E’ incredibile costatare come un mese di guerra – nel mondo globalizzato delle alleanze “a geometria variabile” – possa mandare a gambe all’aria strategie abilmente preparate con anni di lavoro diplomatico, militare e – soprattutto – d’interventi dei servizi segreti.
Il “Libano 2006” era stato abilmente preparato: dapprima l’uccisione di Rafik Hariri (che la Siria non aveva nessun interesse ad assassinare) aveva lo scopo d’allontanare le truppe di Damasco dal territorio siriano e di spostare il baricentro politico libanese verso Israele. Poi la risoluzione 1559, che prevedeva il disarmo di Hezbollah, avrebbe consegnato su un piatto d’argento il Libano agli israeliani, che si sarebbero “sistemati” a trenta chilometri da Damasco.
Il penultimo atto sarebbe stato l’attacco alla Siria da ovest (Israele) e da est (truppe USA in Iraq), per ottenere un duplice risultato: evitare che una futura tripartizione dell’Iraq consegnasse la parte sunnita ai siriani e quindi l’ultimo atto, ossia ottenere il completo isolamento dell’Iran per un attacco.
Questo mese di guerra ci ha invece mostrato cataste di bombe partire dagli USA per giungere in Israele, mentre – dall’altra parte – Russia, Cina, India, Vietnam e Corea del Nord rinforzavano l’Iran, che a sua volta inviava i razzi in Siria, la quale riforniva Hezbollah: un vero e proprio scenario da “guerra fredda” o, se preferite, una piccola riedizione del copione vietnamita, che è stato rispettato fino in fondo con la sconfitta israeliana.
La forza d’interposizione che si andrà a posizionare in Libano è stato l’escamotage che Israele ha dovuto accettare per non infilarsi nel classico cul de sac, ovvero in un nuovo Vietnam senza vie d’uscita. Non lasciamoci ingannare dalle apparenze: una forza ONU sotto comando francese ai confini d’Israele è una novità di quelle “pesanti”, quasi una bestemmia per Tel Aviv. Ricordiamo che Israele aveva più volte sprezzantemente affermato che, ai suoi confini, avrebbe accettato solo truppe americane.
Ancora una volta – dopo Cuba, il Vietnam e l’Iraq – i signori della guerra hanno dovuto inchinarsi ad una piccola forza guerrigliera determinata a resistere, costi quel che costi. Di fronte alla determinazione, il re di bombe è nudo.
Il “Libano 2006” era stato abilmente preparato: dapprima l’uccisione di Rafik Hariri (che la Siria non aveva nessun interesse ad assassinare) aveva lo scopo d’allontanare le truppe di Damasco dal territorio siriano e di spostare il baricentro politico libanese verso Israele. Poi la risoluzione 1559, che prevedeva il disarmo di Hezbollah, avrebbe consegnato su un piatto d’argento il Libano agli israeliani, che si sarebbero “sistemati” a trenta chilometri da Damasco.
Il penultimo atto sarebbe stato l’attacco alla Siria da ovest (Israele) e da est (truppe USA in Iraq), per ottenere un duplice risultato: evitare che una futura tripartizione dell’Iraq consegnasse la parte sunnita ai siriani e quindi l’ultimo atto, ossia ottenere il completo isolamento dell’Iran per un attacco.
Questo mese di guerra ci ha invece mostrato cataste di bombe partire dagli USA per giungere in Israele, mentre – dall’altra parte – Russia, Cina, India, Vietnam e Corea del Nord rinforzavano l’Iran, che a sua volta inviava i razzi in Siria, la quale riforniva Hezbollah: un vero e proprio scenario da “guerra fredda” o, se preferite, una piccola riedizione del copione vietnamita, che è stato rispettato fino in fondo con la sconfitta israeliana.
La forza d’interposizione che si andrà a posizionare in Libano è stato l’escamotage che Israele ha dovuto accettare per non infilarsi nel classico cul de sac, ovvero in un nuovo Vietnam senza vie d’uscita. Non lasciamoci ingannare dalle apparenze: una forza ONU sotto comando francese ai confini d’Israele è una novità di quelle “pesanti”, quasi una bestemmia per Tel Aviv. Ricordiamo che Israele aveva più volte sprezzantemente affermato che, ai suoi confini, avrebbe accettato solo truppe americane.
Ancora una volta – dopo Cuba, il Vietnam e l’Iraq – i signori della guerra hanno dovuto inchinarsi ad una piccola forza guerrigliera determinata a resistere, costi quel che costi. Di fronte alla determinazione, il re di bombe è nudo.