31 luglio 2009

Questua o sfascio totale?

“Oggi faccio scaturire la materia per più tracotanti Repubbliche
Walt Whitman

Verrebbe quasi la voglia di non scrivere nulla, tanto la querelle del cosiddetto “partito del Sud” potrebbe apparire come la solita questua estiva, il consueto affilare le lame nell’attesa della Finanziaria. Ci sono, però, alcuni elementi che tendono a farci ritenere che quella che sta emergendo sia solo la punta dell’iceberg, e che il futuro ci riserverà molte sorprese.
Avevo già indicato rischi del genere in due lunghi articoli – “Non può che finire così” (1 e 2)[1] – perciò, rimando chi desiderasse approfondire l’argomento a quella lunga e dettagliata analisi.

I nodi che stanno venendo al pettine – dopo un solo anno di governo, con una maggioranza schiacciante, è bene ricordarlo – non sono “interni” alla maggioranza di governo, come i meno attenti potrebbero concludere, bensì sono “interni” al Paese-Italia, alla sua composizione sociologica, ai suoi livelli di reddito ed alla re-distribuzione della ricchezza.
Sappiamo che la causa primigenia del collasso della nazione risiede soprattutto nell’accoppiata fra il signoraggio bancario e la debolezza industriale ed economica italiana, ma ci vorremmo soffermare oggi più sulle istanze relative all’azione di governo, al suo incedere.

Apparentemente sopraffatto dalle vicende di gossip – fin troppo esacerbate da alcuni giornali, i quali hanno costruito sopra quelle carte un castello, per vederlo crollare il giorno dopo la “splendida” rappresentazione mediatica del G8, un nulla di fatto trasformato in uno show, in pieno stile Mediaset – Silvio Berlusconi si ritrova fra le mani una patata bollente di non facile soluzione.
E, gli stessi giornali che hanno calcato la mano (giungendo al cattivo gusto) sulle “escort”, hanno “dimenticato” che è sempre dall’economia che si parte per comprendere gli sviluppi politici, e non dagli harem. It’s the economy, stupid. Ricordate?

Se la questione potesse essere confinata semplicemente nei recinti delle lotte di potere – comunque presenti, come sempre – allora non ci sarebbe da preoccuparsi: il Governo ha sbloccato qualche miliardo di fondi FAS per il Sud (per altro, già destinati da tempo) e Lombardo, Micchiché & Co sono tornati a sorridere a Palazzo Grazioli.
Invece, abbiamo la netta sensazione che la cosa non terminerà qui: perché?

Poiché la schiacciante vittoria elettorale del 2008 consegnò nelle mani di Berlusconi un potere senza limitazioni, compresa un’opposizione inesistente, numericamente e politicamente.
Il fenomeno, ingenerò nel Presidente del Consiglio un ben strano sillogismo: ho vinto l’Italia al Superenalotto, adesso basta trattarla come si fa con un’azienda ed il gioco è fatto. In fin dei conti, tutto il battage orchestrato sulle “escort” – dopo i “fasti” (in realtà, solo fumo mediatico) del G8 – è stato declassato a semplice scopata con la segretaria.
Le vicende interne al Governo ed al Parlamento sono gestite da Letta e Bonaiuti, e “papi” non si scomoda troppo per quelle incombenze: giunse a chiedere il voto per i soli capigruppo!
Fin qui, la solita politichetta italiota.

Invece, i dati economici indicano per Giulio Tremonti una strada sempre più in salita.
Il buon Giulio, ogni tanto, si ricorda d’essere (o di dover giocare la parte di) un economista: per questa ragione, è l’unico a tener d’occhio l’andamento del debito pubblico, il quale continua a salire in modo progressivo e costante, senza cedimenti.

"Sembra infatti che i conti pubblici vadano sempre peggio e che il debito italiano abbia infilato un nuovo record negativo arrivando a ben 1.752 miliardi di euro, mentre le entrate crollano a 4,5 miliardi. Secondo i dati di Bankitalia il debito pubblico aveva raggiunto nei primi 5 mesi del 2009 quota 1.752.188 milioni di euro, crescendo di ben il 5,4%.
Per avere un idea più chiara basta solo pensare che al 31 dicembre 2008 il debito pubblico si era attestato a 1.662,55 miliardi, un incremento notevole quindi che viene anche amplificato dal fatto che nei primi 5 mesi del 2009 le entrate fiscali sono anche diminuite del 3,2%, ovvero 134,8 miliardi, contro i 139,3 miliardi dello scorso anno"
[2].

Se l’UE stima un rapporto Debito/PIL superiore al 116%[3], ed “in corsa” nel prossimo anno verso il 120%, Tremonti sa che, in Finanziaria, gli interessi saliranno, che bisognerà trovare altri mezzi per taglieggiare gli italiani, ma la coperta si va facendo ogni giorno più corta.
Con i decreti dello scorso anno, riuscirono a reperire risorse tagliando 8 miliardi sulla scuola, ossia la famosa “riforma Gelmini”, scritta da Brunetta e Tremonti e poi controfirmata da Mariastella: assisa allo scranno più elevato di Viale Trastevere c’è soltanto una passacarte, null’altro.
Oggi, 2009, non basta: bisogna cercare altro sangue da spremere agli italiani.

Spero che nessuno abbia creduto alla pietosa balla del “richiamo UE” per elevare l’età pensionabile delle donne a 65 anni, poiché si è trattato di un “giochetto in famiglia”: mia cugina è appena andata felicemente in pensione, in Francia, a 60 anni e, là, nessuno ha sentito parlare di richiami UE. Oltretutto, le giustificazioni “giuridiche” sono pietose: perché solo le dipendenti pubbliche? Nessuno, dall’Europa, ha scritto una riga per chiedere come mai l’Italia non tenga conto – nella valutazione dell’età pensionabile – dei figli partoriti, una clausola presente in molti impianti pensionistici europei.
Perché questo strano balletto? Poiché il Governo deve fare cassa. Dove va a farla? All’INPS il quale, lo scorso anno, aveva una gestione previdenziale in attivo per 17 miliardi di euro. Non separando la previdenza dall’assistenza, hanno trovato il modo per attingere alle casse dell’INPS come e quando vogliono. I pretesti si trovano. Ma non basta ancora: il debito che “galoppa” lo dimostra.

In buona sostanza, il buon Giulio si sta scervellando per trovare cifre da incolonnare nella sezione “attivi”, ma è sempre più difficile scovarle.
Il problema è che – già nella legislatura 2001-2006 – si dedicarono alacremente alla demolizione dell’art 53 della Costituzione:

Art. 53: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Quei criteri di progressività sono andati via via ad annullarsi, con mille mezzi e mezzucci, poiché il Gran Capo aveva decretato di non “mettere le mani nelle tasche degli italiani”. Ovvero, d’alcuni italiani, i più ricchi come lui.
Il Gran Capo, però, si dedica più che altro all’aspetto mediatico: gli abruzzesi sanno benissimo che passeranno l’Inverno nessuno sa come ma, nella vulgata imperante, a Settembre rimarranno solo da attivare le gare d’appalto per chi dovrà fornire i gerani per le finestre delle casette.
Di qui la discrepanza fra l’apparenza mediatica e la realtà, che per ora tiene, ma fino a quando?

Purtroppo, con i numeri non si scherza e questo è il nervo scoperto che sta facendo “scoppiare” il centro/destra del Sud.
Già colpiti dalla riforma cosiddetta Gelmini – le decine di migliaia di docenti ed ATA “tagliati” sono soprattutto al Sud – oggi il Meridione s’interroga, cerca di comprendere se il tanto sbandierato federalismo fiscale non significherà la fine di quel trasferimento (valutato molto approssimativamente in un 10% del PIL) che consente alla sfasciata burocrazia meridionale di sopravvivere.

Da un lato, vengono a mancare posti di lavoro tradizionali, dall’altro – con la riduzione dei fondi FAS – quel groviglio di soldi generato dalle elargizioni politiche (progetti del nulla, assistenze inesistenti, ecc) finiranno per ridursi ad un misero rigagnolo. E non finisce qui.
Micciché – personaggio assai strano – s’era lamentato che nel decreto governativo anti-crisi non c’era una parola sul Ponte di Messina: probabilmente, con i chiari di luna che ci sono, il governo non se la sente più di fornire i 3,5 miliardi per la costruzione del ponte, più un’identica cifra come “copertura” per gli investimenti privati.
Anche perché, come tutti sanno, quei 7 miliardi iniziali chissà a quanto giungeranno alla fine dei (probabili?) lavori.
Insomma, per le regioni meridionali – soprattutto per la Sicilia, uno stato nello stato – appare all’orizzonte lo spauracchio della fine della “solidarietà”, la quale è sempre stata – dall’Unificazione in poi – una sorta di “tassa” per il Mezzogiorno.

Tremonti deve far fronte anche alle richieste del Nord, poiché il federalismo fiscale partorito dal “porcaro” Calderoli dovrebbe garantire tutti: dal Sud al Nord, Province, Regioni e Comunità Montane comprese (magari sotto altra forma e cambiandone il nome).
Come si potrà notare, si tratta di una politica da brivido, nella quale appare sullo sfondo il fantasma d’aver evocato la questione meridionale (e, per la deindustrializzazione in atto, quella settentrionale) in modo assolutamente stregonesco, senza comprendere che – quella – è la mina che può far saltare per aria il Paese.

Ovviamente, oggi i siciliani possono cantare vittoria e – da politici navigati quali sono – si guardano bene dal tirare la corda fino a romperla: l’essenza della loro sopravvivenza – collegata ai mille rivoli di corruzione e nepotismo che gestiscono – sta proprio nell’intangibilità di quel rapporto, che deve continuare sul filo di un rasoio sempre più stretto e tagliente.

Le rassicurazioni del commercialista Tremonti sono, ovviamente, pienamente soddisfacenti (!): resusciteranno la Cassa per il Mezzogiorno (sic!) e tutti i progetti finanziati saranno accuratamente monitorati(!)[4]. Parole da conservare come oro colato.
Ricordiamo che il suo compare Sacconi, solo pochissimi mesi or sono (10/3/2009), riguardo all’aumento dell’età pensionabile delle donne affermava che “Non c'è nessun innalzamento dell'età delle donne[5]: ah già, c’era la campagna elettorale…
Siamo quindi autorizzati a credere che il gozzoviglio siciliano (in pensione a 47 anni![6]), continuerà, che i 4 miliardi appena stanziati si trasformeranno – come sempre – in capannoni abbandonati, cemento a gogò e relative tangenti. Il “comparto” più ambito dagli amministratori siculi.

La sconfitta del “Partito del Nord” è cocente è completa: gli strilli di Brunetta, le minacce di Bossi, i silenzi di Maroni e tutto il resto rimarranno sullo sfondo. Perché?
Poiché, nella visione aziendale del Capoccia, sono soltanto strategie di mercato: oggi conviene investire nel comparto immobili, domani nella pubblicità, dopodomani nelle giacenze di magazzino.
Si dà il caso che la politica sia faccenda assai diversa dalla gestione aziendale: difatti, la preparazione universitaria ai due settori è completamente diversa e distante per impostazione, piani di studio, ecc.

Interpretare la politica nazionale come una semplice gestione aziendale richiede un convitato di pietra: il debito. Senza il debito, non è possibile accontentare almeno 30 italiani su 100[7], quelli che sostengono con il loro voto questo governo.
La differenza fra le due gestioni, che Berlusconi comprende ma tende a negare – lo spregio per la Costituzione, per gli organismi di controllo, per il sindacalismo, ecc – risiede in quel semplice assioma: non devo rispondere ad un ristretto numero di azionisti, ma ad una platea di 60 milioni d’abitanti. Questa è la cosa che più lo disturba: gli italiani, quei tizi che non lo adorano abbastanza.

Il gioco, però, continua a procedere con una “navigazione a vista” – come afferma Tito Boeri[8] – ed è vero: fino a quando?

L’ago della bilancia non sarà il Sud, bensì ancora una volta il Nord, come sempre è stato nella storia italiana: i morsi della delocalizzazione industriale, della vetustà dell’apparato produttivo, della perdita di competitività si faranno presto sentire.
E, ci teniamo a precisare, la completa assenza di piani di sviluppo nelle nuove tecnologie energetiche, nei trasporti, nell’istruzione e nella gestione del territorio (agricoltura di qualità, captazione d’energia rinnovabile diffusa, turismo, ecc) sono proprio i temi che potrebbero catalizzare una “ripresa” italiana dopo i decenni dell’industria pesante e manifatturiera, oramai svaniti e lontani.

La cultura aziendal/politica di questo governo, invece, impedisce di guardare oltre, poiché la pletora di ministri in carica – “veline” a parte – è formata da un guazzabuglio di ex socialisti craxiani ed ex missini claudicanti. I primi, ripetono come pappagalli la politica del debito che fu di Craxi (in questo, pienamente appoggiati dai pochi residuati bellici ex democristi), i secondi stanno a guardare, accontentandosi di qualche “sparata” autoritaria che li fa sentire soddisfatti, quasi come se “Lui” li adunasse ancora sotto il balcone di Palazzo Venezia.
In definitiva, vecchiume: roba da portare al mercatino delle pulci e sperare di cavarci i soldi del gasolio.

Sull’opposizione non è nemmeno il caso di sprecare righe: stanno andando al macero, e lo sanno benissimo.
Merita invece qualche riga la strana dicotomia fra una cultura nascente, quella che s’interessa d’energia, di nuovi sistemi economici, di decrescita, di moneta, ecc, e la completa assenza di peso politico della stessa.
Non c’è da stupirsi: qualsiasi basso impero della Storia, ha percorso fino al dirupo la sua parabola. Perché? Poiché il primo, più impellente imperativo è quello del controllo: una classe politica debole non può permettersi il confronto, tanto è vero che sono stati costretti – nonostante i “chiari di luna” di bilancio – a ripristinare i fondi per la stampa.
Senza la catarsi, non ci sarà nessun mutamento: ciò non significa che il dibattito sia inutile; basta essere coscienti che, nell’immediato, non condurrà a nessun frutto. Domani, certamente. Quando? Ah…

Infine, per chi crede che lo “stellone” italiano salverà sempre tutto e tutti, vorrei ricordare che appena due decenni or sono – per le strade di Sarajevo – nessuno blaterava d’uccidere i turchi bosniaci o di lanciare i bambini serbi giù dai ponti. Semplicemente, ciascuno iniziava a soppesare quanto ci avrebbe guadagnato se avesse abbandonato l’altro al suo destino.
La Storia non si ripete, bensì si manifesta per parallelismi che tengono conto delle differenze esistenti in tempi e luoghi diversi: in mancanza di una vera politica nazionale, però, l’esito è certo.

[1] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2009/05/non-puo-che-finire-cosi-prima-parte.html e http://carlobertani.blogspot.com/2009/05/non-puo-che-finire-cosi-parte-seconda.html
[2] Fonte: http://www.finanzaoggi.it/blog/2009/07/14/italiacresce-ancora-il-debito-pubblico/ (su dati Banca d’Italia). 14/7/2009.
[3] Fonte : http://borsaitaliana.it.reuters.com/article/businessNews/idITMIE54309K20090504
[4] Fonte: http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/politica/partito-sud/sblocco-fondo/sblocco-fondo.html
[5] Fonte, http://unionesarda.ilsole24ore.com/Articoli/Articolo.aspx?id=109917 10/3/2009.
[6] Fonte: http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/cronaca/pensionato-sicilia/pensionato-sicilia/pensionato-sicilia.html
[7] Calcolando i voti realmente espressi, non le percentuali (che sono calcolate solo sui votanti).
[8] Fonte: http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/politica/bilancio-governo/bilancio-governo/bilancio-governo.html

23 luglio 2009

Armagheddon?

Recentemente, Maurizio Blondet ha pubblicato un articolo (per i soli abbonati[1]) dal titolo eloquente: L’Europa a Sion: bomb Iran, nel quale affermava che un attacco all’Iran da parte di Israele è in agenda, da oggi alla fine del corrente anno.
Ripercorrerò molto brevemente le tesi esposte per chi non l’abbia letto:

- Durante il recente G8, l’Europa avrebbe dato il “via libera” per il bombardamento dell’Iran;
- Quattro navi da guerra israeliane (2 sommergibili e 2 caccia, con armamento nucleare) hanno attraversato il canale di Suez e sono in navigazione nel Mar Rosso;
- Alcun squadriglie di cacciabombardieri israeliani sono stato spostate nel Kurdistan iracheno;
- Il “ritorno” economico dell’impresa sarebbe da identificare nel nuovo oleodotto Nabucco – che non passa per la Russia, ma “raccoglie” il greggio delle ex Repubbliche sovietiche asiatiche – il quale, però, senza l’apporto del petrolio iraniano, non raggiungerebbe volumi di transito sufficienti per renderlo economicamente vantaggioso.

Fin qui i dati salienti, considerando anche una dichiarazione del vicepresidente USA Biden il quale, senza mezzi termini, affermava: “Israele è libero di fare quel che ritiene necessario per eliminare la minaccia nucleare iraniana”.

Blondet presenta il quadro come un evidente approccio al bombardamento dell’Iran e, ad osservare soltanto i dati esposti, non fa una grinza. Ci sono, però, argomenti che Blondet non approfondisce e che sarebbe, invece, meglio presentare.
Ritengo che molti lettori siano stufi della “querelle” iraniana, poiché da anni va avanti questo balletto: “Una flotta USA in partenza per il Golfo!”, “Israele pronto a bombardare l’Iran con l’atomica!” e via discorrendo. Poi, non succede nulla.
Vorrei precisare che questo articolo non vuole essere assolutamente un attacco a Blondet, che per alcune doti stimo, ma più che altro una precisazione.

Mi rendo perfettamente conto che il lettore cerca risposte alla domanda “Ci sarà una guerra all’Iran?” – e così è giusto che sia – ma il lettore accorto avrà compreso che nessuno – né Blondet, né chi scrive – è in grado di fornirgli un’assicurazione in merito, certa al 100%. D’altro canto, non ho mai nascosto la mia profonda convinzione che una guerra all’Iran sia un evento troppo pericoloso per gli attuali equilibri politici e, soprattutto, economici: di conseguenza, ritengo che, prima di scatenare Armagheddon, ci sia qualcuno che ci pensa su due e più volte.
Vediamo gli attori della contesa ed i loro equilibri interni, che sono la prima cosa da porre sotto la lente d’ingrandimento quando si parla di guerra.

Iran
Le recenti elezioni iraniane – di là degli evidenti interventi esterni per mettere in crisi l’attuale governo – hanno portato all’attenzione le frizioni interne della società iraniana, più che una mera questione elettorale o di voti.
Nella storia dell’Iran (ossia della moderna Persia), soprattutto dalla metà del secolo scorso, la società iraniana ha vissuto le stesse contraddizioni che abbiamo visto in piazza a Tehran.
Gli introiti petroliferi trasformarono la società iraniana: come avvenne in Europa, una borghesia dedita al commercio, alla nascente industria petrolchimica ed alle attività corollari, affiancò le tradizionali agricoltura e pastorizia.
Ciò avvenne con Mossadeq – che cercò una sintesi meno traumatica, ma anche meno favorevole alla borghesia, e per questo fu detronizzato con l’aiuto degli americani – poi con Reza Phalavi: la rivoluzione iraniana del 1979 fu una rivoluzione popolare, sorretta proprio dai milioni di diseredati che lo Shah, corrotto e succube delle ingerenze esterne (soprattutto statunitensi), aveva necessariamente trascurato per sorreggere la borghesia. La quale, non dimentichiamo, vive soprattutto a Tehran e nelle città.

Oggi, le migliorate condizioni economiche, ci hanno mostrato il volto di una borghesia che vuole occidentalizzarsi – ossia desidera partecipare alla spartizione della ricchezza nei modi e nei termini di quelle occidentali – a scapito proprio dei ceti popolari, che a loro volta si sentono più protetti da quella specie di “socialismo reale” (riconosciamo un’evidente difficoltà nell’identificare, economicamente, il sistema iraniano) instaurato da Mahmud Ahmadinejad.
Il quadro si complica, poiché rivendicazioni di “cassetta” si mescolano con le “tinte” islamiche del regime: apparentemente, assistiamo all’appoggio ad Ahmadinejad da parte dei ceti popolari mentre, dall’altra, la borghesia cerca “sponda” anche nel clero, nella figura di un corrotto Rafsanjani. In altre parole, se si gratta via un po’ di “vernice” religiosa, appare l’eterno scontro di classe.

Le ultime elezioni, vinte da Ahmadinejad molto probabilmente con i due terzi dei voti, indicano proprio la frattura della società iraniana: semplificando, le città a Moussavi e le campagne ad Ahmadinejad.
Ciò nonostante, Ahmadinejad è uscito fortemente indebolito dalle ultime elezioni, poiché la borghesia iraniana ha compreso che opporsi con i mezzi delle borghesie internazionali – supporto mediatico, internazionalizzazione del conflitto interno, ecc – può, alla lunga, riportare il Paese ad un equilibrio più favorevole per i ceti cosiddetti “moderati”, ossia per il commercio, gli affari, ecc.
Allo stato dell’arte, non scorgiamo – però – da parte di Ahmadinejad nessun cedimento: d’altro canto, il presidente non ha scelta, se non quella di continuare ad appoggiare (ed a farsi appoggiare) dalla popolazione rurale, dai settori dello Stato, dalle industrie controllate dal governo stesso.
Una guerra, in questa prospettiva, chi avvantaggerebbe?

Certamente non i sostenitori di Moussavi e di Rasfanjani, poiché un attacco dall’esterno condurrebbe inevitabilmente a zittire ogni contrasto interno. Più probabilmente, il tintinnio di sciabole inscenato da Israele è indirizzato più alla borghesia iraniana – “non siete soli!” – che ad un vero e proprio attacco all’Iran.
Per riuscire a rovesciare il governo iraniano, e l’impianto stesso della Repubblica islamica, sarebbe necessaria una vera guerra con tanto d’invasione: dubitiamo che qualche bomba farebbe crollare gli Ayatollah.

USA
Blondet afferma che il vicepresidente Biden avrebbe dato il “via libera” ad Israele con la frase sopra citata: verrebbe da dire che ciascuno è libero di dire quel che vuole, perché non scorgiamo proprio quali potrebbero essere i vantaggi, statunitensi, dell’avventura israeliana.
La presenza, in Kurdistan, degli aerei israeliani implica una sostanziale indipendenza del Kurdistan dall’Iraq ed una sua alleanza con Tel Aviv? E gli USA, che cercano di calmare le acque in tutto il Paese per andarsene?
Un attacco all’Iran partendo dal Kurdistan farebbe scoppiare la polveriera irachena ancor più, considerando che il Kurdistan iracheno non confina solo con l’Iran, ma anche (a Sud-Est) con le zone interne a maggioranza sciita. E, gli sciiti iracheni, si sentono di certo più vicini a Tehran che a Baghdad.

Se non basta l’Iraq, riflettiamo sulla situazione interna americana: non ho mai creduto che Obama sia la colomba di pace che ci propinano, e lo scrissi in tempi non sospetti, addirittura nel Gennaio del 2008[2].
La situazione economica prospettata da molti analisti[3] è una sentenza priva d’appello: gli USA devono correre ai ripari – ed in fretta! – se non vogliono incorrere in traumi economici ancor peggiori. La prospettiva di Bush – ovvero compensare l’inevitabile declino economico statunitense con le avventure militari, sostenere il dollaro con l’aumento del greggio ed appropriarsi delle risorse energetiche altrui con la forza – è fallita miseramente nella bolla speculativa.
Obama, oggi, non ha altra scelta che quella di ridurre il deficit statale, ed ha già mosso i primi passi per andarsene dall’Iraq. Inoltre, ha già parlato di “exit strategy” anche per l’Afghanistan.

In definitiva, Obama ritiene più vantaggioso per gli USA ridurre l’esposizione militare nel Pianeta, per tentare difficili (e costose) ristrutturazioni industriali, per “agganciare” la “locomotiva” delle rinnovabili e, in futuro, sperare di tornare potenza industriale.
Tutto ciò è un sentiero colmo di dubbi, trabocchetti ed incertezze: vogliamo aggiungerci una guerra all’Iran?
Per quanto ci scervelliamo, non riusciamo proprio a trovare una sola ragione per la quale, oggi, convenga a Washington imbarcarsi in un’avventura militare – sia pure per sperare nei profitti del Nabucco – poiché è evidente che, una guerra all’Iran, non potrebbe mai essere intrapresa e sostenuta da Israele.
C’è la possibilità che gli USA restino a guardare ma, per quanto sopra esposto, l’attacco israeliano finirebbe per trasformarsi in una mera distruzione d’entrambi, che lascerebbe il Pianeta messo peggio di quanto già oggi è.

Israele
Non ci sembra che Israele, con l’avvento della nuova amministrazione statunitense, abbia di che temere: sono state fatte timide avance per la creazione del solito Stato palestinese, ma niente di più che la solita aria fritta.
Anche la cessione del West Bank, in cambio di un “via libera” per bombardare l’Iran, ci sembra un non sense: cosa rimarrebbe del West Bank – e della stessa Israele – se avvenissero attacchi reciproci con armi nucleari da un lato e batteriologiche dall’altro?

Inoltre, Israele non ha una struttura militare adatta per operazioni a vasto raggio: in tutta la sua Storia – salvo il bombardamento del quartier generale di Arafat a Tunisi, una complessa operazione di rifornimento in volo per sganciare solo poche bombe – ha sempre combattuto a ridosso dei suoi confini.
Un attacco partendo dal Kurdistan necessiterebbe di una logistica d’appoggio troppo complessa per chi non ha esperienza bellica in operazioni distanti dalle proprie basi. Inoltre, gli aerei israeliani dovrebbero vedersela con la caccia e la contraerea iraniana.
Se, invece, l’attacco dal Kurdistan fosse solo la miccia per innescare la ritorsione balistica iraniana ed il contrattacco atomico israeliano, non si comprende quale differenza facciano due sottomarini e due cacciatorpediniere in più: Israele può colpire con i missili Jericho dal territorio metropolitano.

Conclusioni
In tutta onestà, ci sembra che queste siano solo manovre militari destinate – come ricordavamo – a gettare un po’ di benzina sul fuoco, per sperare che l’opposizione iraniana “abbocchi”. Una sorta di “Naval diplomacy” e nulla più.
La strategia nei confronti dell’Iran – questo è chiaro da tempo – mira alla destabilizzazione interna, non ad un attacco militare. Perché?

Poiché un attacco all’Iran significherebbe il blocco dello stretto di Hormuz per chissà quanto tempo, con prezzi del petrolio alle stelle. Altro che i 150 $/barile del record!
Inoltre, Siria ed Iran sono legate da una alleanza che prevede il mutuo soccorso in caso d’attacco: nel 2006, Israele si guardò bene dall’attaccare il territorio siriano. In caso d’attacco, sarebbe tutta la regione a saltare per aria, con scenari veramente imprevedibili.
E, con tutte le prudenze espresse nei vari G8 – per tentare di salvare quel poco che resta ai sette grandi con le pezze al sedere – la “bella pensata” è quella d’attaccare l’Iran?
Francamente, mi sembra una follia. Aggiungere Armagheddon al fallimento economico del liberismo è cosa assai diversa rispetto alla “soluzione” della crisi degli anni ’30 con la guerra mondiale: all’epoca, gli USA erano pochissimo indebitati ed erano una potenza economica in ascesa, non un paese di disoccupati senza prospettive.

Perciò – pur apprezzando la puntualità di Blondet nell’informare – le conclusioni che sottende non mi trovano d’accordo. Certo, la follia umana non ha limiti, ma continuo a credere che le guerre servano per incrementare i profitti del capitalismo, non per dargli il colpo di grazia, come avverrebbe se lasciassimo correre Armagheddon.

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15 luglio 2009

Lettera aperta al Ministro della Giustizia

Gentile on. Alfano,
mi ritrovo, a quasi due anni dalla lettera aperta che inviai all’allora Ministro dell’Interno Amato[1], a scriverle per cercare di capire cosa stia succedendo in questo Paese.
La recente sentenza contro l’agente di Polizia Spaccarotella, responsabile della morte di Gabriele Sandri, apre scenari e quesiti che ci sembra il caso d’affrontare.
Non siamo così incompetenti da non aver compreso le ragioni di quella sentenza: in parole povere, i giudici non hanno ritenuto volontario l’atto dell’agente, comminandogli la pena riservata a chi uccide senza volerlo, per sola colpa intrinseca nel suo agire.
In altre parole, l’uccisione di Gabriele Sandri è stata parificata ad un grave incidente stradale: se un qualsiasi automobilista, ubriaco, dovesse travolgere sulle strisce pedonali una persona, i due casi – a questo punto – potrebbero essere messi in relazione.
Spaccarotella uccide senza volerlo, per sola colpa legata alla leggerezza con la quale ha usato l’arma in dotazione, così come l’automobilista – il quale sa che l’alcool riduce i riflessi – doveva esser conscio del pericolo di mettersi alla guida in quelle condizioni. Anche in questo caso, però, rimane qualcosa che non quadra.

Nella sua requisitoria, il Pubblico Ministero aveva chiesto la condanna a 14 anni di reclusione per omicidio volontario, sottolineando però la necessità di concedere le attenuanti generiche, poiché Spaccaroltella, con quell’atto – che, per le modalità di svolgimento, il magistrato aveva ritenuto volontario non tanto per le motivazioni, ma in essere dell’atto stesso (sparare ad altezza d’uomo…) – aveva non solo stroncato una vita, bensì rovinato la propria. Oggi, dopo la sentenza assai “morbida”, non siamo in grado di stabilire quanto Spaccarotella abbia rovinato la sua vita: per i meandri del codice penale, sappiamo che non andrà in carcere, bensì attenderà il secondo grado di giudizio libero come un fringuello. E, i suoi avvocati, hanno già comunicato che ritengono la condanna a 6 anni di reclusione (tre reali, considerando la legge Gozzini) troppo pesante.

Quello che non quadra, nella sentenza, è che a Spaccarotella è stato riconosciuto d’aver ucciso per sola colpa (senza volontarietà dell’atto) e sono state, in aggiunta, considerate delle attenuanti (con la sola aggravante della previsione dell’evento): il che – come giurista non potrà che concordare – fa a pugni con la logica del Diritto.
Se veniva accertata la volontarietà dell’atto, le attenuanti generiche potevano anche essere riconosciute (a parere dello scrivente no, perché a un tutore dell’ordine non può essere concesso il privilegio dell’ignoranza, ossia di non conoscere la pericolosità delle armi da fuoco), però, passiamo questa impostazione per buona.
Se, invece, viene accertata la sola colpa – essendo la colpa stessa un vulnus del comportamento – come possono essere riconosciute delle attenuanti?
In tutta onestà, signor ministro, questa sentenza ci pare congegnata, e neppure tanto bene: sarà che a pensar male ci si azzecca, ma qui non c’è nemmeno bisogno di pensare troppo male.
Il Pubblico Ministero che chiede le attenuanti e la volontarietà dell’atto e…la volontarietà viene negata, mentre delle attenuanti sono concesse? Non le sembra una contraddizione in essere?

A questo punto, posto che uno qualunque di noi avesse un diverbio con un “pataccaro” per un Rolex fasullo, all’esterno di un qualsiasi autogrill – e ne scaturisse un violento diverbio – un agente di polizia sarebbe autorizzato a sparare? Certo, rimarrebbe la sola colpa, ma nemmeno un giorno di carcere: per una vita umana, ci sembra un po’ pochino.
E se, all’opposto, scoppiasse un diverbio fra un agente di polizia ed un’altra persona e un cittadino – con arma regolarmente denunciata o porto d’armi – sparasse ed uccidesse, per sbaglio, l’agente – temendo chissà quali sviluppi del diverbio – le attenuanti e la colpa sarebbero concesse?

Purtroppo – signor ministro – siamo autorizzati a pensar male dalle troppe volte che la polizia, in questo Paese, ha sparato e l’ha fatta franca: da Reggio Emilia nel primo dopoguerra, ad Avola e Battipaglia contro i braccianti negli anni ’60, e poi via, con lo stillicidio di giovani uccisi per non essersi fermati all’alt di una pattuglia, oppure ammazzati da un impeto di “legalità” di qualche vigilantes. E Giorgiana Masi, che attende ancora un perché.
Non ci è sfuggito che, sui media, la notizia è stata sempre associata con la cattura del violentatore seriale di Roma: insomma, la polizia sbaglia ma, ogni tanto, qualcosa di buono combina. Peccato che, per la persona Gabriele Sandri, questo teorema non funzioni.

Le chiediamo allora perché, se le forze di polizia sono così ben addestrate e capaci, come mai un terzo dell’Italia sia governata dalle mafie, e come mai in certi quartieri di Napoli la polizia faccia solo qualche rapida “comparsata”. Forse perché è più facile fare i gradassi e sparare a casaccio in un autogrill, piuttosto che affrontare la vera delinquenza?
Da ultimo, le chiediamo di rivedere le regole d’ingaggio delle forze di polizia – sì, abbiamo usato un termine solitamente riservato alle forze armate – poiché, gli indigeni che abitano questo Paese, qualche diritto dovrebbero ancora averlo, almeno quello di non essere ammazzati per strada senza un perché, al pari degli iracheni.
Forse che, questo tourbillon d’attenuanti e colpe, ha altre finalità? Non la finiamo proprio di pensar male.

Sì – ministro – perché avete piazzato per le strade l’esercito – roba da Paese golpista sudamericano – e non ci sembra che la situazione sia cambiata sul fronte della lotta alle mafie, il vero problema italiano.
Che…quei militari per le strade siano destinati più a reprimere il dissenso sociale che la criminalità organizzata, visto i “chiari di luna” economici che ancora c’attendono? E che la sentenza di Spaccarotella – a questo punto ben congegnata, con un “assist” del PM alla corte – non sia altro che un segnale, inviato al milione d’armati che ci devono controllare, ossia “state tranquilli: lo Stato sarà sempre dalla vostra parte”?

Certo, quello Stato beffardo e violento, che conosciamo dai tempi di Bava Beccaris: lo stato dei sudditi da reprimere, della popolazione da schiacciare sotto il tallone delle caste. Ovvio che, a chi deve fare il “lavoro sporco”, non si può negare nulla: gliel’avevo detto, a pensar male, talvolta ci si azzecca.
Con freddezza.
Carlo Bertani

14 luglio 2009

Da Topo Gigio a Topo Grillo

Quando abbiamo letto la notizia, siamo precipitati in un baratro d’incredulità: davvero, Beppe Grillo, pensa di “dare una scossa” alla classe politica italiana candidandosi alla segreteria del PD? Dopo aver apostrofato Veltroni, per mesi, “Topo Gigio”?
La prima ipotesi è che la mossa del comico genovese non sia altro che l’ennesima trovata pubblicitaria, tanto per aumentare la sua “audience” (ultimamente, un po’ appannata) nell’iperspazio mediatico.
Personalmente, assegniamo a questa ipotesi la maggior parte dello share, ma ce ne possono essere altre: perciò, by-passiamo la trovata pubblicitaria poiché come tale va trattata. Per queste cose, si rivolga a Berlusconi, che è gran maestro di cerimonia nel trasfigurare il nulla della politica nei successi mediatici. L’Aquila insegna. Da Beppe, non ce lo saremmo proprio aspettato.

Passiamo allora a scandagliare la seconda ipotesi, ossia che Grillo ritenga di conseguire – se non proprio il successo – almeno un discreto successo, al punto d’entrare nel congresso PD ed accalappiare qualche voto da parte dei delegati.
Perché ci limitiamo a “qualche voto” e nulla più?
Poiché Grillo, pur riconoscendogli d’aver compreso la necessità di una rivoluzione nell’asfittica politica italiana, ha sbagliato clamorosamente bersaglio, ed il suo agire non porterà ad altro che ad una sconfitta, e che sconfitta.
Il “bersaglio” individuato – per Grillo – è forse quel partito nel quale confluirono ampi settori del PDS e la sinistra DC? Se è quello, bisogna riflettere che, dell’impostazione primigenia, non è rimasto nulla.
Se quel partito, quando nacque – nemmeno due anni or sono – poteva contare sul 33% dei votanti, oggi ne raccoglie solo più il 25%: Grillo s’è domandato il perché?

Gli elettori del PD che immaginavano quel partito “aperto e leggero” – pronto ad interloquire con il “popolo della sinistra”, e da troppi anni bastonato proprio dai governi della cosiddetta “sinistra” (né più e né meno che da Berlusconi) – se ne sono andati da tempo. Chi è rimasto?
Chi vota per tradizione e non se la sente di “tradire”, chi vota “tappandosi il naso”: soprattutto, è rimasto il partito degli affari, quella pletora di propinqui i quali, sotto varie forme, s’aspettano che quel partito sia in grado di fornire loro quelle glorie che, da soli, non riescono a perseguire.
Credere di riuscire a superare le “primarie” (se le faranno) o, peggio ancora, presentarsi di fronte all’assemblea congressuale con la speranza d’uscirne vivo, è un sogno che lasciamo agli ingenui.
Vorremmo sapere come farà Grillo – da sempre (a suo dire) il Conan il Barbaro contro gli inceneritori – a convincere una platea d’amministratori del PD che s’aspettano soldi su soldi dal gran (mal)affare del business “incenericolo”, della bontà del riciclo dei rifiuti.
E aspettano quei soldi perché sanno d’esser circondati: senza l’alleanza con la sinistra radicale, il centro sinistra non potrà mai diventare maggioranza nel Paese (come fu in passato) e, siccome lo sanno benissimo, i soldi dei vari business sul territorio servono loro come l’ossigeno per un malato grave, poiché sono destinati a governare solo più realtà marginali. Le ultime elezioni amministrative insegnano: senza l’apporto di quel 10% circa che sta a sinistra (e che Di Pietro intercetta in minima parte), alle prossime regionali perderanno anche il Piemonte e la Puglia, per citare solo due regioni fra le altre. In pratica, al PD rimarranno Bologna, Firenze e dintorni (forse).

Di più: credere di riuscire a percorrere la via maestra, fino ad una poltrona importante del PD, significa sottovalutare proprio quella mancanza di democrazia insita nella politica italiana, laddove (a destra come a sinistra) si creano le fortune politiche partendo dalle assemblee dei liberi muratori.
Con le volte che ha additato, sul suo blog, il perverso andazzo, oggi se ne scorda? Rilegga meglio ciò che, negli anni, ha scritto (lui o chi per lui).

Un’altra ipotesi è quella che, avendo compreso che il PD sta oramai percorrendo il “miglio verde”, Beppin da Zena abbia meditato d’impossessarsi della futura svendita. Cun poche palanche, se piggiemu tüttu.
Ipotesi peregrina: una futura svendita all’asta del PD, vedrà in prima fila – pronti ad alzare la posta – Rutelli, Casini & Co. La sinistra? Si perderà per l’ennesima volta in partitucoli senza futuro né progetti, come hanno già fatto i Socialisti, i Verdi, Comunisti e merce varia. O avariata?
Che al prossimo congresso vinca Franceschini, oppure Bersani, il percorso del PD è segnato: è solo una questione di tempi, ma – in completa assenza di rinnovamento (hanno, addirittura, “pregato” Chiamparino di non presentarsi, di non disturbare i manovratori, figuriamoci la Serracchiani!) – ed oggi…sarebbero pronti ad accettare Grillo? Oppure Grillo crede ancora alla democrazia interna dei partiti? Invece di fare spettacoli in giro per l’Italia, sarebbe meglio se si recasse a qualche recita parrocchiale: per rivedere Cappuccetto Rosso.

Il progetto – segreto di Pulcinella – dopo l’abbandono di Berlusconi (per “tradimento”, per età, per troppe “escort”…) è quello di una grande centro leggermente spostato a destra, ipotesi benedetta dai poteri forti di Confindustria, da Bankitalia, dal FMI, dalla massoneria internazionale, dalle finanze vaticane.
Tutti insieme, appassionatamente, per togliere quel poco che resta agli italiani e consegnarlo nelle mani delle banche e dei boiardi di Stato (adesso abbiamo la “class action” ma…peccato! Non è retroattiva, e Tanzi e Cagnotti la faranno franca).

Non crediamo una parola sull’onestà politica – e, a questo punto, anche intellettuale – di Beppe Grillo poiché, solo un paio d’anni or sono, avrebbe avuto la possibilità di fondarlo lui stesso quel partito, sicuro di raggiungere un discreto successo. E non lo fece. Perché? Ci spieghi come mai, solo pochi mesi or sono, riteneva impraticabile la strada di un partito nazionale e servivano solo liste locali. Cos’è, cambiato il vento?
Di più: a parole, confermò la sua fiducia a Beha e Veltri per la “Repubblica dei Cittadini” (o prime “Liste Civiche") per poi sconfessarli una settimana dopo, quando i due si davano da fare per raccogliere adesioni, sul blog. Replicò il copione con “Il Bene Comune” di Montanari, al punto che Montanari stesso sul suo sito, i primi tempi, pubblicò un video (oggi scomparso) dal titolo eloquente: “Grillo, perché?”.

Ciò che più ci disturba e c’infastidisce – a questo punto – di Grillo è che ripercorre lo stesso sentiero, puramente mediatico, di Berlusconi: è diventato un –Berlusconi, una copia al negativo (algebricamente) del Cavaliere. Perché?
Poiché, se si è meditato un poco sul baratro che abbiamo di fronte, sulla sparizione d’ogni forma di democrazia da questo Paese, la soluzione che proprio non serve è ripartire con un “Konducator buono” o roba del genere.
C’è bisogno di un lungo percorso di ricostruzione democratica – le scorciatoie portano solo ad altre cantonate – e deve essere un sentiero di riflessione, prima che politica, culturale, sul quale puntare per ricostruire le basi culturali e cognitive che sono la base della politica, non l’orpello.

Ho sempre sostenuto che questo percorso abbia il suo luogo deputato sul Web, ma tenendosi ben distanti dai quei carcinomi che sono gli attuali partiti politici, poiché si nutrono di basi culturali che sono distanti anni luce da un nuovo “sentire”, da quel che veramente serve per ricostruire le basi comunitarie di un Paese distrutto nella sua essenza sociale.
A questo punto, riteniamo che l’ipotesi pubblicitaria sia la sola a rimanere in campo: mia, Grillo, nun vegnì a piggiarce pà ‘u cü.

09 luglio 2009

Cronache dal Bananaland

Ho da tempo affermato che non guardo più la televisione, ed è vero. Trovandomi, però, in vacanza in un luogo dove non giunge nemmeno il segnale per le comuni “chiavette” a banda (pressappoco) larga, ho dovuto “nutrirmi” delle verità delle due mamme, RAI e Mediaset.
La prima curiosità che mi ha assalito, è che stavo ricevendo notizie sul G8 organizzato da Silvio Berlusconi dalle emittenti di proprietà di Silvio Berlusconi, oppure controllate da Silvio Berlusconi come Presidente del Consiglio, dove si citavano giornali di proprietà della famiglia Berlusconi.
Prima domanda: è ancora l’Italia o siamo diventati il Bananaland?

La seconda, più che una domanda, è l’approfondimento di un’omissione che viene data per scontata: il presidente cinese Hu-Jin-Tao è dovuto tornare in Cina per la rivolta dei turcomanni del Xinjiang.
Le comunità islamiche turcomanne sono dislocate – almeno dal XV secolo – lungo la via “alta” della Seta, ossia nel percorso che giunge in Cina passando per gli odierni Iran ed Afghanistan, Persia e Carmania di un tempo: 50.000 turcomanni abitano tuttora a Kirkuk, nel cosiddetto “Kurdistan iracheno”.
Guarda, guarda…proprio nell’occasione del G8, alcune migliaia (o decine di, centinaia di, poco importa) – visto che stiamo parlando di una nazione di oltre 2 miliardi di persone – si ribellano al governo di Pechino e giungono allo scontro.
La battaglia dura un solo giorno poiché, quello seguente, già va in scena la vendetta dell’etnia dominante, quella han, e tutto sembra seguire il solito copione cinese già osservato per la questione tibetana oppure per le rivolte sindacali.
Ma, ecco la novità: il presidente cinese Hu-Jin-Tao ritorna precipitosamente in Cina, secondo le Berluscomanie nazionali, per “riprendere in mano la situazione”. Come se la Cina fosse paragonabile a qualche dimenticata Repubblica delle Banane dove, quando il Presidente è all’estero, ne approfittano per portargli via l’argenteria.
Ora, pur sorvolando che la rivolta ha avuto luogo in una dimenticata città di confine cinese, che sarebbe bastata una misera brigata motorizzata per domarla (come sta avvenendo), viene da chiedersi chi siano stati i fomentatori della rivolta, in pieno stile complottista.

L’ipotesi A racconta che, gli Amerikani Kattivi, abbiano trovato uno Yuschenko turcomanno “arancione” e gli abbiano fornito una montagna di soldi per fomentare i disordini: a quel punto, un nonnetto rinfanciullito napoletano – di professione Presidente della Repubblica italiana – scambiava i fatti d’Ungheria del 1956 con lo Xinjang del 2009, e si permetteva di rammentare a Hu-Jin-Tao l’annosa questione dei diritti umani.
Hu-Jin-Tao lo squadrava di traverso poi, impaurito dalla minaccia (!) turcomanna, riprendeva la via della Cina con la coda fra le gambe e – fatto tesoro delle raccomandazioni italiane (!) – decretava migliaia di condanne a morte. Cosa che, senza il Presidente in cattedra sulla Piazza Tien an Men, non si può ovviamente fare (!).

L’ipotesi B è che le impostazioni definite dalle cancellerie occidentali per le questioni più spinose – controllo delle emissioni di gas nocivi, riduzione della temperatura del Globo, ecc – non fossero poi così gradite a Pechino. Nota: alla nazione che s’avvia, nei prossimi decenni, a diventare la prima economia del Pianeta.
Nella seconda ipotesi, una rivolta in una città di confine viene rintuzzata, fino a diventare un caso mondiale proprio per volontà cinese: a quel punto, Hu-Jin-Tao ha la scusa per tornarsene in Patria e lasciare quel vertice dal quale non poteva portare a casa nulla di buono.
Qualcuno dirà che, a L’Aquila, è rimasta la delegazione cinese: chi conosce almeno un poco il “palazzo” cinese e la sua storia, potrà facilmente comprendere quanto siano importanti i funzionari cinesi rimasti.
Difatti, fra i tanti successi strombazzati dalle Berluscomanie nostrane, c’è l’accordo sul clima e sulle emissioni gassose: peccato che non è stato accolto né dalla Cina e né dall’India, ovvero dalle nazioni che sono il vero apparato industriale del Pianeta.

Non vorrei, con queste poche righe, affrontare i problemi della questione turcomanna (che risale, come tante altre, all’eredità dell’Impero Ottomano) né trattare la questione del clima, che richiederebbe un saggio, altro che un semplice post, manco un articolo.
Desidero solo sottolineare che, quanto esposto dai media nazionali ed internazionali, non può corrispondere a verità, poiché nell’ipotesi A – l’unica propalata ai quattro venti (senza, ovviamente, approfondire il “come mai” i turcomanni s’erano sollevati) – un cenacolo di vecchie ed azzimate vecchiette indebitate, più una Russia sorniona, non era in grado d’imporre alla Cina proprio niente. Tanto meno un giovane avvocato dell’Illinois, il quale sa benissimo in quali mani è il debito estero americano, ovvero a Pechino e, in minor misura, a Mosca.

L’unico spettacolo al quale abbiamo assistito è stato, dunque, quello delle abbuffate di ravioli, delle degustazioni di vini abruzzesi, delle visite alle gelaterie romane da parte delle mogli con figli al seguito.
Nessuno, s’è accorto che la Cina ha lasciato il vertice con una scusa, a dir poco, puerile.
Domanda: se era un vertice internazionale, dov’è finita la politica estera?

08 luglio 2009

The Berlman Show (I)

L’isola della Maddalena, con tutto il battage di strutture militari che contiene, non è stata ritenuta sufficientemente sicura per proteggere i “grandi” della Terra nell’occasione del G8: probabilmente, la minaccia di migliaia di no-global che l’assalivano in massa – sbarcando dai loro canotti – ha fatto scuotere la testa ad ammiragli e generali, preoccupati di non riuscire a reggere l’onda d’urto. Dopo il “Vallo Atlantico nel 1944”, il “Vallo della Sardegna” poteva cedere anch’esso.
Così, tutti in una città che ha appena subito un devastante terremoto: auguri signor Obama, auguri signora Merkel. Se, la notte, il comodino dovesse traballare, non preoccupatevi: fino alla magnitudo 4,5 non è previsto lo sgombero, dormite tranquilli e sicuri, siete in Italia (!).

Vi sarete chiesti il perché della stranezza, ma conoscete poco l’Italia, perciò è meglio spiegare quello che – siamo certi – non avete ben compreso.
Dovete sapere che, in questo Paese, ogni giorno dell’anno – da decenni – va in onda su tutti i canali televisivi il “Berlman Show”, ossia la rappresentazione dell’Italia vista da un solo punto d’osservazione, quello del Primo Ministro, Silvio Berlusconi.
In questa soap opera istituzionale, gli italiani sono un popolo felice e tranquillo, che non ha preoccupazioni per il lavoro, per la salute, l’istruzione, il welfare. Lo Stato – ossia Silvio Berlusconi in persona – si preoccupa di tutto e per tutti: dopo burrascose notti trascorse nell’harem, Berlusc-al-Sharif – il nostro Califfo nazionale – si sporge dalla finestra, osserva l’Italia e detta il copione della prossima puntata.
A Milano – dove ci sono le sue, personali televisioni – ed a Roma, dove c’è la televisione di Stato che controlla come Primo Ministro, i suoi mercenari prendono diligentemente nota, telefonano agli attori e preparano le scene che gli italiani vedranno il giorno seguente.
So che, da voi, una cosa del genere non sarebbe nemmeno immaginabile: difatti, nella sua classifica, Freedom House inserisce l’Italia – per libertà d’informazione – più o meno dalla parti del Benin o di qualche sperduta Repubblica delle Banane.

Pensate che, in Italia, non si parla mai del nostro principale problema: un terzo dell’Italia è governato dai clan delle Mafie, che oramai non gestiscono solo le attività criminali (droga, armi, ecc), bensì s’inseriscono negli appalti pubblici, come ha ben spiegato Roberto Saviano nel best seller Gomorra. Per averlo spiegato, ha dovuto fuggire e vivere nascosto.
L’Italia – il Paese del Sole – non ha praticamente centrali solari e – mentre nei vostri Paesi fioriscono le iniziative che riguardano le nuove energie rinnovabili – qui da noi costruiranno (dopo il 2020!) quattro centrali nucleari: con il prezzo dell’Uranio in continuo, iperbolico aumento, saranno probabilmente le ultime centrali del Pianeta.

Per farvi capire come il “Berlman Show” si occupi proprio di tutto, vorremmo spiegarvi qualcosa che riguarda ciò che avrete senz’altro letto sui vostri giornali: la nota vicenda di Noemi, la ragazza minorenne che frequentava le “feste” di Silvio Berlusconi.
Pochi giorni dopo lo scoop, fu pubblicata un’intervista ad un ragazzo napoletano – Domenico Cozzolino – il quale raccontava d’essere stato il fidanzato della ragazza per lungo tempo. In qualche modo, il ragazzo voleva far intendere che Noemi Letizia era una ragazza normale con una vita normale.
Poco dopo, però (in Italia, si dice che “Le bugie hanno le gambe corte”), scoprirono che questo ragazzo era un attore che lavorava in una fiction delle TV del signor Berlusconi (“Uomini e donne”), gestita da una conduttrice – tale Maria de Filippi – a sua volta moglie di un giornalista che gestisce il più noto talk show delle TV di Berlusconi, Maurizio Costanzo. Tutto costruito in famiglia.
Quando la moglie di Berlusconi – Veronica Lario – chiese il divorzio, immediatamente una ex parlamentare del partito del premier Berlusconi – Daniela Santanché – concesse un’intervista al settimanale di gossip “Chi” – di proprietà, anch’esso, del presidente del Consiglio – nella quale affermava che, da tempo, la moglie di Berlusconi aveva una relazione con una guardia del corpo. La quale, ha smentito con sdegno, sfidando chiunque a provare il contrario ma, oramai, il messaggio era stato immesso nel circuito dei media.

Avrete senz’altro visto il bellissimo “The Truman Show” con Jim Carrey, laddove la vita felice di un americano medio veniva creata ad arte per proporla come un modello per gli americani.
Qui in Italia, nel “Berlman Show”, ogni giorno vengono create decine, centinaia di nuove immagini che sono immesse nel circuito dei media, per ipnotizzare gli italiani e far loro credere che tutto va bene: una nazione di lobotomizzati.

Nel frattempo, l’economia sta crollando: tutti i parametri economici indicano che l’Italia sta andando a fondo, ma pochi italiani riescono a rendersene conto, perché il “Berlman Show” imperversa. Raccontano che il welfare italiano è il migliore d’Europa – e intanto la gente è sempre più povera – e che L’Aquila sarà ricostruita, ma non dicono quando: nel 2032, così hanno dovuto ammettere nella legge per la ricostruzione, perché la loro sciagurata politica economica non trova i soldi per ricostruire. Saranno trovati mediante delle nuove lotterie (!): non è una barzelletta, è tutto scritto nel decreto ufficiale del Governo Italiano!
Per reggere un simile gioco, il premier deve concedere a coloro che fanno parte dello show posti importanti: se cercherete Michela Vittoria Brambilla su Youtube, la troverete mentre fa la giornalista nei locali hard della notte spagnola. Oggi, questa persona, è il Ministro Italiano per il Turismo, uno dei più importanti ministeri per l’Italia, nazione turistica.

Vi chiederete perché l’opposizione, in Parlamento, non denunci queste menzogne: a volte lo fa, ma non può fare nulla contro uno show mediatico che imperversa 365 giorni l’anno, da sei emittenti televisive nazionali più quelle minori. I media, sono totalmente nelle mani del premier.
La necessità di spostare il G8 dalla bellissima isola della Maddalena, in Sardegna, ad una città (L’Aquila) – che corre il rischio di altri terremoti devastanti – è una sola: siccome vi sono, per necessità di ordine pubblico, migliaia di militari nella zona, questo garantisce al gestore del “Berlman Show” che nessuno riuscirà ad avvicinarsi, che nessuno potrà inviare all’estero le immagini delle proteste, che ci saranno sicuramente e saranno tante.

L’Italia, come nazione europea, è oramai solo più una colossale finzione, un grande reality show a cielo aperto, come in nessun altro luogo al mondo: forse, voi che venite in Italia in vacanza, non ve ne rendete conto, ma qui si vive oramai una strisciante dittatura, regolata dai media del Presidente del Consiglio. Più semplicemente, una dittatura mascherata.

Grazie per la vostra attenzione

Articolo liberamente riproducibile con citazione della fonte

The Berlman Show (GB)

The island of La Maddalena (Sardinia, Italy), with all the military structures that contains, has not been thought sufficiently sure in order to protect the "Big" of the Earth in the occasion of the G8: probably, the threat of many no-global that they attacked it in mass – disembarking from their small boat – has preoccupied admirals and generals, to succeed to resist the shock wave. After "Atlantic Fortress in 1944", "Sardinia Fortress" could collapse.
Therefore, all in a city that it has as soon as endured a devastating earthquake: auguries Mr. Obama, auguries Mrs. Merkel. If, the night, the bedside table had to shake, you do not preoccupy yourselves: until magnitudo 4,5 the evacuation is not previewed, slept calm and sure, you are in Italy (!).

You will have asked yourselves about the unusual choice – but you know a few Italy – therefore is better to explain what – we are sure – you have not fully comprised.
You must know that, in this Country, every day of the year – from decades – goes in TV on all the television channels the "Berlman Show", that is the narration of the Italy seen from a single point of observation, that one of the First Minister, Silvio Berlusconi.
In this institutional soap-opera, the Italians are happy and calm people, than they does not have worries for the job, for the health, the instruction, the welfare. The State – that is Silvio Berlusconi in person – is preoccupied of all and for all: after whirling nights passed in the harem, Berlusc-al-Sharif – our national Caliph – observes from the window, observes Italy and dictates the script of the next reality show.
From Milan – where there are its, personal televisions – to Rome, where there is the television of State who controls because is the First Minister, its employed write diligently the script, they telephone to the actors and they prepare the scenes that the Italians will see the following day.
I know that, in yours countries, would be not even imaginable: indeed, in its classifies, Freedom House inserts Italy – for freedom of information – more or less from the parts of the Benin or of some dispersed Banana’s Republics.

Thoughts that, in Italy television, nobody speak about our main problem: a third part of Italy is governed from the clans of the Mafias, than now do not manage only the criminal activities (drug, weapons, etc), but they insert themselves in the publics contracts, as Roberto Saviano, in best seller “Gomorra”, has explained. In order to have explained it, it has had to escape and living hidden.
Italy – the Country of the Sun – does not have practically solar central and – while in your Countries there are many initiatives that regard the new energies – in Italy we will manufacture (after the 2020!) four nuclear central: with the price of the Uranium in continuous, hyperbolic increase, will be probably the last centrals of the Planet.

In order to it, makes you to understand as the "Berlman Show" is taken care just of all, we want to explain something to you, that it regards a story you will have read on your newspapers: the famous vicissitude of Noemi, the under-age girl who attended the "parties" of Silvio Berlusconi.
A few days after the scoop, was published an interview to a Neapolitan boy – Domenico Cozzolino – which he told to have been the boy-friend of the girl for along time. In some way, the boy wanted to make to mean that Noemi Letizia was a normal girl with a normal life.
Little after, but (in Italy, we say that "the lies have the short legs"), discovered that this boy was an actor who worked in a fiction of the TV of Mr. Berlusconi – Uomini e Donne ("Men and women") – managed from an anchor-woman – Maria de Filippi – wife of a journalist who manages the most famous talk show of the TV of Berlusconi, Maurizio Costanzo. All “made” in family.
When the wife of Berlusconi – Veronica Lario – ask the divorce, immediately a former parliamentarian of the party of premier Berlusconi – Daniela Santanché – in an interview to the weekly magazine of gossip "Chi (Who) " – property of the Prime Minister (!) – in which it asserted that, for a long time, the wife of Berlusconi had one affective relation with a body-guard. Which, has refuted with disdain, defying anyone to try the contrary but, at this point, the message had been inserted in the circuit of the television.

You will have see the beautiful "The Truman Show", with Jim Carrey, where the happy life of a medium American came on purpose created like a model for the Americans.
Here, in Italy, in the "Berlman Show", every day they come created tens, hundreds of new images that are inserted in the circuit of the media, for to dominate the Italians and making they to believe that all it goes well: a nation of lobotomized.

In the meantime, the economy is collapsing: all the economic parameters indicate that Italy is going to bottom, but a few of Italians can see the truth, because the "Berlman Show" expanded itself every days. They tell that Italian welfare it is the best one of Europe – and while the people are more and more poor – that L’Aquila will be reconstructed, but do not say when: in 2032, therefore they have had to admit in the law for the reconstruction, because their bad political and economic choice does not find the money in order to reconstruct. Berlusconi think to find money for reconstruct with new lotteries (!): it is not a joke, is all writing in the official decree of the Italian Government!
In order to resist a similar game, the premier it must grant important places to those who make part of show: if you will try Michela Vittoria Brambilla on Youtube, you will find the Brambilla “journalist” in the site “hard” of the Spanish night. Today, this person, is the Italian Minister for the Tourism, one of the more important ministries for Italy, tourist nation.

You will ask yourselves because the opposition, in Parliament, does not denounce it: sometimes, they do it, but it cannot make null against a media-show that infuriates 365 days at year, from six national television more those minors. The information, is totally in the hands of the premier.
The necessity to move the G8 from the beautiful island of La Maddalena, in Sardinia, to a city, (L’Aquila) – where the risk of other devastating earthquakes runs – it’s only one: since there are, for necessity of public order, many military in the zone, this guarantees the manager of the "Berlman Show" that nobody will succeed to approach itself, than nobody will be able to send to the foreign country the images of the protests, than there will be sure and be many.

Italy, like European nation, is only a colossal fiction, a large reality-show, like in no other place to the world: perhaps, if you come in Italy for holiday, you do not notice any but, for people that live here, is only a crawling dictatorship, regulated from the television of the Prime Minister. More simply, one dictatorship masked.

Thanks for your attention

No copyright, with citation of the source

01 luglio 2009

Dante de Angelis Ministro dei Trasporti

La prima cosa che salta alla mente – osservando le immagini della stazione di Viareggio, simili a quelle di un bombardamento aereo – è che qualcuno mente.
Tutto si è svolto nella norma: i controlli sono stati eseguiti, le normative rispettate, le ferrovie italiane – senti, senti! – sono addirittura considerate (da Trenitalia, ovviamente[1]) le più sicure d’Europa. La Procura competente ha aperto un’inchiesta per disastro ferroviario, omicidio colposo plurimo e incendio colposo. Contro ignoti, ovvio. Il ministro Matteoli ha aperto anch’egli la sua, personale inchiesta: se vorrà farci sapere qualcosa, troverà il nostro indirizzo di posta nel profilo del blog. Dubitiamo.

La seconda cosa che salta alla mente sono alcuni nomi, che vorremmo sottoporre all’attenzione dei lettori: Riccardo Poggi, Vito Belfiore ed altri 11 dipendenti delle Ferrovie, i quali furono ritenuti “colpevoli” d’aver svelato le magagne di una delle linee più disastrate d’Italia, la Torino-Savona. E’ importante ricordare i nomi (purtroppo siamo riusciti a ritrovarne solo due) di quei ferrovieri ch’ebbero il coraggio di svelare, per la trasmissione Report, nel 2003, i tanti scheletri nell’armadio delle Ferrovie Italiane.
Furono licenziati in tronco dall’azienda, che – invece di dedicarsi all’analisi delle sue mancanze – scatenò degli “007” interni[2], per riconoscere chi erano stati i “traditori”. Per loro fortuna, dopo una lunga lotta giudiziaria e sindacale, sono riusciti a riottenere il loro posto di lavoro.
C’è poi l’altro “indiziato” – oggi più conosciuto – ossia Dante de Angelis, un macchinista addetto alla sicurezza dei treni, che è stato anch’egli licenziato proprio per aver reso pubblico il drammatico stato del materiale rotabile italiano.
Della serie: quando si denunciano le inefficienze, si rischia la persecuzione ed il licenziamento. Quando, invece, si procurano le stragi si finisce in un fascicolo “contro ignoti”. Il quale si trasformerà – il giorno del mai e l’anno del poi – in una sentenza all’acqua di rose, con tante scuse per averla disturbata: eccellenza, torni pure alla sua scrivania ed al suo stipendio da nababbo.

Purtroppo per il capoccione di turno alle Ferrovie Italiane, chi scrive conosce benissimo la situazione a dir poco agghiacciante della linea Torino-Savona e di quelle limitrofe, perché le frequenta.

Sera d’Inverno, squilla il cellulare: è mia moglie.
«Dove sei?»
«A Savona, sono ancora a Savona perché il treno non parte.»
«E perché?»
«Perché c’è una lite in corso fra quello che deve controllare le ruote…quello che le batte con il martello ed una paio di capoccioni che minimizzano…poi lo hanno minacciato di qualcosa…non ho capito bene…e quello s’è incazzato…ha detto che un treno in quelle condizioni, lui, non lo faceva partire. Roba di ruote, di carrelli…»
«E adesso?»
«Ci hanno fatti scendere ed aspettiamo un altro vagone…»
Morale: quattro ore per fare 35 chilometri.

Sempre Inverno, questa volta è mio figlio.
«Papà, puoi venire a prendermi a Ceva?»
«Perché?»
«Hanno soppresso il treno.»
«Come “soppresso”?»
«Sì, l’hanno tolto, non c’è più…»
«E il prossimo?»
«Era l’ultimo della sera: fino a domattina…»
Morale: corsa notturna perché le Ferrovie “sopprimono” i treni, manco fossero scarafaggi (con tante scuse alla confraternita degli insetti).

Stazione di Santhià (VC) Estate, ore 16 di un giorno feriale. Parlo con il capostazione.
«Scusi, la biglietteria è chiusa e sul tabellone automatico non c’è la mia destinazione…non c’è nell’elenco per fare il biglietto…»
«Che vuole che le dica…qui non si capisce più niente: basta che manchi una persona e loro chiudono, capisce? Chiudono! E se manca il personale viaggiante…sopprimono i treni! Una volta, per sopprimere un treno, bisognava riempire moduli su moduli, chiedere autorizzazioni…adesso, basta una telefonata ed il treno è soppresso! Guardi, chiamo il controllore sul cellulare: lei salga, vedrà che non le chiederà nulla. Per fortuna, fra due anni andrò in pensione: questo non è più lavorare, questo è un inferno…»
Difatti, il controllore non mi chiese nulla.

Basta così, perché sono certo di descrivere una goccia nel mare.

Quando succedono vicende come quella di Viareggio, non è stata la sfiga a colpire: semplicemente, uno dei tanti incidenti che avvengono quotidianamente capita in un luogo abitato. Invece di rompersi il carrello di un vagone carico di tondini di ferro in aperta campagna, capita ad un carro-cisterna pieno di GPL sotto pressione in una cittadina.
L’inferno, a quel punto, inevitabilmente si materializza. Punto.
Sul sito delle Ferrovie, contano i giorni che mancano all’apertura della tratta ad alta velocità Torino-Salerno: noi, contiamo i morti e preghiamo per i feriti.
Fin qui, tutti sappiamo oppure immaginiamo, anche se è doveroso sottolineare anche le ovvietà.

Il vero girone infernale riguarda, invece, la gestione dei trasporti nel Belpaese: per cosa hanno fatto, Matteoli e tutti i suoi predecessori, dovrebbero non solo dimettersi, bensì emigrare in qualche isola lontana. Con un pedalò, l’unico mezzo che saprebbero condurre.
Come si suol dire, il problema “è nel manico”: quel vagone carico di GPL non doveva transitare a 90 Km orari nel bel mezzo di una stazione in zona urbana, poiché la statistica (o la legge di Murphy) indicano che, prima o dopo, l’inevitabile si manifesta.
Mettete insieme una manutenzione a dir poco trascurata, l’attenzione centrata solo sui treni ad alta velocità – sorvolando che si schiantano pure quelli (vedi Piacenza, 1997) – più un sistema di trasporto anacronistico e persino cassato dall’UE, e lo stillicidio degli incidenti ferroviari è certo. Chi vorrà, potrà farsene un’idea leggendo la nota[3]: per i trasporti, siamo un Paese forse del Terzo Mondo, più probabilmente del Quarto.
Le ragioni?

Non sono certo un estimatore delle burocrazie europee, perché so bene che sono bravissimi a predicare: meno a razzolare. Però, almeno a leggere i loro documenti ufficiali, le cose che raccontano sui trasporti sono sensate: il vero problema è che, dopo, a nessuno frega un emerito picchio se non si fa nulla.
Ma torniamo a noi ed a quel maledetto vagone: era partito dalla raffineria di Trecate (fra Novara e Milano) e doveva giungere a Gricignano (Caserta).
La prima curiosità è che l’impianto di Trecate viene rifornito mediante un oleodotto che parte da Quiliano (Savona), il quale viene a sua volta rifornito dalle superpetroliere che attraccano ai moli di Vado Ligure. In altre parole, scarichiamo il petrolio a Savona, lo portiamo a Trecate, lo distilliamo, ricaviamo il GPL, poi lo carichiamo sui vagoni ferroviari e lo rimandiamo nel Sud. Già che c’eravamo, potevamo fargli fare pure tre volte il giro della Sicilia.
Ci risulta che nel Sud ci siano parecchie raffinerie [4], e che tanto affanno per portare il GPL da Trecate ci sembra un po’ eccessivo: come ebbe a dire Beppe Grillo riguardo all’import-export di biscotti Italia-USA (pressappoco identico per quantità), “Non facevano prima a scambiarsi la ricetta?”
Ma tant’è: nel liberissimo mercato dei liberi produttori, consumatori, costruttori e muratori, viene riconosciuta ai boiardi dell’energia la potestà di vendere, comprare e trasportare come loro meglio aggrada. Viene riconosciuta anche la libertà di morire per nulla, in una tranquilla notte dell’Estate italiana: viene riconosciuta solo ai paria, ovviamente.

E non si venga qui a parlare di fatalità, poiché la “libertà” di trasportare sulle strade (asfaltate o ferrate) migliaia di tonnellate d’acido cloridrico, fluoridrico o cianidrico, ammoniaca, perossidi, ossiacidi minerali, prodotti petroliferi d’ogni tipo, è una caratteristica precipua italiana.
Persino le comuni bombole del GPL per uso di cucina, in Italia, possono solo essere vendute già confezionate, mentre in Francia è espressamente proibito: invece di far circolare camion colmi di bombole (ferro più GPL), portano il GPL direttamente nelle stazioni di servizio con le autobotti, ove le bombole sono ricaricate. Il tutto, comporta un evidente risparmio e minor materiale infiammabile in circolazione.
C’è da aggiungere che una considerevole parte di questi prodotti, nel Nord Europa, circola sui canali: il vettore più sicuro per questo tipo di trasporti, al punto che l’UE stessa lo raccomanda per sicurezza e per l’abbattimento dei costi e delle emissioni di gas combusti.

Queste raccomandazioni sono contenute in un testo che è oramai “in scadenza” – il Libro Bianco, La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte – ed è una gran brutta “scadenza”, poiché l’Italia non ha fatto praticamente nulla di quanto veniva raccomandato.
Ad esempio, l’UE caldeggiava il superamento delle barriere naturali – ove possibile – sempre a quota zero, ossia in mare: e la TAV? Perché arrampicarci per monti e gallerie, invece d’usare la rete dei porti mediterranei?
E’ altrettanto vero che i vari “corridoi” sono anch’essi il parto delle burocrazie europee, ma l’Italia ha solo letto quello che interessava ad Impregilo et similia, e tranquillamente ignorato tutto il resto. Basti pensare all’orribile ed inutile orpello che voglio appiccicare alla punta della Penisola.
Pochi sapranno che l’UE era disposta a finanziare a fondo perduto il 50% delle spese di progettazione, ed il 10% di quelle di realizzazione, per rendere il bacino del Po navigabile per le nuove navi fluviali/marine europee della classe V° (2.000 t. di portata, circa 110 metri di lunghezza e 10 di larghezza). Anzi, sottolineava l’urgenza di quelle realizzazioni per due bacini: il Po ed il Tago (SP).

La ragione?
Il 50% della richiesta di trasporto, in Italia, è concentrata nella valle padana e nella pianura veneta: con 200 milioni di euro, sarebbe stato possibile rendere navigabile il Po fino a Pavia con diramazione per Milano. Sì, avete letto bene: 200 milioni, senza considerare i contributi europei. Una novità?
Per niente: si trattava soltanto di riprendere l’antica impostazione italiana nei trasporti, che prevedeva il Po come asse mediano della Pianura Padana e la navigazione di cabotaggio per il rifornimento della parte peninsulare.
Noi, invece, più trasportiamo e più intasiamo le corsie delle autostrade, più le riempiamo e sempre di nuove dovremo costruirne, in un parossistico, continuo “rilancio” su un fasullo piatto di poker. Il territorio, violentato, ci sopporta sempre di meno.
Da studi effettuati – rimando dunque al documento europeo facilmente reperibile, oppure al libro che ho pubblicato sull’argomento[5] – utilizzando il Po come “asse mediano” dei trasporti e la rete dei porti (anche minori, dato lo scarso pescaggio dei “Tipi V°”) – da Trieste ad Imperia – la maggior parte delle merci con percorrenze superiori a 50 Km sarebbero entrate in quel “circuito”.
Senza considerare che, una sola di quelle navi, trasporta l’equivalente di 84 autotreni, utilizzando un terzo del carburante, con minori costi di personale e d’esercizio e – la tragedia di Viareggio dovrebbe farci meditare – quasi senza rischi, giacché gli incidenti nelle acque interne sono praticamente nulli ed anche quelli in mare (sabotaggi a parte, vedi Moby Prince[6]), piuttosto rari.

Purtroppo, questa impostazione cozza violentemente contro gli assiomi del liberismo imperante, poiché – invece di “spingere sull’acceleratore” del produci/consuma – calca sul freno: minor consumo di combustibile per tonnellata trasportata, meno personale, minor usura dei mezzi, ecc.
Quel GPL, se fosse stata usata questa impostazione, sarebbe stato raffinato in uno stabilimento del Meridione, sarebbe giunto via mare nel più vicino porto ed avrebbe proseguito via terra per una breve tratta.

Una seconda, perfida impostazione della globalizzazione è quella che narra: “produci e vendi ovunque, fregatene del trasporto”.
Tutto ciò è possibile soltanto perché le normative non sono mai rispettate: qualcuno ha mai sentito parlare dei limitatori di velocità per gli autotreni? E degli elettrauto i quali, quando li montano, sistemano anche un pulsante nascosto per disattivarli? Altrimenti, come potrebbero correre ben oltre i 100 Km/h?
Giochi e giochetti sui dischi che registrano tempo e velocità, giorni di ferie mai goduti, “riposi” mai effettuati formano il “pudding” che consente – frodando la legge – di far correre gli autotreni ben oltre i limiti di legge. E quando si schiantano? Eh, fatalità…
Se non ci credete, fate la vostra, piccola inchiesta personale: domandate ad un camionista se, all’estero, si permette di fare quello che fa in Italia, oppure se gli chauffeur esteri corrono, nei loro Paesi, come in Italia. Fatevi raccontare: c’è da farsi rizzare i capelli in testa.

Per quanto riguarda il trasporto ferroviario, utilissimo per “cucire” il territorio, c’è da chiedersi perché l’Officina Manutenzione Ciclica di Foligno, che da sempre ha svolto compiti di manutenzione al parco rotabile, sia passata dai 1374 dipendenti del 1985 ai 645 del 2007, dei quali solo 450 utilizzati in produzione[7].
Se la principale struttura italiana – con tutto il know-how che raggruppa per quel settore – viene lasciata morire, chi s’occuperà di mantenere in efficienza i treni? Difatti, perdono ruote e carrelli: “fatalità”.
Il “furore” per l’alta velocità, poi, conduce le Ferrovie a dimettere tratti di linea, a prolungare all’infinito lavori di manutenzione – oh, prima o dopo si stuferanno di prendere il treno… – per sostituire le tratte con mezzi gommati.
I lavori per riattare la galleria del Belbo (la costruì Cavour…) durarono per un intero Inverno, quattro anni fa: tutto a posto. Lo scorso anno, ripresero perché bisognava “portarla allo standard europeo”: ma, prima, non c’era l’Europa? Mah…
Infine, già affermano che i lavori proseguiranno anche nel prossimo Inverno, poiché non ce l’hanno fatta a finire…eh, la neve… (in galleria?!?)
In realtà, a microfono spento, riconoscono che la linea – durante la stagione invernale – è frequentata soltanto da studenti e lavoratori, gente che viaggia con l’abbonamento, poveracci. Magicamente, in Primavera i lavori vengono sospesi: ci sono i turisti che vanno al mare! Quelli, qualcosa rendono!
I sindaci della zona – destri e sinistri – non fanno assolutamente nulla: raccolgono con un sorriso le petizioni dei cittadini con migliaia di firme e poi, poi…mah: il trituratore o il fondo dell’archivio?
Ho assistito, personalmente, allo scempio di chiudere le piccole stazioni, ma non basta! Addirittura, dov’erano presenti tratti di binario doppio su linee a binario unico, venne rimossa la seconda linea aerea di rifornimento elettrico! Come a dire: un pezzo per volta, demoliamo tutto! Freccia Rossa über alles!
In compenso, alcune aziende del trasporto su gomma che lavorano per le Ferrovie – qui da noi la Troiani di Roma – sembrano viaggiare a gonfie vele, salvo qualche pullman che si schianta ogni tanto. Sono i soliti studenti ed operai, carne da cannone.

Perciò, in mancanza di una persona di fiducia alla quale affidare il dicastero dei Trasporti (o Infrastrutture, tanto un emerito c…fanno in entrambi i casi) lanciamo pubblicamente la petizione affinché tale Ministero sia affidato ad una persona sicuramente competente. Licenziato come macchinista, chiediamo che Dante de Angelis sia riassunto in qualità di Ministro. Almeno, ne avremo uno che di balle non ne racconta e che, di faccia, sa metterci la sua, senza temere.

E per i “globalizzatori ad oltranza”? Che se ne vadano: in pedalò, e senza rumoreggiare.

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[1] Fonte: http://www.ferroviedellostato.it/cms/v/index.jsp?vgnextoid=88e368ae9d50a110VgnVCM10000080a3e90aRCRD
[2] Fonte: http://www.coordinamentorsu.it/doc/altri2004/2004_0107fsliguria_rasstampa.htm
[3] Incidenti Ferroviari: 1997-2009. http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/?id=3.0.3486561452
[4] Vedi tabella: http://www.sacerpetroli.it/site/approfondimenti/raffinazioneItalia.htm
[5] C. Bertani: Il futuro dei trasporti, http://www.carlobertani.it/saggi_pubblicati.htm
[6] Anche sulla Haven, colata a picco 12 ore dopo il Moby Prince (!), rimane qualche dubbio giacché, quello squarcio di 5 metri di diametro appena a proravia del fumaiolo, insospettisce. Perché la poppa fu proprio l’ultima ad affondare? L’inchiesta fu chiusa a tempo di record… http://www.kon-tiki.biz/wp-content/uploads/2006/12/haven-oltre-40.jpg
[7] Fonte: http://www.micropolis-segnocritico.it/mensile/?p=66