosi dall’aereo di Putin, che continua su una rotta grosso modo ENE.



Chi scorta gli aerei dei Capi di Stato?

Dentro lo spazio aereo nazionale, i velivoli militari: e fuori?

Sono trattative complesse, delle quali quasi nulla viene a galla: normalmente, in ogni spazio aereo nazionale sono i caccia della nazione a doverlo scortare, ma ci sono tutta una serie di “se” e di “ma” ed il lavoro di preparazione di una missione all’estero richiede settimane di lavoro e di contatti per i servizi addetti alla sicurezza.

Torniamo indietro qualche secondo ad Ustica.



L’aereo di Gheddafi – che si recava a Varsavia per una riunione ad alto livello – decollò da Tripoli (o da Misurata) scortato dai caccia libici e fu preso in consegna, al limite delle acque territoriali italiane, da due F-104 per la scorta. I caccia libici tornarono indietro ma furono sostituiti da altri velivoli che decollarono da Misurata: Gheddafi aveva probabilmente ricevuto qualche avvisaglia di ciò che stava per accadere, e non si fidava.

Il compito dei due F-104 era di scortare l’aereo presidenziale fino allo spazio aereo austriaco, dove sarebbe stato preso in consegna dagli austriaci. Ma successe il patatrac.

Aerei francesi decollarono dalla base presso Bonifacio (in Corsica) e ci sono testimonianze dei decolli ravvicinati di quel pomeriggio, quasi si trattasse di una guerra. Degli americani non si hanno notizie certe, ma durante il “ripescaggio” del relitto del DC-9 vennero a galla anche pezzi di Phantom mai meglio identificati. I Phantom erano in dotazione alle portaerei della VI Flotta.

L’aereo di Gheddafi fece dietro front e tornò in Libia a tutto gas (questa è una delle ricostruzioni) ma la seconda scorta rimase: così prese inizio la famosa battaglia aerea di quel giorno: non si sa se il DC-9 Itavia fu abbattuto volontariamente da qualcuno che lo ritenne l’aereo presidenziale, oppure se il disgraziato aereo “agganciò” per sua sfortuna un missile all’infrarosso destinato ad altri.

Questa non è una ricostruzione di fantasia, ma nemmeno pretende d’essere verità distillata: dopo 34 anni di “muro di gomma” si è addirittura perso memoria del giorno in cui cadde il Mig libico sulla Sila!



Torniamo all’oggi.

L’aereo di Putin può essere scortato sopra il Belarus da caccia russi: ma prima? C’è da fidarsi (dopo l’incidente di Katyn) di una scorta polacca?

In ogni modo, nella fase finale del volo la rotta dell’IL-96 rasenta il confine ucraino ad una distanza di circa 50 miglia nautiche: cosa può essere successo in uno spazio così ristretto per velivoli che volano a Mach 2? Anche nulla.

Nella confusione generale, però, qualcuno può aver inserito un’informazione errata nel sistema (per errore o di proposito, non lo sapremo mai) – il Boeing malese, oramai, si trova a centinaia di miglia dall’IL-96 – però qualcuno può averlo ritenuto l’aereo di Putin proprio a causa di un input sbagliato.

E c’è una verità tangibile e verificabile: qualcuno ha agganciato l’aereo al suo radar di tiro (a terra od in volo) ed ha premuto il pulsante, questo è innegabile.



Pazienza: fra cinquant’anni ci diranno che fu un’esplosione in volo, oppure una bomba, anche da quelle parti hanno ottimi produttori di gomma per costruire muri. Persino migliori dei nostri.