28 febbraio 2011

A future macerie



Oggi nevica, ed entro alla prima ora: rapido sguardo alla strada, e noto con piacere (sic!) che lo spartineve – come sempre – non s’è visto. Sarà colpa del “federalismo” che non arriva: dopo, ci saranno decine di spartineve in azione, come no.
Da un paio di giorni, ho un fastidioso dolore reumatico alla spalla destra, che quasi m’impedisce di volgere il capo da quella parte: sarebbe un ottimo motivo per stare a casa a curarlo, giacché guidare su una strada innevata, senza poter vedere rapidamente chi c’è alla tua destra, non è il miglior viatico.
Eppure, penso che i ragazzi hanno cominciato il loro viaggio in pullman proprio mentre m’alzavo dal letto: mentre uscivo dal caldo delle coltri, loro erano già appostati alla pensilina dell’autobus, sperando che non fosse in ritardo. E, magari, s’erano già fatti un po’ di strada sotto la neve: sono giovani, non è una tragedia.

C’è, però, in quelle scelte – la mia di prendere la macchina e guidare sotto la neve e la loro, di correre a prendere l’autobus con il gusto del caffelatte in bocca – qualcosa che si chiama, semplicemente, senso del dovere. Non so se sono riuscito a spiegarmi e se lei, signor Presidente del Consiglio, è in grado di capirmi.
Svolgo due ore di lezione, poi ho un’ora a disposizione ed apro un giornale sul Web: c’è la sua dichiarazione – Signor Presidente del Consiglio – nella quale afferma che si deve “essere liberi” di mandare i propri figli in altre scuole, che non siano la scuola di Stato.
Perché?
Poiché nella scuola si Stato ci sono insegnanti che “vogliono inculcare principi che sono contrari a quelli che i genitori vorrebbero inculcare nell’ambito della loro famiglia.” Sono parole sue.

Ma Lei, fra un bunga bunga e l’altro, si rende conto di quel che dice? Ha ancora padronanza del linguaggio? Deve ricorrere alla perpetua correzione da parte dei suoi avvocati, questa volta dell’avvocato Gelmini? Si rende conto d’aver detto una bestialità senza senso?

Premettendo che, da allievo, frequentai entrambe le scuole, quella privata cattolica e poi quella pubblica – e che non metto in dubbio l’esistenza della scuola privata, nell’ambito di quanto previsto dalla Costituzione “…senza oneri per lo Stato” (art. 33) – le confesso che ci furono, per entrambe, pregi e difetti.
Se guardiamo alla preparazione scolastica, forse la scuola privata mi fornì un maggior bagaglio di conoscenze, ma la scuola pubblica m’aprì le porte della vita. Nella scuola privata cattolica si tende a creare un ambiente super-protetto, nel quale l’allievo/a non viene mai a contatto con idee, posizioni ed opinioni diverse da quelle dell’Istituto. Nella scuola pubblica, va come va, secondo chi incontri: e, la vita, è proprio così, una serie d’incontri diversissimi l’uno dall’altro, nei quali bisogna saper scegliere.

La persona che frequenterà un intero percorso – fino all’Università Cattolica – nella scuola privata cattolica, rimarrà sempre all’interno di quel sistema di valori: attenzione, ciò non significa che non si possa essere cattolici al di fuori di quella scuola. Qual è la differenza?
Un cattolico che ha vissuto nella scuola pubblica si troverà, talvolta, a dover confrontare le sue opinioni e lo farà: quante volte ho assistito, da studente e da docente, a confronti e discussioni in tal senso! Dove sarebbe il pericolo?
La persona che, invece, frequenta per tutta la sua vita scolastica solo l’ambiente cattolico, non sarà preparato al confronto, perché gli/le mancherà l’abitudine a farlo: tenderà, inevitabilmente, ad essere dogmatica e ad accusare chi ha opinioni diverse d’essere un miscredente o, come lei ripete spesso, un “comunista”.
Ed è, esattamente, quello che le persone come lei desiderano.

Ancora ricordiamo quell’afflato che le sfuggì di bocca in un confronto televisivo con Romano Prodi – proprio una “voce dal sen sfuggita” – nella quale, candidamente, affermava che il figlio dell’operaio no, non poteva reclamare gli stessi diritti del figlio dell’imprenditore. Salvo che, la Costituzione, all’art. 34 – per quanto riguarda l’istruzione – proprio questo prevede “I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Già, ma la Costituzione è da cambiare, è vecchia, è da rottamare…meglio la “Costituzione materiale”, quella che lei scrive e cancella ogni volta che ne ha voglia. Sentito parlare della differenza fra libertà e licenza?

Noi, insegnanti “comunisti” e miscredenti, che lavoriamo in modo perverso contro le famiglie dei nostri allievi, non abbiamo bisogno di tirar fuori chissà che cosa per mostrare il ludibrio della sua persona e del suo agire: ci pensa lei stesso a farlo.
Basta leggere un quotidiano in classe – attività didattica – e ci s’imbatte nei titoli che riguardano la sua vita privata e pubblica, i suoi infiniti processi, la sua infinita lotta per acchiappare qualche voto in cambio di qualche poltrona. Anche questa esternazione – entrambi lo sappiamo bene – era diretta alla platea di cattolici conservatori che l’ascoltavano, per acchiappare qualche consenso nella frana che la sta travolgendo.
Crede forse che i ragazzi, gli adolescenti, pensino soltanto a vestiti e motorini?
Si sbaglia: lo fanno, ma fanno anche altro.

Di tutta la vicenda, che ha riguardato la “rimessa in opera” di una maggioranza per il suo Governo, sa cos’hanno ricavato? Che il Parlamento è un mercato rionale, nel quale le merci – i parlamentari – sono lì per essere acquistate da chi ha molti soldi a disposizione.
Hanno imparato che, qualora ci s’imbatta in una vicenda giudiziaria, la prima cosa da fare è cambiare la legge per la quale si potrebbe essere condannati.
Colpa degli insegnanti comunisti?

No, è soltanto il suo sistema di governo/comunicazione, che le torna indietro come un boomerang: è stato lei, per decenni, a propalare ai quattro venti la teoria che due mezze bugie, se ripetute, finiscono per diventare una mezza verità.
Oggi, proprio questo sta accadendo: tutte le sue vicende giudiziarie e la compravendita dei parlamentari – propagati ai quattro venti dai mille canali d’informazione, dai giornali alle tv al Web – hanno finito per creare intorno alla sua persona un alone…non trovo altri aggettivi che ripugnante, da rifuggire, da evitare: di conseguenza, anche gli istituti di rilevazione del consenso più vicini a lei – anche la Ghisleri! – devono ammettere il crollo.

Perciò – questo è il modesto consiglio di un insegnante della povera scuola pubblica – se vuole risalire nei consensi, provi a governare seriamente, provi ad essere uno statista che non fa le corna nelle occasioni ufficiali e che non racconta barzellette stupide e blasfeme in giro per il mondo. Perché – vede – per un insegnante è difficile, a fronte delle domande degli allievi, giustificare chi sta ancora più in alto del Ministro che sta sopra a tutti noi.
Oppure, se vuole tentare la carta estrema, quella della spettacolarizzazione oltre ogni limite del suo pensiero, la prossima volta che deve comperare un parlamentare od una velina minorenne lo faccia pubblicamente, con Jerry Scotti – suo dipendente – come regista dell’operazione.

Così, con un Razzi, uno Scilipoti od un Calearo che dovrà guadagnarsi 150.000 euro a fronte della domanda “Quando si può costruire una casa?” – (R: 1) Solo dopo aver ricevuto i necessari permessi. 2) Solo dopo aver pagato la tangente. 3) Solo dopo aver fatto una visita ad Arcore. 4) Solo dopo aver portato una ragazzina al Presidente del Consiglio) – la popolazione potrà capire ed imparare quali sono le leggi che lei fa approvare e desidera.

In questo modo, almeno, la lenta discesa all’Inferno del Paese, che Lei indegnamente guida, sarebbe almeno accompagnata da qualche risata: meglio dello sconforto che ci assale, al pensiero delle macerie che ci lascerà.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

Questa pubblicazione non può essere considerata alla stregua della pubblicazione a stampa, giacché ha carattere saltuario e si configura, dunque, come un libera espressione, così come riferito dall'art. 21 della Costituzione. Per le immagini eventualmente presenti, si fa riferimento al comma 3 della Legge 22 Maggio 2004 n. 128, trattandosi di citazione o di riproduzione per fini culturali e senza scopo di lucro.

25 febbraio 2011

Vite sfregiate e svendute



“La sofferenza è l’unico motivo della coscienza. E sebbene abbia dichiarato che secondo me la coscienza è per l’uomo la più grande disgrazia, so però che l’uomo l’ha cara e non le scambierebbe colle maggiori soddisfazioni.”
Feodor Dostoevskij

Nel lungo serpente marino che corre sul fondo del Mediterraneo – il metanodotto che porta il gas dall’Africa all’Europa – la pressione cala, è lampante: Sergio, con l’occhio incollato al manometro, segue con apprensione i bar che diminuiscono, la lancetta che, lentamente ma inesorabilmente, cammina verso lo zero.
Non c’è niente da fare – Sergio lo sa – perché, eseguiti i controlli di routine, non c’è nessuna perdita od altro accidente: laggiù, da qualche parte del deserto, oppure nelle stazioni di pompaggio sulla costa, qualcuno ha chiuso qualche valvola oppure ha definitivamente isolato il potente polmone sotterraneo, che alimenta riscaldamenti e centrali elettriche, dalla sua arteria, il grande gasdotto sottomarino.
Sergio non può fare altro che avvisare, come le procedure prevedono, i suoi superiori: da quel momento in poi, la pressione che cala non sarà più affar suo, bensì dei capoccioni che, dall’alto dei grattacieli dell’energia, dovranno trovare una soluzione per stare al caldo anche domani, per accendere la televisione anche dopodomani.
Se la pressione scende, in questo punto della rete, dovrà aumentare da qualche altra parte, nel groviglio delle serpi sottomarine che portano metano e petrolio, poiché la grande macchina della produzione e del consumo non si può arrestare: sarebbero necrosi, gelo, morte.

Anche nella città sulla costa africana la pressione cala, cala a vista d’occhio nelle arterie di Said, steso a terra.
Solo pochi istanti prima, correva in mezzo alla folla verso qualcuno o qualcosa che non aveva ben chiaro: un pensiero che, nella sua mente, significava “libertà”, ossia poter dire quel che pensava in qualsiasi momento, senza temere che una mano t’afferrasse con forza il polso e ti chiedesse di seguirla.
Poi, era accaduto qualcosa di strano: una luce, un rumore…tutto era iniziato a vorticare e s’era trovato disteso a terra, con un cielo infinito che riempiva gli occhi ed un bruciore lancinante all’addome, qualcosa che gli mangiava le carni come un ferro rovente e che non demordeva, che sembrava cercargli l’anima per vaporizzarla.
Anche questa volta il suo polso era stretto da qualcuno, ma dolcemente: erano due occhi sconosciuti a fissarlo, perché lui non sapeva che quegli occhi appartenevano a Mohammed, un giovane studente in Medicina, e dalle sue labbra non riuscivano ad uscire che lamenti, suppliche, preghiere…tutte rivolte all’animale che gli stava frugando ed azzannando le carni, pezzo per pezzo, istante dopo istante.
Tutto era tornato a vorticare, all’improvviso, mentre braccia robuste lo sollevavano ma non erano braccia nemiche – riusciva a capirlo, anche con la belva in corpo – perché i toni delle voci erano sommessi, amici, erano senza dubbio dalla sua parte ed erano nemici della bestia.
Adesso, c’era ombra ed era disteso su una stuoia: da una finestra, un blu infinito tornava a riempirgli gli occhi, ma non era più cielo.
Era al mare, sulla spiaggia e quel blu s’increspava in deboli onde che gli lambivano appena le ginocchia. Era bambino ed aveva freddo, tanto freddo, ma sua madre lo invitava ad andare avanti ed a bagnarsi: gli occhi di sua madre erano scuri e mansueti, invitanti come la panna e dolci come i datteri, e lo chiamavano. Lentamente, Said s’incamminò fiducioso, verso le braccia di sua madre che l’aspettavano.
Mohammed prese ancora per un istante il polso di Said fra le sue dita, guardò quasi per abitudine l’orologio pur sapendo che non avrebbe avuto più nulla da contare. Fece un cenno agli altri ragazzi che l’avevano aiutato a trasportare Said, un cenno che valeva mille preghiere, poi sollevò il lenzuolo sul viso del ragazzo e maledì, maledì il luogo dov’era nato, che non ti consentiva nemmeno di condurre un ragazzo in ospedale, poiché c’era il rischio d’essere arrestati. O peggio.
Si chiese perché avesse trascorso così tante notti sui libri, così tanti giorni nelle aule universitarie: ora che gli occhi di quel ragazzo erano vitrei e spenti, si sentì come un calice sbreccato, inutile a sé ed al mondo.

Marina è lontana e non sa neppure come sia fatta un’arteria, di sangue o di gas, perché è seduta di fronte ad un computer in una saletta appartata del Palazzo della Borsa, in una città nebbiosa dove il sole è una benedizione per poche ore il giorno ed il cielo non è quasi mai azzurro.
Anche Marina tiene sott’occhio un indicatore, un semplice valore numerico, il quale indica il numero degli acquisti e delle vendite su un pacchetto di titoli del comparto energetico: le vendite fanno la parte del leone sugli acquisti, ed il valore del fondo scende.
Appostati, come leoni fra i massi ed i cespugli della savana, i grandi gruppi d’investimento ancora aspettano, attendono che quel valore sia così basso da poter acquistare, con una sola azione del comparto telefonico, tre azioni di quello energetico. Come, da qualche parte dell’Africa Equatoriale, le leonesse attendono che il gruppo delle gazzelle all’abbeverata cresca, che s’aggiungano i piccoli, i quali rallenteranno la corsa delle madri oppure finiranno loro stessi fra le fauci.
Marina, al termine dell’orario, genera il report della giornata e lo invia al suo capo: poi, spegne il computer. Ha conosciuto Fabio due sere prima a casa d’amici e le è appena giunto un messaggio, proprio di Fabio, nel quale le chiede se desidera andare a cena con lui, proprio quella sera. Beh, è carino Fabio, è stato gentile due sere fa…perché no?

Per Hamida, invece, non è proprio una giornata tranquilla, poiché ha avvertito sin dal primo mattino lo sbattere delle pale, gli elicotteri in volo, e quando le nere libellule volano non portano mai niente di buono, solo guai e dolore.
Eppure, s’è dovuta recare al lavoro perché sa che ci sarà del lavoro importante, uno di quei lavori che solo poche persone esperte riescono a fare. Hamida è solo un’esecutrice, ma sa fare bene il suo lavoro: segue con apprensione il flusso delle mail che arrivano da Georgetown e da Castries, poiché le hanno detto che non ci si può più fidare di Zurigo e di Montecarlo.
E le mail arrivano, con proposte che sanno di strozzinaggio – perché a Georgetown sanno che qualcuno sta per essere predato, e dunque non ha tempo per aspettare – ed Hamida le vaglia attentamente, le suddivide nelle rispettive cartelle. E’ un’asta, un’asta al ribasso nella quale il suo compito è cercare il minor ribasso, ossia la piazza più conveniente. Ma in fretta.
Oltre la vetrata, può osservare il viso di Youssuf che segue le agenzie ed il listino di borsa: oltre la seconda vetrata, c’è l’ufficio dove siedono il signor Verrini e sir Jones, che le è sempre parso il vero capo della banca. Solo loro possono decidere, quanto e quando spostare centinaia di milioni dollari per ogni operazione, da una banca europea ad una dei Caraibi, da un fondo americano ad una consorziata russa o brasiliana.
Nell’atrio, due uomini armati dei servizi di sicurezza controllano che tutto sia portato a termine nel tempo prefissato: prima che la situazione precipiti, quella montagna di denaro dovrà riposare, sicura, nei lontani forzieri elettronici e, sin dal giorno dopo, iniziare a fornire latte in abbondanza, come una capra nutrita con freschi germogli.

Vassili Gregorienko, invece, era allibito: come? Non dovevano più condurre gli aerei giù, oltre il Caucaso, nel solito aeroporto sul Mar Nero dove i piloti africani sarebbero giunti per prenderli in consegna?
Il colonnello Darinov fu sintetico ma elusivo: no, gli aerei sarebbero stati temporaneamente presi in consegna dall’Armata, fin quando la situazione non si fosse chiarita.
Dovevano decollare e seguire il nuovo piano di volo, che li avrebbe condotti ad un aeroporto nei pressi del lago Bajkal, dove i prestigiosi cacciabombardieri sarebbero stati custoditi negli hangar sotterranei.
Mentre Vassili radunava la squadriglia per discutere il nuovo piano di volo, il colonnello Darinov salutò e salì sull’auto dove lo attendeva il Generale di Squadra Aerea Salinovic, l’ufficiale che svolgeva i compiti di raccordo fra la struttura militare e l’apparato industriale, la prestigiosa azienda produttrice dei velivoli da caccia e per il bombardamento.
Darinov sapeva che non era il caso di fare troppe domande, ma il generale Salinovic capì e volle tranquillizzare il collega: no, la prestigiosa fabbrica di velivoli non correva nessun pericolo, anche se le esportazioni avrebbero senz’altro subito un rallentamento. Perché?
Perché, in prima battuta, erano già stati attivati – nella capitale – i canali diplomatici dell’Estremo Oriente e dell’America Latina: quei caccia piacciono ed il prezzo è allettante – si tranquillizzi Darinov – e non resteranno tanto tempo lassù, sul Bajkal.
E poi – ma queste erano notizie riservate – se la crisi perdurava…beh…gli europei si sarebbero trovati di fronte alla solita crisi energetica, ai miliardi di metri cubi di metano che sarebbero mancati all’appello…perciò, Darinov, perché angosciarsi? Nella capitale sanno il fatto loro e gli emissari delle compagnie energetiche sono già al lavoro: se venderemo meno aerei, daremo loro del metano…non stia in pensiero…a proposito, ha telefonato all’amico che le avevo indicato per quella dacia? Ha visto che il prezzo era veramente interessante?

George N’Ghila stava, invece, aspettando ansiosamente, ma non una mail o chissà quale diavoleria elettronica, bensì una semplice telefonata, nel retro del bar: lo stesso bar dove, per tante sere, era andato con i suoi compagni a giocare a carte.
Aveva con sé 800 dollari americani e 1.200 euro europei – frutto dei suoi risparmi – ed un inutile telefonino, giacché la rete GSM funzionava oramai a sprazzi, con i quali sperava che quella jeep, promessagli da un funzionario della compagnia dei trasporti, potesse diventare realtà.
C’era silenzio nell’ombroso retro del bar, ed anche nel bar gli avventori erano rari come gli arbusti per nutrire le capre laggiù, nel suo villaggio in Senegal.
I suoi compagni, i suoi compagni…chissà dov’erano…no, non aveva remore per essere fuggito: sulle prime, aveva meditato di passare il mare e tentare la fortuna in Europa, ma quei soldi non bastavano per pagare il passaggio sui barconi per lui, per sua moglie e per la figlia. Solo poche settimane prima, sarebbe bastato vendere un rene ed il passaggio sarebbe stato sicuro: poche settimane prima, però, George non pensava minimamente a fuggire.
Era stato fortunato, per tanto tempo, troppo fortunato.
La mambo, la veggente del suo villaggio, prima della loro partenza aveva scatenato per lui l’Ararà – la danza rituale – per ingraziarsi Afra, Asojano…e tutti gli altri Dei, affinché vegliassero sul suo destino. Così era stato.
Non gli era parso vero che, giunto sulle sponde del Mediterraneo, invece del barcone avesse incontrato quell’arabo ricco, ben vestito, che gli aveva promesso molti soldi se era disposto ad imbracciare un fucile ma senza guerra, solo per mantenere l’ordine. La mambo era stata brava, potente, veloce.
Era diventato una specie di poliziotto: con la sua squadra, si spostavano da una zona all’altra per scortare altri neri come loro verso i campi di raccolta ai margini del deserto: George non s’era chiesto come e perché, quando e dove. Solo, ogni settimana, ritirava la paga e contava insieme a sua moglie i soldi, che erano tanti, oltre ogni loro attesa.
Raramente era stato costretto ad usare il fucile e quasi sempre per sparare in aria: tutto sommato, molto di meno di quel che aveva visto in Senegal, nel Burkina-Faso od in Ciad, per un sacco di farina o qualche pollo.
Ma era giunta quella maledetta alba.
S’era accorto che la situazione era cambiata perché, nella grande città, i passanti erano rari e volavano gli elicotteri in cielo, come gli avvoltoi che attendono la preda, quel che resta del pasto del leone.
Avevano radunato la sua squadra e l’avevano inviata fuori città, in un villaggio che appena si distingueva dall’ocra della terra: là, qualcuno aveva sparato. George non sapeva chi avesse sparato ma dei colpi erano sibilati per l’aria: s’erano gettati a terra. Poi, un arabo che li comandava, aveva ordinato di correre verso le case, d’entrare nel villaggio: era andata bene, non c’erano stati altri spari.
Tutto finito – pensò George – anche questa volta si torna a casa e, alla fine della settimana, arriveranno altri soldi da nascondere nella sacca che conservavano nel materasso.
Invece.
Gli ordini erano stati chiari: entrare nel villaggio e radunare tutti gli uomini. Perché? Dove li dovevano condurre?
Non c’erano altri camion che il loro, non c’erano pullman né carri…no, bastava radunarli nella piazza del villaggio.
Non si fece intimidire dalle donne che urlavano, che quasi strappavano gli abiti ai loro mariti per trattenerli, ai figlioletti che piangevano perché, si sa, ovunque le donne urlano ed i figli piangono.
Quando, però, l’arabo aveva ordinato di sparare su quelle decine d’uomini inermi, allineati lungo un muretto di cinta, un groppo gli aveva strozzato la gola ed il sangue s’era gelato nelle vene. Aveva guardato di sottecchi verso l’arabo ed aveva notato che non era più solo: altri arabi erano giunti e li tenevano sotto tiro con i loro fucili mitragliatori. Al secondo ordine, secco, dell’arabo, qualche raffica era partita: poi via, in un crescendo di colpi – anche i suoi – che avevano triturato quella carne allineata come birilli, fin quando i caricatori s’erano svuotati ed il frastuono s’era trasformato in un fruscio di lamenti.
Mentre tornavano in città, sul camion, da una macchia d’alberi erano partiti dei colpi e Karim aveva avuto come un sussulto, poi aveva iniziato a vomitare sangue: in pochi attimi era morto. L’arabo aveva ordinato di non fermarsi ed avevano scaricato il cadavere di Karim giù dal camion, nella polvere della strada.
L’immagine di Karim, raggomitolato come un sacco di grano caduto da un camion, il corpo dell’amico che svaniva nella polvere gl’ingombrava ancora gli occhi quando squillò il telefono: sì, il posto non era lontano. Aveva i soldi? Certo. Dollari? Dollari ed euro.
Sì, forse, forse ce l’avrebbero fatta a scendere nel deserto fino al Ciad, per tornare al villaggio…avrebbe chiesto alla mambo di fare una nuova Ararà…i soldi bastavano, ne aveva ancora abbastanza…questa volta per puntare direttamente all’Europa, lontano dalle vie polverose e dai camion militari, lontano dal cadavere di Karim, che continuava ad allontanarsi nella polvere…


Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Questa pubblicazione non può essere considerata alla stregua della pubblicazione a stampa, giacché ha carattere saltuario e si configura, dunque, come un libera espressione, così come riferito dall'art. 21 della Costituzione. Per le immagini eventualmente presenti, si fa riferimento al comma 3 della Legge 22 Maggio 2004 n. 128, trattandosi di citazione o di riproduzione per fini culturali e senza scopo di lucro.

20 febbraio 2011

La Bestia inascoltata


“Chi mi riparlerà
di domani luminosi
dove i muti canteranno
e taceranno i noiosi…”
Fabrizio de André – Cantico dei drogati – dall’album Tutti morimmo a stento – 1968.

Caro Pierluigi,
da più parti, s’ironizza sull’inconcludenza del tuo partito: talvolta con qualche ragione, altre senza aver – prima – riflettuto abbastanza.
Non è casuale, nel fiorire delle “presidenze”, che tu sia rimasto uno fra i pochi (forse l’unico) segretario di un importante partito, e questa è una scelta – quando tanti citano la Costituzione ad ogni piè sospinto – che fa onore a te ed al tuo partito.
Sull’altro fronte, i Franceschini ed i Veltroni “esternano” e “propongono”, quando non sono degli aperti “distinguo”, D’Alema scrive le sue impressioni di “battitore libero” sui giornali nazionali e la tua posizione, sinceramente, non è proprio da invidiare. Comprendiamo ed apprezziamo il tuo senso di responsabilità, soprattutto se lo confrontiamo con il casermone berlusconiano, fatto di parlamentari-escort e ministri-dipendenti, quando non si scivola nel ridicolo delle parlamentari-veline.

E’ il prezzo della democrazia interna in un partito: cosa che riguarda, all’opposto ed in negativo, il tuo alleato Di Pietro ed il suo partito malato di personalismo, il quale ha recentemente ceduto al Cavaliere, per puntellare la sua maggioranza, il 10% dei suoi eletti alla Camera (non dimentichiamo Porfidia, oltre a Razzi e Scilipoti) mentre – complessivamente, dal Maggio del 2008 – l’IDV ha perso il 24% dei suoi Deputati. Complimenti, Tonino.
Tu, sei riuscito a mantenere la “fuga” in termini fisiologici: dal Maggio 2008, il PD ha perso solo il 2,7% dei Deputati, il PdL il 15%, Casini lo 0%.
Di Pietro pagherà molto cara la sua incapacità di scegliere con cura i nomi da inserire nelle liste, e già si prospetta – nei sondaggi – un crollo vertiginoso dei consensi: molto probabilmente, saranno voti guadagnati da Vendola.
Il dilemma è quindi: accelerare sulla personalizzazione dei partiti, come fa Di Pietro? Vendola, per ora, pare seguirlo su questa strada, giacché di un partito che si vede accreditato, nei sondaggi, di un credito che tende verso il 10%, si sente parlare solo lui.

Eppure, la gestione democratica – seppur arruffona ed a volte clientelare – del tuo partito sembra non pagare: dai risultati elettorali delle politiche agli attuali sondaggi, il PD perde all’incirca un 6-7%, cosa che stride non poco con il gran bisogno d’opposizione che serpeggia nel Paese, in maggioranza stufo di sentirsi appellato, all’estero, come “Berlusconia”.
In altre parole: s’avverte un gran bisogno di cambiamento, ma il principale partito d’opposizione finisce per giocare la parte della Bella Addormentata nel Bosco. Vendola non va bene, il Popolo Viola non ci piace, di Moretti non ci fidiamo, Grillo non lo vogliamo…alla fine, vallo a trovare il Principe Azzurro che risvegli la Bella Addormentata!
Ma, la Bella Addormentata s’arrabbia, talvolta scende in piazza: per lo più, mugugna e si chiude nel silenzio della democrazia violata. Osserva attonita le manovre parlamentari, che riducono la democrazia ed il confronto ad un calcio mercato di poltrone: s’arrabbia sul Web, lo tappezza d’ironia, ed ogni volta che s’alza il sole va al lavoro senza più un perché. Milioni di visi smunti che sono obbligati a giocare una partita che non sentono più loro: i dipendenti pubblici sono fannulloni, le partite IVA evasori, gli operai poco responsabili, le donne bacchettone se non sono smaglianti e, in fieri, potenziali escort.
Cosa rispondi, Pierluigi?

Ah, sì…c’è quello che vorrebbe rispondere per te…il cugino di Giuseppino Chiappotutto[1]…quel Matteo Renzi che viene presentato come il “nuovo che avanza”. Ma non facciamo ridere.
Matteo Renzi è un figlio d’apparato, discendente di quel Tiziano Renzi che – dagli anni ’90 – controlla la distribuzione dei giornali e della pubblicità in tutta la Toscana: difatti, il figlio, da Presidente della Provincia s’attrezza subito per finanziare e far sua la stampa locale, dalla piccola testata a “La Nazione”[2].
Va a trovare Berlusconi ad Arcore – sensibilità istituzionale zero – e riceve dal Caimano quasi un’investitura:

“Caro Renzi, ma come fa uno bravo come lei a stare con i comunisti?”[3]

Tutto questo avviene per una semplice riscontro: similis similia solvitur – affermavano gli alchimisti – ossia che il simile è sciolto dal simile. Berlusconi, che non è scemo, s’accorge che Renzi sarebbe il suo naturale erede, altro che quella macchietta fegatosa di Verdini o quel giovanottone cresciuto ad arancini come l’Angelino: tanto alto, tante parole e poco cervello.

Eppure, Pierluigi, una Serracchiani che batte Berlusconi nelle preferenze e sbaraglia il tuo “uomo” in Friuli – penoso epigone della stirpe dei Berlinguer[4] – viene cacciata nel dimenticatoio mentre sfolgora, nel firmamento del PD, la figura di questo giovane rampollo democristiano che – saranno solo dei maligni – si racconta sia in odor di grembiulini.
A fronte di questi scempi, la Bella Addormentata della sinistra italiana, silente nel suo dolore, si trasforma nella Bestia. Quando ha iniziato ad esser Bestia?
E’ un lungo percorso, ma voglio ricordare un esempio.

Siamo nel 2001, prima delle elezioni che vedranno la sconfitta di Rutelli come leader – ah!ah!ah! – del centro sinistra.
Gli insegnanti delle Medie accompagnano gli studenti in visita al Liceo per il cosiddetto “Orientamento”, dai più maligni chiamato “il mercato delle vacche”.
Vaga per l’aere nebbioso di fine legislatura la claudicante “riforma Berlinguer” ed è già scaduto – come un pessimo yogurt dimenticato in un angolo del frigorifero – il cosiddetto “concorsone”, il mostro di Berlinguer per definire chi è un buon insegnante. Ma andiamo oltre.
I colleghi delle Medie, che Berlinguer vorrebbe accomunare in un solo percorso con le scuole Elementari, quasi sibilano, rabbiosi: «Io, con i maestri? Mai!»
Eppure, quella riforma tentava per la prima volta dal 1923 di cambiare la scuola italiana: c’erano molte ombre, ma anche qualche luce, ad esempio la ripartizione dello studio della Storia in due segmenti per cronologia, ed un terzo quasi “ipertestuale” che coincideva – nei Licei – con la Filosofia.
Non è questa la sede per trattare con dovizia l’argomento, perché solo di un esempio si tratta.

Oggi, a distanza di dieci anni – cari colleghi che siete andati a mettere la crocetta su Forza Italia per non “finire con i maestri” – come la pensate? Personalmente, oramai, data l’età, della cosa mi frega assai poco ma mi verrebbe da dire: tenetevi i Brunetta e la Gelmini! Ritti, muti e rassegnati!

La Bestia è nata in quegli anni per due ragioni: la pochezza dei dirigenti “di sinistra” e la forza del canto delle Sirene avversario. Potentissimo, a forza di Jerry Scotti che vi copre di milioni e del Grande Fratello che vi schiude la porte del nuovo Olimpo, della notorietà.
Oggi, si parla tanto del milione di donne che sono scese in piazza per urlare la loro dignità: io, che voglio per una volta essere cattiva coscienza, vi chiedo quante delle vostre figlie – in definitiva – pensano che sia meglio campare con 500 euro, dignitosamente, in un call centre oppure fare la trafila cubista/velina/escort.
Perché, signori miei, solo una parte della “carne fresca” che è saltata fuori dalle inchieste proviene dall’universo delle principesse delle favelas: parecchie hanno alle spalle una laurea ed il Liceo Classico.
Cosa rispondete, proprio voi donne che avete calcato per anni le cucine dei Festival dell’Unità, che avete strappato per centinaia di sere biglietti all’ingresso, con gli adesivi del PCI, poi del PDS, infine del PD sulla maglietta?

Eh, caro Pierluigi, mi permetto d’usare questo tono confidenziale perché so che sei una persona seria, che ti hanno seduto su quella sedia perché non sapevano più come cavarsela, fra il minuscolo ed infido “timoniere” D’Alema ed il perduto nelle nebbie Veltroni.
Eppure, il segretario dell’unico partito che ha ancora una parvenza di democrazia interna, qualcosa deve rispondere perché, se 1/4 degli italiani vota il PD, un maggioritario terzo non va più a votare: sono loro la Bestia.

La strategia d’abbattere Berlusconi per via giudiziaria può essere accettata se sono i media a portarla avanti: l’uomo di Arcore è squalificato, ma ha una proposta politica. Sarà puro galleggiamento, ma è anche garanzia che i patrimoni accumulati in larga misura con la frode e l’evasione fiscale non saranno toccati: ecco la risposta alla stampa estera, che si chiede come faccia l’Italia a tenerselo, nonostante tutto.
Lui, accontenta Washington inviando carne da macello in Afghanistan, il popolo degli evasori assicurando esenzione e “Scudi Fiscali”, il Vaticano aumentando – curioso, vero? – il numero dei Docenti di Religione, mentre tutte le altre classi di concorso sono falcidiate dalla controriforma Gelmini.

Su quella strada – senza una proposta politica – nessuno può batterlo, e qui le televisioni c’entrano fino ad un certo punto: lui sa comprare parlamentari e sindacati, associazioni e giornalisti…ma può comprarli soltanto perché non esistono alternative.
Se esistesse un’alternativa convincente, gli/le escort della parola, degli scritti, dei voti, delle immagini…si sgonfierebbero come palloncini bucati. Ma non esiste. Perché?
Poiché il PD non ha scelto, non ha deciso se aderire al berlusconismo ed al liberismo – che si stanno mostrando fallimentari sul fronte della proposta politica – oppure calcare nuove vie, se interrogare la Bestia che parla oramai un altro linguaggio.
Il PD non ha sciolto la sua riserva sul nucleare – di Chicco Testa cosa ne facciamo? – non ha abiurato Bassanini, che fu il padre putativo di Brunetta, al punto che è emigrato presso la corte di Sarkozy per tentare anche in Francia la macelleria sociale.

Anche il PD galleggia, galleggia e basta, mentre la Bestia cova il suo livore, inascoltata, repressa, dimenticata: intanto, però, parla.
La Bestia parla talvolta un linguaggio sconclusionato, altre volte contraddittorio, ma parla.
Parlano per lei centinaia di scrittori che vengono definiti spregiativamente bloggher – non sia mai che questi parvenu siano messi accanto ai lucidati soloni della Federazione della Stampa! – e che, diciamolo fuori dai denti, più che altro vi danno fastidio.
Credete che, se non esistessero, per voi la vita sarebbe più facile? No.
La differenza sarebbe una sola: un silenzio ancor più muto contro, almeno, un vociare confuso. Ed un terzo degli italiani non andrebbero comunque a votare.

Adesso, che sto concludendo questa lettera/articolo, mi sto domandando se ho perso del tempo.
Vado a leggere i commenti sul sito del PD e ne pongo uno come esempio[5] – quello che è più benigno nei confronti del tuo partito, gli altri sono peggio! – pur sapendo che i commenti sono filtrati: non c’è da stare tanto allegri.

Forse, più che pensare d’ammansirla, dovreste stare ad ascoltare la Bestia. Per imparare.


Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.


Questa pubblicazione non può essere considerata alla stregua della pubblicazione a stampa, giacché ha carattere saltuario e si configura, dunque, come un libera espressione, così come riferito dall'art. 21 della Costituzione. Per le immagini eventualmente presenti, si fa riferimento al comma 3 della Legge 22 Maggio 2004 n. 128, trattandosi di citazione o di riproduzione per fini culturali e senza scopo di lucro.

17 febbraio 2011

Storia di Giuseppino Chiappotutto


Dopo il rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi, tutti s’attendono una rapida fine politica dell’uomo da Arcore, come se la richiesta dei giudici potesse essere in qualche modo in rapporto con gli esiti della legislatura: non neghiamo che i due aspetti siano simbiotici, ma non sosteniamo che esista fra i due eventi un rapporto di causa/effetto, come viene strillato a più voci dal PdL.
A nostro avviso, la legislatura proseguirà ancora per qualche tempo – non sappiamo se fino alla scadenza naturale – poiché non dimentichiamo che, conti alla mano, Berlusconi ha ancora l’appoggio del Parlamento, soprattutto nella “contesa” Camera dei Deputati.

Facciamo, però, un passo indietro ed osserviamo cosa raccontavo il 15 Settembre 2010, quando la crisi sembrava dovesse trovare soluzione parlamentare, ossia il governo Berlusconi potesse cadere in aula[1]:

"…a Dicembre, la Consulta si dovrà pronunciare sul legittimo impedimento, potrebbero esserci delle sorprese.
Se la Corte dovesse bocciarlo, saremmo alle solite: la battaglia contro mister B. continuerebbe come sempre. Ma senza più protezione. Neppure si può pensare ad approvare leggi del genere partendo da “meno qualcosa” o con un solo deputato in più: Prodi docet.
Uno scenario più avvincente sarebbe l’approvazione di quella norma: perché?
Poiché starebbe a significare che c’è stata trattativa, ossia che B. è disposto a lasciare: come andrebbe il teatrino?
Nuove elezioni, l’alleanza PdL+Lega vince ma, al Senato, non ha la maggioranza: situazione più che probabile con l’attuale legge elettorale. Berlusconi viene incaricato, fallisce nel creare un nuovo governo e l’incarico passa ad altri…Casini? Potrebbe essere.
A quel punto, nascerebbe il grande embrassons nous per mettere fuori il Cavaliere che già saprebbe di dover andarsene, perché avrebbe stilato precisi accordi sottobanco: tolgo il disturbo, sto all’opposizione, non mi ricandiderò e voi togliete di mezzo tutta la ferraglia giudiziaria."

Il fatto che la Corte Costituzionale abbia deciso di non pronunciare la sua sentenza “a cavallo” del voto di fiducia del 14 Dicembre scorso, significa senz’altro che – qualora ci fosse stata sfiducia – la questione sarebbe stata chiusa. Può, però, raccontare dell’altro.

Superato quello scoglio con qualche difficoltà, a suon di peones comprati un tanto al chilo, il problema politico rimaneva e, a Berlusconi, giunsero delle offerte “in chiaro” da parte di Fini e Casini – continuità del governo di centro-destra se te ne vai – ma non è detto, ed è anzi probabile, che altre gli siano giunte per vie traverse.
Il successivo pronunciamento della Corte Costituzionale – niente Legittimo Impedimento – significa che una soluzione non fu trovata, che Berlusconi non decise per il famoso “passo indietro” e che preferì affidarsi alla sola “via” parlamentare. Che è l’oggi.
Può farcela?

Più che chiederci se potrà farcela, ci sembra che la scelta sia obbligata poiché – se il 15 Settembre aveva ancora delle carte da giocare su quel fronte – oggi i sondaggi lo danno quasi sicuramente soccombente, anche nei confronti del solo “Nuovo Ulivo”, dal PD a Vendola[2]. Perciò, avanti coi carri e silenzio nelle salmerie.
L’aspetto più esilarante di questa crisi politica italiota – una sorta di resa dei conti che di veramente “politico” ha ben poco – è che Silvio Berlusconi ha i numeri per continuare a governare a colpi di fiducia e, se non basta, a colpi di libretto degli assegni per i peones, più qualche ricatto e con l’appoggio del Dio Cronos.
Perché?

Poiché, più il tempo passa, più i peones accumulano contributi per le loro dorate pensioni senza doverli sborsare di tasca propria come contributi volontari. La rielezione? Per molti è una chimera: perciò, facciamo durare la cuccagna finché dura.
Ecco la spiegazione ai gruppi di “Responsabili”, “Voi, Noi, Altri Sud” eccetera, ma l’atmosfera è quella della “Caduta degli Dei” di Luchino Visconti – ci perdoni, lo spirito del regista, l’accostamento – rappresentata, ovviamente, in salsa italiota, con temi da “Bagaglino”.
Qui non ci sono in campo i Buddenbrook ed i Krupp, non c’è l’atmosfera decadente sapientemente sottolineata dai gorgheggi di Elisabeth Schwarzkopf sulla musica di Richard Stauss, non si ode l’eco della Cavalcata delle Valchirie nelle trame di Palazzo: qui, c’è solo gente che pesta i piedi[3] ai giornalisti scomodi, altri che mandano “pizzini” di mutui immobiliari da pagare[4], oppure si sperticano in esibizioni che vorrebbero essere in qualche modo “politiche” e d’indignazione, mentre finiscono per essere delle pessime imitazioni di Cetto La Qualunque[5], che già è la satira delle nullità fatta persona.

Perciò, Berlusconi difficilmente cadrà in Parlamento, poiché alla gente a “libro paga” del Cavaliere non frega un accidente della sua persona, come ai tanti/e Minetti i quali, appena saputo che il loro processo è stato stralciato – ossia che dovranno sottoporsi a giudizio dopo aver testimoniato al primo processo (Berlusconi) – viaggiano con la bocca cucita, pronti a spalancarla solo di fronte ai giudici per ottenere uno sconto di pena. Pentitismo, as usual.
Viene addirittura da sorridere al pensiero di un Lele Mora che si siede sullo scranno dei testimoni, sapendo che ben altra sbarra lo attende poco tempo dopo: Robespierre, fra il pubblico, osserva attentamente ed annota.

Ad osservare la cronologia delle indagini, suscita curiosità la scansione delle date: i magistrati di Milano sanno che il 14 Febbraio 2010 Ruby era ad Arcore: le fonti[6] sostengono che i magistrati lo sanno soltanto nei primi giorni di Agosto del 2010, e di più non possiamo sapere. Ma, ad Agosto, già sanno che il 14 Febbraio 2010 Ruby era ad Arcore.
Curiosità vuole che, due mesi prima – il 13 Dicembre 2009 – Silvio Berlusconi avesse ricevuto la famosa “duomata” in viso da parte di un “folle” chiamato Massimo Tartaglia il quale, pochi l’avranno notato, nella sonnacchiosa Estate italiana – il 29 Giugno 2010 – viene assolto dal Tribunale di Milano perché “non imputabile”.
Il Web si scatena nel cercare prove di un attentato “su misura” per il crollo della popolarità del premier: c’è, però, un’altra ipotesi, ossia la sempiterna tesi del “anarchico Bertoli”.

Per capire quanto siano ingarbugliate queste matasse, ricordiamo che Bertoli giunse a scrivere stimati articoli per alcune riviste anarchiche, nonostante la doccia fredda che giunse dalle dichiarazioni di un altro “servitore dello Stato”:

"Nel 2002 il generale Nicolò Pollari (ex-direttore del Sismi), sentito dai giudici della terza Corte d'Assise d'Appello di Milano ha confermato che Bertoli è stato un informatore del Sifar prima, e del Sid in seguito. Il generale ha anche confermato che Bertoli, ha avuto rapporti con i servizi segreti negli anni '50 fino al 1960.[7]"

Perciò, andiamoci piano con il “confezionare” subito delle sentenze di falsi attentati: la “duomata" potrebbe essere stato un avvertimento. Hai visto dove possiamo arrivare? Nonostante i tuoi G-man e gli elicotteri in volo per proteggerti?

Due mesi dopo l’attentato, Berlusconi se la spassa con Ruby Rubacuori minorenne. Il telefono della ragazza è già sotto controllo? Non possiamo affermarlo. I giudici, però, oggi lo sanno e possono provarlo.
Mentre la crisi inizia ad avvilupparsi su se stessa, Berlusconi evoca di trincerarsi nella “ridotta del Senato” e Bossi lancia un giorno una ciambella di salvataggio al PD ed il giorno seguente una al suo Capoccia.
Questo sul fronte politico, ma si fanno vive anche altre “voci”, che non erano previste:

"Sono quelle del presidente Mediaset Fedele Confalonieri. L'amico di una vita si è fatto portavoce del pensiero e delle preoccupazioni dei figli di Berlusconi, Marina e Pier Silvio, invitandolo a muoversi con maggiore cautela. Perché incaponirsi?, è stato il ragionamento: un tracollo politico metterebbe “a rischio la tenuta del gruppo”. Il suggerimento insistente è quello di cedere lo scettro a un uomo di fiducia, sia Gianni Letta o Giulio Tremonti o Angelino Alfano. Purché “Silvio” si tiri fuori da un gioco che si fa “pericoloso”.[8]"
Qual è il pericolo?

Mentre già impazza il “toto” dopo-Berlusconi – l’11 Gennaio 2011 – guarda guarda…chi s’incontra a Bergamo, sotto i neutrali stendardi della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ufficialmente per parlare di comunicazione?
Come sotto la tenda della Croce Rossa, s’incontrano Carlo De Benedetti (Repubblica/Espresso, nell’attesa di ricevere 750 milioni di euro per l’affaire Mondadori da Berlusconi) e Fedele Confalonieri (Presidente Mediaset, amico di gioventù del Cavaliere e suo uomo-ombra negli affari dei media). S’incontrano per parlare del futuro della comunicazione, di Internet, di Tv, dei media che verranno. Come no.
Qualcuno ci crede? Dopo l’accorato affanno di Confalonieri (e dei figli) d’appena un mese prima?

Il gruppo Espresso/Repubblica è al top della comunicazione elettronica ma…gli manca qualcosa…magari una Tv…che dite?

La querelle delle televisioni tiene banco, in Italia, da circa un trentennio: probabilmente, l’appoggio di Craxi a Berlusconi fu interessato – nel senso che il segretario socialista mirava a fare di Berlusconi il suo affidabile alleato in un sistema dei media totalmente dominato dai suoi (già allora, il TG3 era spregiativamente indicato come “TeleKabul”) – e qualcosa venne a galla durante “l’esilio” di Hammamet, quando Craxi sbottò (riferendosi alla sua condizione di “esiliato”): “Ma, Forza Italia, che fa?” Probabilmente, l’uomo di Arcore si “dimenticò” presto del suo mecenate, molto in fretta.
Sulle vicende che condussero alla formazione del monopolio di Berlusconi – dalla legge Mammì alla legge Gasparri, passando per i famosi “decreti Berlusconi” di Craxi, tutta roba incostituzionale od ai margini della costituzionalità – sono state scritte tonnellate di pagine ed è inutile tornarci: in Rete c’è abbondanza di materiale.

Perciò, invece di rintronare il lettore con citazioni d’antichi processi, sentenze, prescrizioni…forse è più divertente raccontare la storia di Giuseppino Chiappotutto.

Giuseppino Chiappotutto è il sindaco di un piccolo borgo il quale, stravolgendo tutti i regolamenti comunali e godendo d’appoggi in alto, riesce a costruire nel territorio comunale una mega stazione di servizio con annessi ristorante, bar, sala da gioco, ecc.
A quel punto, ricco e temuto per i suoi appoggi, tiene a bada ogni malumore nel piccolo Comune con una sorta di carità pelosa: hai un problema? Toh, prendi ‘sti cento euro e pensa alla salute. Tuo figlio deve andare a studiare lontano? Toh, qui ci sono le chiavi di un appartamentino per lui…e via discorrendo.
L’opposizione, in questa situazione, va altalenando fra una contrapposizione sterile (“in fondo fa del bene a tanti”, si sentono dire dai cittadini) ed un atteggiamento accondiscendente (“Mo’, qualcosa viene in tasca pure a me”).

Giunge, però, un nuovo Maresciallo dei Carabinieri integerrimo, il quale lo prende con le mani nel sacco, nella marmellata…insomma, le solite faccende…false fatturazioni, frode sull’IVA…ma c’è anche la denuncia, circostanziata, di una ex dipendente minorenne per abusi sessuali.
A quel punto, la situazione si fa seria perché il Maresciallo ha ottime carte in mano ed è in grado di spedirlo, dopo il processo, in galera.

Giuseppino minimizza e pensa di resistere, aumenta le “elargizioni” ai concittadini per tacitarli, per mostrarsi sempre di più generoso e disinteressato…ma, stavolta, le cose si complicano. I suoi appoggi in alto temono che, al processo, saltino fuori anche i loro nomi e vorrebbero scaricarlo: lo consigliano, saggiamente, di vendere tutto ed andare lontano a godersi i “frutti” delle sue fatiche.
Lui, però, tentenna perché sospetta che – una volta perso il potere – metteranno mano ad ogni legge e leggina per svalutare i suoi possedimenti, frantumare il suo patrimonio, fino all’esproprio per, poi, rimettere all’asta i suoi beni. Insomma: non si fida.

Un giorno come un altro, riceve un avvertimento: va a fuoco – il maresciallo è categorico, incendio doloso – una pompa di benzina, con un considerevole danno. Lui, tira dritto come se niente fosse.
La moglie lo lascia e chiede un assegno di mantenimento cospicuo – prima che sia troppo tardi… – ed i figli gli consigliano caldamente di vendere, d’andarsene, d’acchiappare quel che si riesce a prendere e chiudere la faccenda, giungendo ad incontrarsi con alcuni esponenti dell’opposta fazione, con la scusa della festa parrocchiale.

Incurante dell’avvertimento, e del vuoto che si sta creando intorno alla sua persona, Giuseppino finisce per trincerarsi nella stazione di servizio, circondato dai “fedelissimi”: meccanici, gommisti, cuochi, cameriere…e ritiene di riuscire a superare il momento.
Ha già contattato un ottimo avvocato in città, il quale gli ha assicurato che – seppur venisse condannato in prima istanza – per arrivare alla Cassazione…beh…per giungere alla condanna definitiva che lo vedrebbe decadere come sindaco – sul fronte del voto non teme nulla, può comprare una maggioranza in Consiglio Comunale come e quando vuole – beh, quel giorno è assai lontano e non è detto che i giudici della Cassazione non possano esprimersi diversamente…

Dopo il colloquio con l’avvocato, Giuseppino si sente tranquillo anche se su alcuni giornali locali e di categoria, “La Provincia dei Merli” e “L’Eco del benzinaio”, la notizia del processo è saldamente accampata in prima pagina, ad ogni edizione.
Su consiglio dell’avvocato, non risponde ai giornalisti che giungono fino alla stazione di servizio per intervistarlo e minaccia – pena il licenziamento – i dipendenti a cedere alle lusinghe della stampa.
Quei maledetti giornalisti…perché continuano…e sempre le solite notizie! Il Presidente della Provincia che si preoccupa per la tenuta “istituzionale” – eh, quante volte suo figlio è passato qui ed ha fatto il pieno gratis… – fino all’assessore ai Lavori Pubblici…quella zoccola che gli aveva mandato, in cambio dell’asfaltatura del piazzale della stazione di servizio eseguita gratis, nel quadro dei “lavori per la ristrutturazione della provinciale 421-bis”…sapessero essere riconoscenti!

Due sentimenti, paritetici, aleggiano sui giornali: la “riconoscenza” per i suoi meriti d’imprenditore e di politico ed i sospetti per i suoi possibili reati. E, i secondi, aumentano d’intensità mentre i primi sembrano appannarsi, come avvolti dalla nebbia d’Autunno.
Oramai, non dorme più a casa: alcune lettere minatorie l’hanno convinto che, fra le mura della stazione di servizio, protetto dai suoi pastori tedeschi, non ha nulla da temere.
Un giorno come un altro, però, gli giunge la lettera che lo avvisa della prossima scadenza della patente di guida: deve recarsi dal medico per la rituale visita.

Sale sulla sua auto, imbocca il rettifilo e guida distratto, osservando il colore dei campi ed i filari degli alberi, poi giunge all’incrocio con la strada che sale al paese e frena…no, la macchina non frena…decelera, la macchina non decelera…ha un attimo d’annebbiamento, di paura, il freno a mano…no! Pure quello sale come se fosse di burro, la rotonda s’avvicina ed il tachimetro segna ancora 125 Km orari…rumori, sensazioni d’essere in volo, poi il buio.

Il funerale fu grandioso, come lui l’avrebbe senz’altro desiderato, la tomba di famiglia più ricca del minuscolo cimitero: marmi, vetri fumè, acciaio, tutto il paese al seguito per l’ultimo saluto e tanti, tanti anche da fuori.
Passò il tempo, con l’avvicendarsi delle stagioni.
La stazione di servizio fu successivamente frazionata in unità separate: il distributore di carburanti e le officine rimasero alla famiglia, mentre il ristorante fu affidato – dalla nuova amministrazione – ad una cooperativa sociale del Comune mentre la sala da gioco fu acquistata da una “cordata” d’imprenditori che, si disse, faceva capo al Presidente delle Provincia.
Con il ricavato dalle vendite, la famiglia pagò le numerose sanzioni per gli abusi edilizi che il nuovo sindaco, consapevole della nuova situazione, applicò al minimo di legge.

Oggi, il nome di Giuseppino Chiappotutto campeggia ancora, per pochi giorni l’anno, sugli striscioni del locale campo di calcio: al torneo estivo, dotato di ricchi premi, partecipano tutte le squadre del comprensorio.
Che quei tempi erano definitivamente passati, se n’accorse la professoressa Marta Giuglioni Garetti quando, alcuni anni dopo, nominò casualmente il nome del vecchio sindaco in relazione ad un monumento eretto in quegli anni.

La risposta di Kevin Amoruso – capelli rasati, maniche corte nonostante fosse solo Marzo – giunse spontanea, quasi inconsapevolmente sfuggita: «Ma chi era quello, prof? Mannaggia, però, che nome che teneva…»

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.


Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Questa pubblicazione non può essere considerata alla stregua della pubblicazione a stampa, giacché ha carattere saltuario e si configura, dunque, come un libera espressione, così come riferito dall'art. 21 della Costituzione. Per le immagini eventualmente presenti, si fa riferimento al comma 3 della Legge 22 Maggio 2004 n. 128, trattandosi di citazione o di riproduzione per fini culturali e senza scopo di lucro.

13 febbraio 2011

Secondo copione


La creazione di una nuova forma di società al posto di quella attuale non è più solo qualcosa di desiderabile ma è diventata inevitabile. E sempre più numerose e più potenti diventano le schiere dei lavoratori nullatenenti, per i quali il modo di produzione odierno è diventato insopportabile, che non hanno nulla da perdere dal suo crollo ma tutto da guadagnare, che devono introdurre una nuova forma di società corrispondente ai loro interessi se non vogliono soccombere del tutto – e con loro però anche l’intera società di cui formano la componente più importante.”
Dal “Programma di Erfurt” – 1891.


Da piazza Tahir

Come era prevedibile, dopo un lungo tira e molla che aveva il solo scopo di garantire un futuro privo di sorprese per Hosni Mubarak e la sua famiglia, il faraone ha deposto il bastone pastorale ed il flagello. L’esercito è stato rassicurato dalle parole di Obama – “disposti ad aiutare l'Egitto in ogni modo”[1] – che, tradotto dalle roboanti affermazioni di facciata al più pragmatico linguaggio dei dané, significa che gli USA continueranno a sostenere la casta militare egiziana, al tintinnante suono di miliardi di dollari l’anno.
Potrà stupire che una sommossa popolare così lunga e sanguinosa sia terminata, in fin dei conti, con il passaggio del potere nelle mani del dell'Alto Consiglio delle Forze armate, alla testa del quale c’è Mohamed Tantawi, il grado più elevato nelle Forze Armate Egiziane. Tantawi ha il rango di Mareşal che gli deriva dalla tradizione dell’Impero Ottomano, “occidentalizzato” con un “Field” o “Feld” che dir si voglia.
Insomma, il potere è ora nelle mani dell’Esercito.

Anche questa apparente stranezza – in Occidente sarebbe più un golpe – trova la sua spiegazione con la tradizione Ottomana, prima e dopo Ataturk: ho sempre ricordato che l’Impero Ottomano – diluitosi fino a scomparire, in silenzio, al termine della Prima Guerra Mondiale – è un “animale addormentato” della Storia, che continua ancora oggi a sopravvivere in queste apparenti “tradizioni”, poiché l’Impero Ottomano fu l’unica[2] grande entità imperiale e multiculturale sviluppata da un Paese musulmano.
Nell’Impero Ottomano – e forse ancor più dopo la riforma di Ataturk nella Turchia Moderna – l’esercito è sempre stato l’ago della bilancia dei mutamenti interni ed internazionali: come ricordavo in un precedente articolo – Tutto può succedere. O niente.[3] – anche il violento assalto alla Freedom Flotilla da parte d’Israele s’inquadrava nel tentativo di far insorgere la “casta” militare turca – i cosiddetti Dunmeh[4] – contro il legittimo governo. Ovviamente, nel tentativo di favorire la politica israeliana e di frenare il riavvicinamento turco alla Siria ed all’Iran.
Oggi, invece, Israele tace.

C’è solo una breve dichiarazione di ex ambasciatore israeliano al Cairo, Zvi Mazel: “Gli Stati Uniti hanno perso oggi la maggior parte della loro influenza nella regione”. Tutti gli altri si sono defilati: è Sabato, non si parla. A nostro avviso, parole pronunciate in fretta ed a vanvera. Perché?
Poiché gli USA hanno ancora in mano i cordoni della borsa – certo, non è più la borsa di un tempo – ed i militari egiziani – l’Egitto stesso – hanno bisogno di quei soldi per puntellare un’economia che non è certo florida.
Anche all’interno dell’esercito egiziano, però, sono avvenuti cambiamenti: come non ci fu sollevazione militare in Turchia contro il governo dopo l’assalto alla Freedom Flotilla, oggi gli ufficiali egiziani hanno preferito non mettersi contro la popolazione e gli USA per far piacere, in fin dei conti, solo ad un rais 82enne ed a Tel Aviv.
Cosa è cambiato?

La consapevolezza che non si può governare indefinitamente contro la popolazione, e questo è il grande merito dei giovani egiziani, i quali hanno pagato un tributo di sangue non indifferente per convincere l’esercito che, finalmente, era ora di “staccare la spina” a quell’ectoplasma vivente di nome Mubarak.
Non nascondiamo, però, che dietro la possente rivolta egiziana hanno giocato e giocano ragioni internazionali: gli USA sono sempre gli USA, ma Obama non è Bush.
Come ricordavo in un precedente articolo – Apparentemente[5] – Obama non ha per nulla gradito gli appoggi di Tel Aviv al movimento dei “tea party” – a lui ostile – che gli hanno fatto perdere le elezioni di medio termine.
Comprendendo che, se non metteva un freno alle potenti lobbies israeliane negli USA poteva dar addio ad una possibile rielezione nel 2012, ha agito di conseguenza.

Oggi, al contrario di quanto afferma l’oscuro funzionario israeliano, gli USA non hanno proprio perso nulla nella regione: anzi, hanno guadagnato – agli occhi degli egiziani, ma anche oltre i confini del Nilo – l’alone di chi appoggia la democrazia senza esportarla con i bombardieri. Con un diverso agire, hanno riproposto lo schema che fu di Suez nel 1956, laddove estromisero le ex potenze coloniali Francia e Gran Bretagna: oggi, è toccato alla troppa ingerenza d’Israele.
La mossa diplomatica statunitense è stata dunque un successo: ciò non significa affatto che Israele sarà abbandonato al suo destino e che al Cairo s’insedierà un regime islamico, il quale pretenderà la cancellazione d’Israele, bensì che ogni mossa in quello scenario dovrà, in futuro, essere attentamente proposta da Tel Aviv e sempre mediata da Washington.
Gli insediamenti nel West Bank, ad esempio, ma anche l’infinita querelle sul nucleare iraniano: Obama, per cercare di salvare il suo Paese da una povertà che sta diventando endemica, deve varare una fase isolazionista (tipica delle amministrazioni democratiche) che gli consentirà risparmi sul fronte della politica estera. In sintesi: meno Iraq, meno Afghanistan e, meno che mai, un Iran.

Oggi è troppo presto per capire “cosa” diventerà il nuovo Egitto: se con Sadat terminò il “nasserismo”, con l’addio di Mubarak è terminata senz’altro la fase di restaurazione dal nasserismo. I desideri degli USA sappiamo quali sono: trionfo del “Mercato”, libertà d’impresa (e di profitto) e sottomissione alle grandi scelte strategiche targate USA.
Le speranze della popolazione egiziana sappiamo che sono una democrazia vera, senza carceri di regime, ed un’economia più attenta alle esigenze di larghi strati della popolazione.
Entrambi gli obiettivi sono – in parziale misura – a portata di mano e, senz’altro, la percezione che ne avrà la popolazione sarà di un miglioramento, almeno nella fase iniziale del processo: oltre – ad esempio, esplorare quale peso sarà concesso alla Fratellanza Musulmana nel Paese – è oggi più materia per indovini che per analisti.

La diplomazia statunitense ha dunque centrato il suo obiettivo, ma – nello scenario mediterraneo – non è certo finita qui.
Dubitiamo che le rivolte in Nord Africa potranno estendersi a Paesi come l’Algeria (metano, Francia, timore di un vero regime islamico), Libia (scarsa popolazione, petrolio in abbondanza, regime meno compromesso) e Marocco (emigrazione come valvola di sfogo, casa regnante ben posizionata nella società marocchina), però esiste un altro Paese in bilico, questa volta sull’altra sponda. E’ l’Italia.

Da Piazza Navona

Per comprendere quanto siano freddi i rapporti fra Roma e Washington, basta riflettere sulla frequenza delle visite diplomatiche, lasciando pure in un cantuccio le rivelazioni di Wikileaks.
Domandiamoci perché Obama non è mai venuto in visita ufficiale in Italia – G8 a parte – mentre ha visitato le altre capitali europee. L’unico incontro alla Casa Bianca fra Obama e Berlusconi è datato 2009 e durò una manciata di minuti, nei quali il Presidente USA parlò quasi ininterrottamente e, con l’aria dello scolaretto che l’ha fatta grossa – “Obama abbronzato” – Berlusconi se ne stette in silenzio ad ascoltare[6].
Ci sono, senza ombra di dubbio, questioni concrete come l’appoggio di Berlusconi a Putin – che non è certo disinteressato, per l’Italia (sicurezza negli approvvigionamenti) e personale (appoggio o “silenzio assenso” internazionale, probabili “affari” energetici) – e l’infinita querelle dei gasdotti. Ma c’è dell’altro.
L’appoggio incondizionato che Berlusconi fornì all’amministrazione Bush è ancora oggi mal visto a Washington e, nei think tank che contano, il premier italiano è considerato inaffidabile, persona poco gradita.
Veniamo, allora, alla situazione italiana.

Ad ogni, nuova boutade del Presidente del Consiglio, il Presidente Napolitano risponde[7] con la minaccia d’applicare l’art. 88 della Costituzione:

“Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non può esercitare tali facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato.”

Berlusconi si trova, però, in un cul de sac generato dalle precise e gravi accuse formulate dai giudici milanesi: concussione, abuso di potere, sfruttamento della prostituzione minorile. E, probabilmente, il ventaglio delle accuse che potranno essere provate s’arricchirà.
Come può rispondere?

Andare in giudizio sarebbe un suicidio: al termine – pur cercando di creare un clima da “Il Caimano” (paradossale: Berlusconi che deve imparare da Moretti!) – ne ricaverebbe soltanto una condanna e l’interdizione dai pubblici uffici.
Deve mostrare di non arrendersi, ed è costretto a sganciare sulla politica italiana la Ferrara-bomb[8]: roba da ultima spiaggia. Oppure, ordinare alla sotto-sottotenente Santanché di guidare un manipolo d’irriducibili di fronte al Tribunale di Milano: 150 persone che hanno finito per prendersi soltanto degli insulti. Già che c’era, poteva ordinare alla “Force Blue”, comandata dal sotto-guardiamarina Briatore, di risalire il Po con la sua nave da battaglia. Ah, già: la nave è sotto sequestro.
Insomma: le forze in campo sono scarse, le tanto evocate”piazze” finiscono per assomigliare alle “ridotte della Valtellina” del giorno che fu. E il giorno dopo fu Dongo.

Sul fronte parlamentare, bisogna rassicurare i cosiddetti “Responsabili”: gente che è stata “responsabilizzata” con argomenti politicamente profondi e sicuramente coinvolgenti, i 150.000 euro del mutuo di Razzi ed i 200.000 del debito di Scillipoti. O no?
Gente affidabile, dunque, fino alla prossima rata: gente che ha preso il Parlamento come un dispensatore di stipendi e pensioni e che quando la Legislatura finirà – giacché hanno più di 60 anni – si godrà una bella pensione d’almeno 3.000 euro il mese alla faccia vostra, nostra e pure di Berlusconi. Vatti a fidare.

L’ultima chance è mettere al lavoro i suoi avvocati – Ghedini e Alfano – per mettere insieme una bella riforma della Giustizia che consenta, questa volta, di de-rubricare reati come il falso, la concussione, l’abuso di potere e la prostituzione minorile.
Ma, qui, c’è l’altolà del Colle: se non proprio a Dongo, Berlusconi è già sulla via di Como.
Fanfaluche?

Per riuscire in una simile operazione, è necessario che le persone non caschino nell’inganno che Berlusconi è un perseguitato – vere o false che siano le accuse, più o meno gravi, ecc – e, perciò, bisogna mantenere alto l’interesse sulle sue vicende “privé”: qui, da noi, non s’ha il coraggio d’affrontare le fucilate in piazza come al Cairo, questo lo sanno anche oltreoceano.
A questo pensa un gruppo editoriale che si spaccia per “equanime”, ma che tanto neutrale non è: De Benedetti aspetta un rimborso di 700 milioni di euro per la faccenda Mondadori, e non ha né il tempo e né la voglia d’attendere che Berlusconi abbia la possibilità di corrompere qualche giudice o di farsi la solita leggina ad personam.
Molti italiani, però, sanno che ci sono anche vicende del passato, vecchie ruggini fra il gruppo Repubblica/Espresso a confondere le acque e potrebbero insospettirsi per il clamore che ogni giorno si solleva da quelle pagine.
Allora?

Beh, intanto si chiede la visione su RAI3 dei minuti finali de “Il Caimano” di Nanni Moretti (film per il quale la RAI pagò 1,5 milioni di euro per i diritti, e che mai trasmise), quelli nei quali il regista romano mostra d’aver visto anzitempo il futuro, e non solo per le parole messe in bocca al fantomatico “Caimano”. Disse anche, a Piazza Navona, rivolto a Fassino, Rutelli & Co: “con questi uomini non vinceremo mai”, e glielo disse sulla faccia. Doppio centro.
Ma, si sa, RAI3 è un regno di comunisti assassini, con la bava alla bocca ed i kriss insanguinati pronti per colpire il Dio dell’Amore, Nobile Cavalier da Arcore.
Che si fa?

Come, suppongo, molti di voi, ho riso parecchio nel guardare la bellissima parodia di Grease creata dalla “Sora Cesira”: se qualcuno non l’ha vista, il collegamento è in nota[9].
Già che ci siete, date un’occhiata agli altri video del sito: sono veramente belli ed originali. Certo, testimoniano una preparazione professionale e dei mezzi mica da poco: pianoforti a coda, teatri, ecc. Anche, però, la disponibilità dei diritti per “storpiare” un film coperto da copyright.
La Sora Cesira ha dichiarato che il lavoro l’ha fatto soltanto lei, con l’aiuto di un assistente[10]:

“Abbiamo registrato e montato il video con il mio assistente per divertirci, poi un giorno che ero a casa con l’influenza l’ho pubblicato. E ha fatto il botto. Una cosa che ha stupito anche me.”

Ci permettiamo, grazie a qualche conoscenza musicale che abbiamo, di dubitare: sono lavori svolti da professionisti, mica da gente che s’improvvisa nel fare cose del genere quando ha l’influenza.
A parte le indispensabili competenze musicali, c’è un lavoro che riguarda la corrispondenza con la mimica facciale degli attori del film (doppiatori?), i tempi (assistenti di regia? montatori?) e, infine, la disponibilità di un coro mooooooolto preparato (che compare in “Aggiungi un posto all’ATAC”), in grado di “stare” senza difficoltà nei tempi della base musicale. Tutto a letto con l’influenza?
Se, poi, corrisponde al vero che il video è comparso per la prima volta su Sky – la pay-Tv di Murdoch, ma non posso affermare con certezza che la notizia sia vera – il quadro sarebbe completo: in ogni modo, vicende come questa indicano quanto sia esteso, pericoloso e distruttivo per le istituzioni italiane avere un Presidente del Consiglio che può essere ricattato non dalla Minetti o da Ruby Rubacuori, bensì da Murdoch, Razzi, Scillipoti e da qualche altoatesino che potrebbe chiedergli l’annessione all’Austria in cambio del voto per il processo breve.

Non ce ne voglia la Sora Cesira, chiunque essa sia: ha svolto un ottimo lavoro, perché se il suo video riuscirà anche solo per lo 0,1% a toglierci dalle p…il Caimano, avrà tutta la nostra riconoscenza. Infine, possiamo comprendere le motivazioni del suo riserbo.

Solo, non siamo proprio gli ultimi allocchi scesi dall’astronave de no antri; non vorremmo che fosse una storiella come quella che raccontò Eugene Luttwak a Santoro riguardo la consistenza dell’UCK: erano solo pochi contadini, armati con pochi fucili da caccia, che s’opponevano ai corazzati serbi.
Solo le popolazioni soffrivano, ed era necessario soccorrerle con aiuti umanitari: prese il via la “Missione Arcobaleno”.
Al termine del conflitto, tutto il materiale inviato dai generosi italiani fu ritrovato a Valona – i container erano intatti, con dentro cibo e vestiti marci e maleodoranti – così come era stato spedito dall’Italia. Un’incongruenza, vero?
Solo apparente, perché se l’UCK era formata da pochi contadini, allora era soltanto una questione di disorganizzazione e di corruttele.
Se, invece – come si capì dopo la fine del conflitto – l’UCK (ci sono le testimonianze di molti “scampati” al giungere degli uomini di Hashim Tashi in Kosovo) era una forza militare organizzata e molto ben equipaggiata, con una probabile consistenza intorno ai 100.000 uomini, ogni giorno bisognava inviare almeno 10 Kg a testa di rifornimenti perché continuasse ad essere operativa.
Ciò, significa che almeno 1.000 tonnellate di materiali…armi, munizioni, viveri, medicinali, vestiario, carburanti…dovevano varcare giornalmente l’Adriatico: addirittura, i servizi segreti riuscirono ad infilare quattro cannoni anticarro fra gli aiuti di un’inconsapevole Caritas. Oh, la Missione Arcobaleno, come fu utile…
A margine: tutto questo (e molto altro) era già pronto nel 2000, ma nessuna casa editrice se la sentì di pubblicarlo.

Questo esempio serve a capire che ciò che appare non sempre è quel che è, anche nelle migliori intenzioni di chi opera per uno scopo umanitario, civile, oppure per legittime rivendicazioni politiche.
Nel mondo dei servizi, nessuno verrà mai a dirti “Fai questo, perché mi serve”: sarai avvicinato da qualcuno che magari conosci, il quale ti dirà che c’è un’occasione, un lavoro, una cosa che interessa ad un tizio – anche lui sopra ogni sospetto – e farai delle cose credendo d’agire indipendentemente, magari per un alto scopo. Guadagnandoci pure, in modo del tutto onesto.
Invece, stai lavorando per il Re di Prussia senza saperlo, anche se in quel momento la tua posizione e quella del misterioso sovrano coincidono, almeno in parte.
Oppure, vogliamo credere che il centro-sinistra – dal 1996 al 2001 – si “dimenticò” d’approvare una legge sul conflitto d’interessi?

Conclusioni

Egitto e Italia: paragone improponibile? Dipende dai termini della comparazione.
Se li guardiamo “dal basso” – ossia da Piazza Tahir e da Piazza Navona – obiettivamente lo sono: troppe le differenze storiche e culturali, i due, rispettivi quadri politici, la collocazione geografica, ecc.
Se, invece, li osserviamo “dall’alto” – dallo studio ovale della Casa Bianca, ma anche da qualche discreto appartamento londinese, da una tenuta di campagna nelle Asturie, da un’isola nel Pacifico, chissà… – non sono poi così distanti.

Non si poteva attendere la naturale fine di Mubarak, poiché era troppo pericoloso: vogliamo soppesare l’importanza del Canale di Suez nel quadro dell’interscambio con l’Estremo Oriente? Il periplo dell’Africa sarebbe una iattura ben peggiore di quella del 1973. Oppure un governo che non avesse continuato a mantenere in scacco, per la parte che gli compete, la Striscia di Gaza, aiutando Hamas?
No: meglio assicurarsi la fedeltà dell’Esercito egiziano, il quale – col tempo e con la paglia – “nominerà” il premier che vincerà le elezioni: spiace per il sangue versato, ma così è.

Il governo Berlusconi fu “nominato” – nel 1994 – per non lasciare nelle mani di una sinistra arruffona il Paese, ed il Vaticano negò ai “suoi” l’accordo che fu di Moro, ossia di correre insieme contro il Cavaliere. Poi, fu chiaro che l’uomo non era in grado di pilotare l’Italia verso il “traguardo” europeo e ci fu la disponibilità di un cavallo di razza come Prodi: quando un cavallo è migliore, senza pensarci su due volte si cambia cavallo.
Dopo cinque anni di traversata del deserto, Berlusconi fu pronto per la sua stagione (2001-2006), nella quale propose roboanti riforme “a futura memoria” – scuola, pensioni, stranamente approvate per il futuro – ma riuscì col solito sistema delle leggine, dei comma nascosti, dei “regolamenti” a distruggere quel poco d’economia sociale che ancora esisteva. Uno dei suoi primi provvedimenti – che, scommetto, pochi ricordano – fu la cancellazione della figura del socio-lavoratore nelle cooperative, una tremenda mazzata per le vere cooperative ed un gran sollievo per quelle false e di regime (dx e sx).

Nel 2006 doveva cedere il comando a chi avrebbe continuato il suo lavoro senza far urlare l’asino mentre lo pelava: difatti, nel 2007 Cesare Damiano partorisce una riforma delle pensioni peggiore di quella di Maroni.
Qui, la politica italiana impazzisce: iniziano i lavori sotterranei di Berlusconi per sottrarre uomini al Senato e far cadere Prodi. Cominciano allora a comparire le storie di attricette, inizia la fase del delirio d’onnipotenza, che si conclude con la vittoria del 2008. Poi, l’alterazione mentale ha il sopravvento: la moglie lo definisce “malato” senza mezzi termini, uomini come Pisanu e Taormina s’allontanano o lo abbandonano.

Inizia la fase della cosiddetta “autosufficienza” parlamentare, la deriva populista, ma l’attività di Governo è paralizzata: Brunetta sforna “riforme” che non stanno in piedi, la Gelmini “leggine” che finiscono per essere bocciate per incostituzionalità, ed il marasma dilaga.
I medici, pena il licenziamento, devono inviare per via telematica i certificati di malattia ma la rete che dovrebbe riceverli non funziona, le graduatorie per le supplenze e l’immissione in ruolo sono falsate, tutto da rifare, ricorsi a migliaia: lo Stato è paralizzato, Confindustria lancia grida d’allarme, i sindacati che si sono venduti per trenta denari un po’ troppo in fretta temono, i giovani emigrano, il rapporto debito/PIL raggiunge il 120%.

E’ ovvio che le istituzioni finanziarie ed economiche internazionali non possono più accettare un simile sfascio: si possono salvare la Grecia e l’Irlanda, ma il crollo dell’Italia significherebbe la fine dell’euro e della BCE. Non si possono lasciare nelle mani dei dilettanti le cose serie.
Le contromisure sono quelle che sono sotto i nostri occhi: tutta la stampa estera è già in fila per il funerale politico di Berlusconi[11] il quale – se non capirà per tempo l’antifona – rischia grosso. Probabilmente, si ricorrerà ancora una volta a Bossi per sistemare la faccenda, oppure a Maroni, che sembra il vero “astro nascente” padano.

Qualcuno potrà ricordare che Berlusconi sembra avere sette vite come i gatti: anche Mussolini, poche settimane prima di Dongo, arringava la folla. Con apparente successo.
E i ragazzi di Piazza Tahir, le donne che scendono in piazza per difendere la propria dignità di non essere merce, i ragazzi che sono stufi di non avere futuro, i contadini del Delta del Nilo, gli operai della “New FIAT”?

Queste vicende, se approfondite, tornano a proporre l’eterno dilemma fra il leninismo e la socialdemocrazia, del mutamento concordato con il potere, senza soluzione di continuità, oppure dello “strappo” rivoluzionario: qui, la confusione è massima.
Molti siti e commenti funzionano col sistema dello stadio di calcio: il nemico del mio nemico è il mio amico, e morta lì. Questo modo di porsi alimenta continui dibattiti, accese liti, a volte insulti e minacce: è un sistema che crea “share” ma uccide il tempo, nel senso che è soltanto tempo perso stare a leggere e commentare.

Se non si riflette sulla nascita della socialdemocrazia – ossia il grande tradimento/innovazione di Kautzky – non si può capire perché due posizioni che sono storicamente antitetiche possano trovare, magari solo per alcuni periodi, sintesi e simbiosi reciproca.
E, attenzione, non perché Lenin o Kautzky le abbiano “inventate”, bensì perché ne hanno provato – da opposti balconi, partendo entrambi dalle asserzioni marxiane – la scientificità storica.

Forse che, i giovani egiziani, sono scesi in piazza per garantire la continuità d’esercizio del canale di Suez? No, ma coloro che li appoggiavano – “siamo col popolo”, rimbalzavano da Washington – quello ed altro intendevano.
Le donne che difendono la loro dignità in piazza, pensano che il primo dei problemi sia il “risanamento” dei conti pubblici per “agganciare” la “ripresina” europea? Eppure, avranno sostegno e visibilità da molte persone – pensiamo a Mario Monti od a Mario Draghi, con tutti i think tank nostrani, le fondazioni che ne discendono, ecc – che proprio quell’obiettivo cercano.

Due volte, nella Storia, il meccanismo sfuggì di mano agli orologiai: Luigi XVI fu il re francese che più investì per l’istruzione del suo popolo il quale, quando più seppe, lo scapitozzò. Nonostante, fra i rivoluzionari, ci fossero personalità come La Fayette, che non parevano proprio persone che andavano in giro a tagliar teste ai re.
Lenin traversò la Germania “coperto” dai servizi segreti imperiali, all’oscuro del Kaiser – lo zar Nicola era suo cugino, la zarina tedesca – e riuscì nell’intento di depotenziare la Russia al punto di giungere alla vantaggiosa (per Berlino) pace di Brest-Litowsk.
Nemmeno i bolscevichi ritenevano di riuscire nell’impresa – difatti, si mostrarono molto impreparati a governare dopo aver preso il potere – e, anzi, temettero ragionevolmente di fare la fine dei decabristi di mezzo secolo prima.

Tutto il resto, le conquiste del dopoguerra delle classi operaie europee, è avvenuto in un quadro di contrattazione, di socialdemocrazia. Tornando ai parallelismi, il “nasserismo” non fu forse una forma di “via” socialdemocratica araba? In Egitto come in Iraq, in Sira e Libia, in Algeria come nell’Iran di Mossadeq?
E’ di questi giorni la contrattazione, aperta alla Volkswagen tedesca, di un nuovo modello contrattuale che tenga conto delle esigenze delle famiglie: ebbene, questo processo s’inquadra nella Mitbestimmung, (codecisione) che ha rango costituzionale in Germania, poiché discende direttamente dalla socialdemocrazia storica.

In conclusione, possiamo forse spezzare una lama d’ottimismo: i meccanismi che osserviamo all’opera sono vecchi di secoli, sia al Cairo e sia a Roma, ma esiste un nuovo attore, l’agorà internazionale del Web.
Le “menti raffinatissime”, che hanno percepito i pericoli a Roma come al Cairo, si sono subito attivate e, in quadro socialdemocratico, concederanno quel tanto che sono obbligate a permettere proprio per non finire in guai peggiori.
La percezione delle popolazioni sarà positiva: la vittoria contro il rais al Cairo riempie d’orgoglio i giovani egiziani; presto ci saranno feste, ci saranno frizzi e motteggi per la fine dell’incubo Berlusconi. Come al Cairo, presto, non si troverà un “mubarakista” anche a pagarlo a peso d’oro, così a Roma i berluscones compariranno tutti con folte chiome e promettenti lanugini.

Ancora una volta, il quadro generale del capitalismo e del neocolonialismo sarà salvo, pur considerando il prezzo che dovrà pagare: per le vere feste – energia, reddito di cittadinanza, smembramento delle burocrazie di controllo, economia sociale sostenibile e tanto altro – la festa è, purtroppo, rimandata.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.


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[1] Vedi: http://www.repubblica.it/esteri/2011/02/11/news/reazioni_egitto-12356846/
[2] I Grandi Califfati possono essere in qualche modo assimilati, ma non ebbero l’organizzazione imperiale ottomana e s’estinsero molti secoli or sono, mentre l’Impero Ottomano giunse al Novecento. Di conseguenza, molte tradizioni sono ancora oggi mutuate da quel passato.
[3] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2010/06/tutto-puo-succedere-o-niente.html
[4] Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Dunmeh
[5] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2011/01/apparentemente.html
[6] http://www.youtube.com/watch?v=m4ToIGz0c7Y&feature=relatededi: http://www.youtube.com/watch?v=m4ToIGz0c7Y&feature=related
[7] Vedi: http://www.repubblica.it/politica/2011/02/12/news/napolitano_incontro-12371416/
[8] Vedi: http://www.repubblica.it/politica/2011/02/12/news/la_manifestazione_ferrara_attacca_la_procura_di_milano-12367894/
[9] Vedi: http://lasoracesira.blogspot.com/
[10] Fonte: http://blog.leiweb.it/novella2000/2011/02/09/parla-la-sora-cesira/
[11] Vedi: http://www.repubblica.it/politica/2011/02/12/news/per_l_a_stampa_estera_silvio_alle_corde_l_ultima_battaglia_del_cavaliere-12378456/

09 febbraio 2011

Che bella la normalità!


Scorrendo la stampa italiana – quella estera no, sarebbe come per un depresso visitare ponti e rotaie – si ha l’impressione che tutto quel che avviene sia la politica del (ex) Belpaese, la “normalità” del consueto, la pagnotta di tutti i giorni.

E’ perfettamente normale infiammare, per settimane, il mondo del lavoro col referendum FIAT, poiché bisogna essere responsabili (normali?) e capire che se si vuol lavorare bisogna farlo alle condizioni del Mercato. Eh, diamine.
Poche settimane dopo, è altrettanto normale affermare che la FIAT – se tutto procederà bene (normalmente?) negli USA – se ne andrà e sposterà la direzione a San Francisco. Eh, se conviene…
Ovviamente, solo dopo aver saldato i conti con le amministrazioni USA e canadese, aver reso fino all’ultimo cent ricevuto in prestito – eh, diamine – perché se si è persone serie (normali?) così ci si deve comportare.

Gli anormali sostengono che la FIAT, con tutti i soldi ricevuti dallo Stato italiano, dovrebbe essere per lo meno nazionalizzata, che bisognerebbe dare un bel calcinculo a Marchionne e spedirlo in orbita con la sua spocchia.

Siate ragionevoli! (normali!) – risponde il canadesino – quei soldi io non li ho presi! Li avranno presi gli Agnelli…ma sono morti! N’est pas?
Gli anormali sostenevano che era giusto, prima di votare, vedere le carte, ossia quel che il Marchionnino col bel pulloverino voleva fare della FIAT. No, pas possibile, perché a poker non si possono vedere le carte senza pagare. C’est normale.
Per la bad company targata new FIAT – che lavorerà senza contratto di lavoro, con una direzione aziendale lontana 5.000 chilometri – saranno probabilmente previste nuove mansioni. Le auto ibride? Elettriche? Idrogeno?

No, suvvia, non siamo anormali.
Si sta pensando a promettenti mercati di nicchia: quando tutti produrranno le auto elettriche, rimarremo gli unici a farle a petrolio! Capito la furbizia? Paolo Scaroni – quello “normale” che lavora “per diventare il più ricco del cimitero” (parole sue) – ci ha garantito che le auto dell’ENI continueranno a marciare a petrolio, almeno fino al 2120! Lavoro sicuro!
In alternativa, diversificheremo: Fabbrica Italiana Archi (e frecce) Torino. Per le frecce, però, bisognerà capire se la direzione aziendale non vorrà creare una Bad Company nelle Badlands, ed affidarla ai Lakota nelle riserve. Ci sembra normale: una questione d’esperienza, di know how.
Nel caso, in Italia ci getteremo su altri, promettenti mercati di nicchia: carri da buoi, archibugi, penne d’oca, pennini, gadget in bachelite, otri per vino ed olio…c’è un mare di proposte da esplorare! Bonanni e Angeletti, informati delle novità produttive, si sono detti entusiasti! E’ normale entusiasmarsi.
Bisognerà, però, osservare che piega prenderà la politica italiana.

Perché, signori miei, ad essere sinceri (normali?) ci sono due ipotesi al vaglio, che dipendono entrambe da una data, quella del Primo Novembre. Festa d’Ognissanti? No! Falso! Anormale!
E’ l’incerta data di nascita di una giovin pulzella – tale Rubì Rubacuorì – perché non si sa per certo se sia nata il 1/11/1991 oppure il 1/11/1992. Una terribile différence.
Pare che la Rubacuorì sia stata da un funzionario di polizia…un Carabiniere, perché aveva perso il portafogli, una denuncia…ed abbia dichiarato il 1991, ma dalle carte ufficiale pare sia 1992…una confusion terrible…

Eh già…vedete, perché, per noi della FIAT è essenziale – prima di decidere se restare a Torino oppure andare a San Francisco – sapere se la ragazza è del 1991 o del 1992: questione di vita o di morte (degli altri).
Ne ho parlato in America con il governatore Cota, ed il sindaco Chiamparino ha detto che gli avrebbe chiesto, per sapere come stanno le cose. Ma i due non si parlano: è normale.
Tutto parte da quella data: la sorte del governo, è chiaro? Della riforma federale! E’ chiaro? E’ facile da capire, è normale.

Solo se è del 1991 potrò continuare a vedere il mio amico Sacconì – su, adesso non mettetemi in bocca cose che non ho detto…avevo detto che saremmo stati in un “cul de sac”, non che era un “sac de merde”, non conoscete il français e volete parlare… – perché Sacconì è très importante, è il perno di tutta la question.
Perché, vedete, se è del 1991 tutto l’ambaradan messo su dai giudici di Milano crollerà come un castello di carte e varrà il sacrosanto principio che ciascuno, a casa sua, è libero di trombare tutte le ragazzine che desidera: è un diritto sancito dalla Constitution, è normale.
In quel caso, la Lega Nord sarà certa che incasserà la sua riforma federale e non staccherà la spina – che strano modo di dire, questi italiens – così i Responsabili (normali) in Parlamento voteranno tranquilli che il Governo non cadrà e continueranno a prendere tutti i mesi i loro bei baiocchi. Il FLY – pardon FLI – scenderà in picchiata e si schianterà al suolo. Tutto tornerà tranquillo: normale.

Ma se la ragazza è del 1992…ahi, ahi, que terrible notice…allora ci sarà la terrible accusa di prostituzione minorile…roba da finire alla Bastille…la Lega Nord farà un accordo per il federalismo con Bersanì, Silviò finirà nella merde e sarà costretto a fuggire a Parigi, da Carlà, sperando che all’Eliseo gli preparino la soupe di magro e gli cambino i pannoloni.
E il mio amico Sacconì? Dove andrà? Pazienza: gli troverò un posto da usciere a San Francisco.

Il problema è che, con l’accordo sul federalismo con Bersanì, in cambio quei perduti del PD vorranno qualcosa – poca roba, ma per i miei azionisti è già troppo: lo sapete che un pieno per uno yacht costa 50.000 dollari? – e magari saremo obbligati a rivedere gli accordi…ah, no, speriamo sia del 1991…proprio adesso che era tutto a posto…era normale…
Perché tutto si gioca su un dilemma: essere o non essere (del 1991)? Dove ho già sentito questa frase? Non ricordo, ma la matematica non è mica una opinion: c’est vrai?

Aurevoir, monsieur Marchionnì: già che ci siamo, gliene ricordiamo un’altra: ci sono più cose fra cielo e terra – Orazio – di quel che racconta la tua filosofia. Anche anormali, per nostra fortuna.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

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