23 febbraio 2007

Due piccioni, il falco ed il falconiere

C’erano una volta due piccioni che credevano d’esser falchi: nella loro assurda illusione, ritennero che dovevano dare una lezione a chi li aveva messi in gabbia nella gran colombaia chiamata Senato della Repubblica.
Non sapevano che il destino dei piccioni è quello di seguire il branco, e s’inventavano delle strane storie d’eroici piccioni: favole, nelle quali due super-piccioni corazzati mutavano il corso del tempo e la rotazione della Terra.
Siccome pensavano d’esser falchi, quando li liberarono per portare a termine il loro compito di piccioni viaggiatori, invece di dirigersi verso la loro meta partirono a razzo per la tangente e finirono, perdendosi, per sfiduciare l’intera la piccionaia.
Nella medesima piccionaia sedeva, in basso, quello che aveva l’apparenza di un vecchio colombo oramai giunto all’età della pensione: una gobba spuntava fra le flaccide ali ma il becco era adunco come si conviene…ad un colombo? No, perché il nostro vecchio colombo era un falco travestito, che lasciava oramai raramente il braccio del suo falconiere, ma quando doveva compiere ancora una volta il suo dovere lo faceva senza ritrosie.
Il falconiere viveva nel suo castello che sorgeva sull’altra riva del fiume, a poca distanza dalla piccionaia: quando seppe che nella piccionaia si vociferava d’incrociare senza ritegno i piccioni viaggiatori con i comuni colombi ebbe un soprassalto, e liberò il falco con la frase di rito: schnell, mein Held!
Fu così che lo strano, vecchio colombo che aveva sempre cercato di sedare le liti e di non aizzare le folle – per una volta – si smarcò ed andò sul trespolo dei colombi più duri, quelli che non mollavano mai. Nessuno riconobbe in lui un falco, e nessuno si spiegò quel suo strano volteggiare prima di sferrare la beccata che avrebbe rovinato il buon nome della piccionaia.
Ora, il falconiere attende un araldo che gli porti buone nuove – che i nobili piccioni viaggiatori stiano fra di loro e non si mescolino ai colombi! – altrimenti…libererà di nuovo il falco.
E i due poveri piccioni? Nessuno sa con precisione dove siano finiti, ma qualcuno vocifera che il falconiere – la sera stessa – abbia cenato di magro, con tante verdure fresche e la poca carne di due piccioni, frollata a dovere dalla sua cuoca bavarese. Mai credere d’essere ciò che non si può essere: si rischia di finire…in pentola!

20 febbraio 2007

Un’inferenza non valida

In questi giorni, l’attenzione dei media è centrata sul fenomeno delle nuove Brigate Rosse: dall’altra, sappiamo che il governo dovrà affrontare la revisione della legge 30 – o “legge Biagi” – perché aveva preso un preciso impegno in campagna elettorale.
Soprattutto in TV sta andando in onda un’opera di profonda disinformazione: chi è contrario al lavoro che stesero Biagi e D’Antona è un fiancheggiatore dei terroristi. Nota bene: questa inferenza assurda non viene mai esplicitata ma scaltramente sottesa; di qui, le velate accuse al sindacato, le critiche ai ministri del centro-sinistra che vorrebbero metter mano alla legge, e così via.
I due studiosi assassinati dalle BR erano consulenti del governo per le questioni sindacali e del lavoro, e lo fecero con entrambi gli schieramenti politici: furono dunque loro ad emanare le leggi?
Biagi e D’Antona proposero dei nuovi modelli per regolare in modo diverso i rapporti di lavoro: come tutti sanno, dai loro studi nacquero i nuovi contratti cosiddetti “atipici”, ovvero gli impieghi a tempo determinato, ecc.
Bisogna precisare che Biagi stesso rammentava che questo nuovo impianto necessitava di “contrappesi” – ovvero di creare uno specifico welfare per chi lavorava “a singhiozzo”, dovendo coprire i periodi di disoccupazione – mentre il governo Belusconi “prese” dal lavoro di Biagi quello che gli comodava e fece orecchie da mercante sul resto.
Oggi, difatti, lo sviluppo dell’economia italiana è segnato da questo approccio non completato: alle aziende conviene assumere personale a tempo determinato e, anzi, parecchie hanno semplicemente tramutato dei posti di lavoro a tempo indeterminato con pari occupazioni a tempo determinato. Il risultato è un’incertezza che non giova soprattutto alle aziende che innovano, perché in quel caso è il prolungato rapporto di lavoro che genera frutti nel tempo.
Tutto ciò lascia nell’incertezza intere generazioni, che non possono guardare alla vita con sufficiente sicurezza per affrontarla: metter su famiglia, comprare casa e fare dei figli non sono dei semplici optional che – secondo la Conferenza Episcopale Italiana – dovremmo “barrare” come in un documento.
Sono scelte difficili e che coinvolgono la struttura stessa della società: è del tutto evidente che in una nazione come l’Italia – priva di specifici strumenti per affrontare la disoccupazione (si pensi al resto d’Europa ed anche agli USA) – parlare di lavoro a tempo determinato significa automaticamente cadere in altrettanti periodi di disoccupazione senza reddito.
Per questa ragione è necessario metter mano alla legge 30 – cosa che spaventa a morte Confindustria – perché è necessario garantire un futuro alle nuove generazioni, e non “tirarle fuori dal cesto” solo quando si vogliono allungare i tempi della pensione. Quando si pensa di dare loro qualcosa di reale per avere una vita decente?
Come attuarlo? Ci possono essere molte vie: rendere più oneroso per le aziende il lavoro a tempo determinato – così tornerebbe ad assolvere la sua funzione di “motore” iniziale verso l’occupazione – oppure varare finalmente una riforma della disoccupazione, mediante un’apposita cassa da rifornire nei periodi di “vacche grasse”. Già, ma di tutto questo le aziende non vogliono sentir parlare: assumiamo quando ci fa comodo, non ci prendiamo nessuna responsabilità per i lavoratori assunti (che devono campare “a singhiozzo”) e licenziamo come e quando ci pare. Non è una novità: essenzialmente, è quasi schiavitù.
Come si fa ad allontanare il problema? A fare in modo che il governo non lo affronti?
Basta gettare addosso a chi propone una revisione della legge 30 l’etichetta di “terrorista”. Parli male del lavoro di Biagi? Sei un terrorista. Ci si dimentica che Biagi e D’Antona c’entrano poco: sono i governi ad emanare le leggi.
Vorrei ricordare che il terrorismo ha molte facce – palesi e nascoste – perché quando si campa “a singhiozzo” fra un lavoro e l’altro si vive male, con il terrore di non farcela a pagare le rate dell’auto o l’affitto. Meno che mai si pensa a fare dei figli.
Tutto ciò che terrorizza – e non solo gli assassini delle BR – è “terrorismo”, e chi affibbia questi epiteti ad altri dovrebbe guardare prima in casa propria.